Arma da fianco
Prima delle “automatiche”, furono le pistole a tamburo.
L’arma corta, l’arma da fianco, comunque la si vuole chiamare, non è di sicuro “arma da guerra” in senso stretto (a dispetto di certe balzane idee), in quanto non è sufficiente essere in distribuzione al personale militare per essere “da guerra”: si tratta di qualcosa che nella sua forma classica non soddisfa più le necessità degli eserciti e delle guerre d’oggigiorno, e se è ancora in dotazione, a mio modesto avviso, è solo per una questione di necessità. Gli appartenenti a certe specialità delle FF.AA. in tutto il mondo hanno ancora bisogno di un’arma di scorta piccola e leggera su cui poter contare per la protezione personale in situazioni d’emergenza, non certo per il combattimento ad alta intensità dove tale strumento si rivelerebbe totalmente insufficiente; e le tante alternative proposte a oggi (dai “mini-mitra” alle Personal Defense Weapons) non sono riuscite ancora a giungere al compromesso ideale per il rimpiazzo: troppo grosse, troppo pesanti, troppo potenti o troppo poco, incontrollabili nel tiro a raffica... fatto sta che ancora oggi al fianco degli ufficiali di truppa, degli equipaggi aerei e terrestri, delle Forze Speciali, e di centinaia di altri, c’è sempre lei: la pistola.
Ma prima? Le pistole semiautomatiche vennero relativamente tardi nella linea temporale dello sviluppo delle armi da fuoco, e gli eserciti le valutarono scrupolosamente prima di affidarvisi, come si fa con tutte le innovazioni che si promettono troppo radicali. Allora sì che la pistola era “arma da guerra”. Non se ne poteva prescindere nell’armamento militare perché era l’unica arma che certi effettivi potevano avere con sé, e non solo gli ufficiali: pensate alla cavalleria. Esistevano le “carabine da cavalleria”, ma il loro uso proficuo richiedeva un certo addestramento per impratichirsi con particolari posizioni di tiro; la pistola invece poteva essere facilmente, istintivamente impiegata con una mano sola tenendo salda la presa sulle briglie con l’altra.
Anche per la pistola militare, e prima dell’automatica, l’evoluzione seguì il suo darwiniano corso: dai pistoloni ad avancarica si passò ai revolver, che avevano il vantaggio dell’ampia (per allora) autonomia di fuoco e della rapida ripetizione dei colpi. Il fatto che alcuni scalciassero letteralmente come muli importava poco. I revolver furono in servizio fino all’avvento delle “semi”, e per vari motivi, soprattutto di budget, anche molto dopo.
I revolver della Webley & Scott sono un esempio classico. Il design fu adottato per il servizio nel Regno Unito verso la fine del XIX secolo. Furono utilizzati in patria e in tutte le colonie, rimasero in dotazione in varie versioni e calibri ben oltre il termine della loro obsolescenza, per poco meno di un secolo e in decine di paesi. In particolare, il modello Mk IV che andiamo a esaminare, fu l’arma da fianco d’ordinanza delle truppe britanniche in due importanti occasioni, in due diversi calibri e in una miriade d’incarnazioni. In soldoni, ecco la sua storia.
W&S: la storia a grandi linee
Nel 1887, l’Esercito britannico era alla ricerca di un rimpiazzo per le armi da fianco d’ordinanza, gli insoddisfacenti revolver Enfield Mk I e Mk II. All’epoca, la ditta Webley & Scott era già ben nota come produttrice di rivoltelle d’alta qualità per uso commerciale; nel Regno Unito spopolavano su un mercato civile non ancora piagato dalle terribili leggi oggi in vigore, tanto che diversi ufficiali militari avevano avuto la bella idea di acquistarli privatamente e portarli in servizio al posto dell’Enfield in dotazione. La ditta fu così in grado di sottoporre all’attenzione dell’Esercito il suo prodotto di punta, il “Webley Self-Extracting Revolver” calibro .455.
Questo modello comprendeva già tutti gli elementi fondamentali dei modelli a venire, segnatamente lo scatto in doppia azione e l’apertura Top-Break (basculante) collegata all’estrattore: all’apertura della bascula di un revolver Webley & Scott, viene attivato l’estrattore del tamburo che fa letteralmente saltare fuori i bossoli vuoti dalle camere di scoppio. Ovviamente le operazioni di ricarica ne risultano sensibilmente facilitate.
Questa caratteristica innovativa colpì al cuore i militari inglesi, come la cartuccia che veniva proposta per i revolver stessi, la .455 Webley, che sarebbe poi entrata nella storia come la più potente mai usata in un revolver ad apertura Top-Break. La .455 Webley era una munizione con collarino (particolare che non solo ne facilitava la fabbricazione ma anche l’estrazione tramite il sistema proprio delle rivoltelle Webley & Scott), che lanciava una cartuccia del calibro .45 da 265 grani a una velocità relativamente bassa (190 m/s), dal rinculo tutto sommato controllabile, ma con una formidabile efficacia terminale.
