Anche un fucile ormai leggendario, come il Kalashnikov, può essere migliorato. Non certo nell’affidabilità, caratteristica che ne ha visto produrre milioni di pezzi. I dati disponibili non sono precisi: c’è chi dice settanta milioni e chi cento, ma la seconda stima è la più probabile. Verosimilmente, la decisione russa di non distribuire largamente il Nikonov, vincitore dell’ormai mitico concorso di Abakan, non è solo dovuta alle difficoltà economiche, ma anche ad altri aspetti. Da quello dell’addestramento, con milioni di persone addestrate all’uso dell’AK, a quelle psicologiche. Non è detto che togliere a un soldato un’arma di cui si fida sia una buona mossa, specialmente se non si ravvisa una vera necessità. Il fucile d’assalto, al giorno d’oggi, non è certo l’arma dirimente. Ha ancora un suo ruolo, visto che chi davvero controlla il territorio è il fante, ma le guerre si combattono con ben altri mezzi. Un fucile con possibilità di tiro a raffica e una cartuccia intermedia è ancora attuale, pur se progettato mezzo secolo fa, purché consenta di lanciare granate. Con un vero e proprio lanciagranate e non con la necessità, che si verificava con la bomba Energa, dell’uso di cartucce speciali.
Nel caso del fucile serbo siamo in presenza di un AK riprogettato e migliorato, pur se la cartuccia intermedia dei Paesi dell’ex Est Europa, cioè la 7,62x39, non è quella impiegata su quest’arma. Qui la munizione adottata è la SS109, calibro 5.56. Una cartuccia precisa ma ben lungi dall’essere veramente efficace tanto che il Nikonov, il cui progettista si era posto il problema, fu creato per raffiche di due colpi di cui il secondo sparato durante il rinculo del primo. Un tiratore addestrato, con il Nikonov, riesce a fare un singolo foro a 100 m con la raffica di due colpi. La cartuccia 5,45x39 continua a non essere sufficientemente efficace, al pari della nostrana .223, ma due colpi ne raddoppiano l’effetto terminale.
D’altra parte la SS109 è la munizione standard Nato, diffusa universalmente nel mondo. Il vantaggio è quello di poter usare munizioni del nemico. Se la dottrina sovietica si basava sul presupposto di impedire al nemico l’uso delle armi che eventualmente avesse catturato, con la simmetrica impossibilità di usare le armi catturate al nemico, la dottrina attuale, più pratica, tiene conto del fatto che se il nemico ha preso le nostre armi vuol dire che in quel momento è più forte. Quindi la sua logistica funziona. Non ha bisogno delle nostre munizioni perché ha le sue, che gli giungono in tempo.
Si suppone che, se è in condizioni di forza, ciò significhi che le sue armi sono sufficientemente affidabili e che, pertanto, non abbia bisogno di rimpiazzarle con le nostre, come avveniva in Russia quando i tedeschi cedevano volentieri la P08 in cambio della nostra modello 34. Quindi la cosa migliore da fare è mettersi in salvo per combattere nuovamente da una condizione più favorevole. Col che la dottrina moderna ritorna alla teoria di Ipponatte, VI a. C. , il quale scrisse che l’uomo che fugge potrà combattere ancora, un’altra volta. Tatticamente parlando, c’è un luminoso futuro alle nostre spalle.
Una condizione irrinunciabile di un fucile moderno, si diceva poc’anzi, è il lancio di granate indipendente dalle altre caratteristiche del fucile. In questo caso è stata adottata la produzione locale del modello russo GP25. Non si è voluta l’adozione del GP30, più leggero di 200 g e meno costoso da produrre, perché privo del mirino per tiro indiretto, anche se le nuove mire del GP30, spostate sul lato destro dell’arma, rendono la mira più veloce e confortevole.
La granata impiegata è quella autopropulsa, disponibile in molte versioni tra cui la “Jump Grenade” o “Bouncing Grenade” – cioè una granata che all’impatto rimbalza fino all’altezza di circa un metro e mezzo prima di esplodere – che qui vedete nella realizzazione della bulgara Arsenal. Ne esiste anche una antisommossa, a gas lacrimogeno. Il disegno autopropulso significa che non occorre rimuovere nulla dalla canna, rigata, del lanciagranate prima di introdurre la granata successiva. Per contro, la rigatura esterna della granata può complicare l’operazione di caricamento per personale privo di addestramento specifico.
Una caratteristica interessante è che le granate, che si attivano solo dopo aver percorso un tratto di volo compreso tra i 10 e i 40 m, si autodistruggono dopo un tempo variabile tra i 14 e i 19 secondi dall’attivazione nel caso che non fossero esplose. L’incidente che capita a coloro che non sono esperti artificieri, che quindi cercano di rimuovere le granate a impatto universale, qui è evitato all’origine.
Le granate che siano state introdotte nella canna, non sparate e che si voglia rimuovere, possono essere sfilate per mezzo di un estrattore a spinta collocato nella parte sinistra del lanciatore. Per l’uso del fucile con il lanciagranate è previsto un calciolo aggiuntivo in gomma.
Ma veniamo al fucile. Il funzionamento è quello ormai notissimo del Kalashnikov. La chiusura della camera avviene per mezzo di un otturatore rotante posto in un portaotturatore; a quest’ultimo è collegato un pistone a corsa lunga, mosso dai gas di sparo. L’arretramento del portaotturatore impegna la testina otturatrice in una pista sagomata che ne provoca la rotazione.
Il pistone di azionamento è cromato e presenta degli scarichi per evitare l’accumulo di fecce; l’affidabilità di questo sistema è leggendaria. Non è prevista una regolazione dello spillaggio del gas; la parte in eccesso si scarica attraverso sei fori praticati nel tubo di presa.
Le mire subiscono un profondo cambiamento rispetto a quelle dell’AK. Il mirino resta lo stesso, regolabile, ma al posto dell’alzo a quadrante troviamo una doppia tacca a fogliette, con taratura a 300 e 500 m. Quest’ultima, in effetti, appare piuttosto ottimistica. La precisione sarebbe sufficiente, ma le mire aperte e il puntamento a 500 m sono difficilmente compatibili tra loro. La peculiarità sta in un mirino notturno, abbattibile, che reca superiormente un punto luminoso al trizio. Altri due punti sono posti superiormente sulla prima foglietta della tacca, anch’essa abbattibile, e consentono la mira in condizioni di luce insufficiente. Il posizionamento verso l’alto dei punti luminosi evita fraintendimenti – o sono visibili o non lo sono – e impedisce che essi possano essere percepiti da un avversario.
Il tiratore li attiva, agendo sul mirino notturno e sulla foglietta, solo al momento del bisogno. Poiché la doppia tacca è posta sul coperchio dell’azione, si sono resi necessari degli accorgimenti. Il coperchio non è completamente rimovibile, ma è incernierato nella sua parte anteriore. Inoltre l’aggancio posteriore sporge significativamente e il suo incastro a T è bloccato al fusto da un elemento dislocato per mezzo di un pulsante
In questo modo non è possibile richiudere il coperchio dando una manata dall’alto verso il basso in corrispondenza dell’aggancio posteriore, come suggerito dallo stesso Michail Timofejevic’ per il suo AK. La chiusura resta un po’ più complessa, ma il vantaggio delle mire semplificate è significativo.
Per quanto riguarda le mire, in ogni caso, sul lato sinistro del fusto c’è l’aggancio per un cannocchiale di puntamento, che può essere rimosso e riagganciato senza perdere la taratura.
L’arma è piuttosto precisa, come dimostrano i dieci colpi a braccio sciolto e con raffiche brevi – due colpi – che vedete in fotografia. Sono stati sparati con molta attenzione, ma il risultato è significativo, come si può notare dal raggruppamento a coppie dei colpi, anche se va detto che un tiro così non si improvvisa. Prima di giungere a questo risultato sono stati sparati vari caricatori, sia a colpo singolo sia a raffica, per acquisire confidenza con l’arma. Le munizioni non mancavano di certo. Il costruttore asserisce, per l’arma, una precisione da fucile sniper. Alla prova dei fatti non si tratta di un’affermazione avventata. La canna, internamente cromata e ottenuta per martellatura a freddo, è dotata di un rompifiamma piuttosto efficace che serve anche a stabilizzare l’arma durante il tiro a raffica. I caricatori usati sono in robustissima lamiera metallica. Sono disponibili anche caricatori in polimero ad alta resistenza, ma quelli in lamiera non hanno mai dato problemi.
Il selettore, tradizionalmente posto sul lato destro con funzione anche di sportello antipolvere, è qui ripetuta sul lato sinistro dell’arma. Sollevando il coperchio, si vede che il portaotturatore ha, posteriormente, un dente che serve all’armamento del cane e che conferisce un braccio di leva più vantaggioso. Contemporaneamente, il portaotturatore presenta due profondi fori di alleggerimento. La cartuccia 5.56 Nato, scelta per l’arma, non ha certo la potenza della vecchia 7,62x39 per cui qualche modifica si imponeva. Lo smontaggio da campagna è identico a quello del Kalashnikov, con l’avvertenza di premere il pulsante per sbloccare il piedino posteriore. Il calcio, pieghevole, è in polimero e si ripiega con facilità. In posizione estesa, un aggancio superiore lo tiene stabilmente aperto.
Il fucile, nella migliore tradizione dell’Est Europa, è fornito con una lunga serie di accessori che comprendono la baionetta, un accessorio per il tiro di munizioni a salve, il kit di pulizia, un flacone dell’olio, la cinghia e ben quattro caricatori.
Quanto alla capacità dell’arma di sopportare maltrattamenti, la serie di foto che vedete è significativa. Il fucile spara cinque caricatori di file a raffica, dopo di che è raffreddato per immersione in un bidone d’acqua e dopo essere stato sommariamente scrollato spara nuovamente altri cinque caricatori. Il trattamento, come si vede, è davvero brutale, ma il fucile non ne risente. Il merito è di un acciaio sviluppato in Serbia per scopi militari. Non ne sarebbe segreta la composizione, perché con una veloce analisi al quantometro la chimica di un acciaio non ha segreti per alcuno. Ma il quantometro non evidenzia le pratiche produttive, di cui al momento vogliono mantenere l’esclusiva. In ogni caso, i risultati che si vedono sono davvero impressionanti.