Le prestazioni balistiche erano addirittura superiori al .45 ACP, che all’epoca era lungi dal nascere ma che sarebbe divenuto, e rimasto per oltre 70 anni, lo standard per le armi corte di servizio USA.
Ufficialmente l’8 Novembre del 1887, il “Webley & Scott Self-Extracting Revolver” fu adottato come “pistol, Webley Mk I”. Il contratto iniziale richiedeva la fornitura di diecimila pezzi al prezzo di circa tre sterline l’uno, con almeno duemila pezzi da consegnarsi nel giro di otto mesi. Nel corso degli anni, il design delle Webley andò modernizzandosi, cambiando man mano denominazione, fino al suo “picco” col modello Mk IV, talmente “perfetto”, dal suo punto di vista, che anche gli altri modelli Webley che lo rimpiazzarono ne ricalcarono le migliori caratteristiche.
.38/200 e modello Mk IV
Il modello Mk IV vide ufficialmente la luce nel 1899, camerato per il potente calibro .455 Webley. L’arma aveva una canna da quattro pollici e scatto in doppia azione, ed ebbe il suo periodo di gloria nelle guerre Anglo-Boere, tanto da essere ricordato come “Modello della Guerra Boera”. Prima di giungere alla forma in cui lo esaminiamo oggi, tuttavia, dovette aspettare la fine della Prima guerra mondiale.
Durante tale conflitto, il calibro d’ordinanza per le armi corte era rimasto il potente .455 Webley, che aveva dato ottima prova di sé durante le ultime battaglie per il consolidamento dell’impero di Sua Maestà e nelle trincee europee; la cartuccia .455 mostrava ottime caratteristiche di gittata, precisione, potere di penetrazione e d’arresto. Ma in qualche modo l’esperienza bellica ne aveva dimostrato l’“eccessività”, e le Forze Armate britanniche erano decise a rimpiazzarlo con una cartuccia del calibro .38, anche per motivi di convenienza nell’addestramento delle reclute che erano il nuovo “nucleo” del braccio armato dell’Inghilterra dopo che le guerre coloniali e la Prima guerra mondiale ne avevano decimato la vecchia guardia.
La Webley & Scott presentò allora una versione del Mk IV, camerata per una versione modificata della vecchia munizione calibro .38 Smith & Wesson (che originariamente era a polvere nera); questa cartuccia si distingueva per la sua pesante palla da 200 grani. L’impressione sui militari fu positiva, e ne fu promessa l’adozione a patto che fosse possibile creare e distribuire una munizione efficace. Venne incontro alla richiesta la ditta Kynoch, già produttrice della munizione calibro .455 Webley; la nuova cartuccia calibro .38 S&W con palla da 200 grani, chiamata appunto .38/200, aveva una carica di 2,8 grani di polvere di nitrocellulosa “neonite” che la faceva viaggiare a oltre 170 m/s fino alla distanza di 50 yards, anche se la pallottola diventava molto instabile una volta penetrato il bersaglio.
Tale combinazione fu ritenuta soddisfacente, e la nuova munizione entrò in servizio presso il Commonwealth come “Cartuccia per pistola, .380” , tipo Mk IIz”, però solo con palla da 180 grani del tipo Full Metal Jacket. L’originale palla in piombo da duecento grani, infatti, era totalmente scamiciata, e dunque inutilizzabile in combattimento secondo la Convenzione dell’Aia. Questa munizione calibro .38/200 non era una cosa nuovissima: anche il modello Mk III, introdotto nel 1897, la utilizzava; ma quel particolare modello, seppur adottato ufficialmente, non era mai stato distribuito alle truppe. Ora sembrava finalmente giunto il momento.
Il Webley Mk IV fu adottato nel 1932, ma non entrò in servizio nella sua forma originale. Con grande sorpresa della Webley & Scott, il governo inglese ne adottò soltanto il design, che “girò” subito alla Royal Small Arms Factory, il famoso arsenale statale di Enfield, che lo produsse come Revolver N°2 Mk-1: sempre dall’arsenale di Enfield venne modificato nel 1938, con la denominazione di N°2 Mk-1*, con cane senza cresta e scatto in sola doppia azione, e poi nel 1942 come N°2 Mk-1**, di costruzione semplificata per venire incontro alle esigenze belliche.
Questi furono tre dei quattro revolver di servizio inglesi durante la Seconda guerra mondiale, assieme a un altro modello Webley, il Mk VI in calibro .455 che a sua volta subì lo stesso destino, cioè di venir prodotto, con la stessa denominazione, anche dall’arsenale di Enfield. Fu quest’ultimo il preferito dalle truppe: i soldati del Commonwealth, come i neozelandesi, ne apprezzavano il potere d’arresto; inoltre i revolver in .455 potevano essere facilmente convertiti al .45 ACP con munizioni fornite a piene mani dagli alleati USA. Soprattutto, le vicende belliche videro gli inglesi utilizzare “ufficialmente” per la prima volta pistole semiautomatiche, a cominciare dalle Colt M1911 A1 di fabbricazione americana e dalla Browning High-Power, futura (e attuale) dotazione standard, costruita in Canada dalla Inglis Gun Company.
Fino ad allora le uniche “semiauto” usate dagli inglesi erano state le Mauser C96 catturate agli Afrikaner durante le guerre anglo-boere; e durante la Seconda guerra mondiale gli ufficiali britannici fecero a gara per accaparrarsi come preda bellica le semiautomatiche degli eserciti nemici: molto ricercata in particolare era la “nostrana” Beretta 34.
In seguito all’episodio, tuttavia, la Webley & Scott fece causa al governo britannico, chiedendo un risarcimento danni per un totale di 2250 sterline di “costi di ricerca e sviluppo” dell’arma. Dal canto suo, l’arsenale di Enfield si difese sostenendo che il revolver N°2 Mk1 era stato disegnato dal capitano Boys, che nell’arsenale era vice-sovrintendente alla progettazione (lo stesso, per intenderci, che disegnò il fucile anticarro che porta lo stesso nome), con assistenza da parte della Webley & Scott, e non il contrario. I giudici credettero alla versione governativa, e le richieste della Webley & Scott furono respinte.
Tuttavia, la ditta ottenne un riconoscimento da parte della Royal Commission on Awards to Inventors, per un ammontare di 1250 sterline. Senza contare che, viste le necessità belliche, alcuni Mk IV di fattura Webley & Scott riuscirono comunque ad arrivare in mano ai soldati inglesi durante il conflitto. Il revolver Mk IV ebbe una vita insolitamente lunga per un’arma della sua categoria: tra Webley & Scott e arsenale di Enfield rimase in produzione fino al 1978, e si stima che il numero di esemplari prodotti abbia raggiunto il mezzo milione.
La Webley & Scott fu attiva nel campo dei revolver dal 1887 al 1963, e nella sua lunga vita produsse anche altri tipi d’armi, tra cui il Webley-Fosbery (primo “autorevolver”), e delle pistole semi-automatiche. Con l’andare del tempo, il modernizzarsi del mercato, e l’inasprirsi delle leggi sulle armi nella madrepatria, abbandonò il settore delle armi da fuoco per dedicarsi interamente all’aria compressa fino a tempi recenti: è di quest’anno la notizia che la “nuova” Webley sta stringendo accordi per la commercializzazione di una serie di doppiette da caccia. Ma le sue rivoltelle hanno fatto la storia, e lì rimarranno per sempre. Le ex-colonie britanniche li usarono a lungo dopo l’indipendenza: la Ordnance Factory Board indiana, ad esempio, produce ancora le munizioni calibro .38/200, e persino un revolver chiamato IOR-Mk1 che ricorda molto da vicino lo Webley Mk III e che è usato, seppur pochissimo, dalla loro Polizia, ma che è anche disponibile sul mercato civile; quello stesso mercato civile che in Inghilterra venerava appassionatamente, e giustamente, gli Webley & Scott ex-ordinanza e che se ne è visto depauperare dalle conseguenze giuridiche della disgrazia di Dunblane.
Beati noi che possiamo ancora averli. Solo un consiglio ai possessori: non maltrattateli. Non perché non siano solidi, tutt’altro. Ma sono oggetti storici, forgiati dal fuoco di mille battaglie. E come Lord inglesi, meritano ed esigono rispetto.
Scheda Tecnica
Modello | Mk IV (denominazione Webley & Scott)/Enfield Revolver N°2 Mk 1, Mk 1* e Mk 1** (denominazione Enfield) |
Fabbricante | Webley & Scott, oggi Webley Ltd., Birmingham, Regno Unito (http://www.webley.co.uk). dal 1932 al 1978 anche RSAF-Enfield (Arsenale di Stato di Enfield Lock) |
Catalogo Nazionale | 3946 |
Calibro | .38/200 |
Alimentazione | Tamburo a rotazione ad apertura basculante (Top-Break) della capacità di 6 cartucce, con estrazione automatica dei bossoli |
Funzionamento | Azione doppia |
Lunghezza di canna | 125 mm |
Lunghezza totale | 260 mm |
Peso a vuoto | 995 g circa |
Rigatura | 7 destrorse |
Scheda Tecnica
Modello | Mk VI (denominazione Webley & Scott)/Pistol, Webley, N°1 Mk VI (denominazione Enfield) |
Fabbricante | Webley & Scott, oggi Webley Ltd., Birmingham, Regno Unito. Dal 1921 al 1926 anche RSAF-Enfield |
Catalogo Nazionale | 6730 e 3947 |
Calibro | .455 Webley & Scott (.455 Webley Mk II) |
Alimentazione | Tamburo a rotazione ad apertura basculante (Top- Break) della capacità di 6 cartucce, con estrazione automatica dei bossoli |
Funzionamento | Azione doppia |
Lunghezza di canna | 152 mm (6 pollici) |
Lunghezza totale | 286 mm |
Peso a vuoto | 1100 g circa |
Rigatura | 7 destrorse |