Forse oggi la Colt non ha più il fascino di una volta e, tutto sommato, nessuna delle sue armi ha qualcosa in più delle “copie” realizzate dalla concorrenza: le vecchie Single Action Army 1873 sono ancora a listino, ma sul mercato sono presenti valide alternative di qualità e sicuramente più economiche, e anche per quanto riguarda il settore le 1911 e gli AR15, o M16 che dir si voglia, la situazione non è molto diversa.
Eppure, c’è stato un tempo in cui la Colt primeggiava nel settore armiero e proponeva intere linee di armi corte e lunghe che erano famose proprio per la precisione delle lavorazioni e per la qualità.
Fin dall’inizio del ‘900 i prodotti della casa di Hartford erano considerati il massimo nei loro rispettivi settori: nessun rivale nelle semiautomatiche, con i grandi successi della Modello 1903 e, soprattutto, della 1911, così come era indiscutibile la posizione predominate nel settore dei revolver, anche se la Smith&Wesson riusciva ad avere una diffusione maggiore grazie a prezzi di vendita inferiori.
Questa situazione si protrasse fino agli anni ’80, quando, forse per aver dormito troppo sugli allori, la Colt si trovò a dover fronteggiare una forte concorrenza e una altrettanto grossa crisi finanziaria: la risposta fu delle peggiori e per cercare di abbattere i costi si scelse di risparmiare proprio sulla qualità, il che ha accentuato ancora di più il declino dell’azienda.
Oggi la Colt sembra essere tornata in buona salute, ma sul listino della casa troviamo solo 1911 e Black Rifle, nonché la sempiterna SAA 1873, ma mancano proprio i revolver a doppia azione, i veri artefici del successo della casa del cavallino negli anni d’oro: Python, Detective Special e tutti revolver “vecchio stile” montavano una meccanica risalente al 1909 e richiedevano un notevole apporto di mano d’opera altamente specializzata e costosa.
Negli anni ’70 la Casa aveva proposto qualcosa di più semplice, con la meccanica MK III, ma il fascino delle “vecchie” armi era rimasto immutato, e la loro richiesta sempre elevata.
La Colt le mantenne a listino, ma non era più in grado di costruirle con quella cura che ne aveva decretato l’immenso successo, il che ne comportò il definitivo abbandono, tra le recriminazioni degli appassionati di meccanica fine.
Nei primi anni ’80 si potevano trovare Python con gravi difetti: mirini disassati, componenti con perni e sedi mal dimensionati, al punto che poggiando l’arma su un lato la meccanica si bloccava, cartelle laterali accoppiate con quasi un millimetro di luce con il castello, scudi di culatta visibilmente storti, solo per elencare quelli esaminati personalmente; a queste si aggiungevano Detective Special e Cobra con piani ondulati o canne avvitate ad angolo, e queste erano le “ammiraglie” della produzione!
Il Python era da sempre considerato un po’ la Rolls Royce delle armi a rotazione, soprattutto per la cura con cui era realizzato: il suo abbandono rappresentò una grave perdita per gli appassionati, anche se oggi possiamo trovare valide alternative nei cataloghi di altri produttori.
Non così per l’altra linea dei prodotti “tradizionali” di casa Colt, come Detective Special, Cobra e Diamondback, ovvero quelle armi realizzate sul cosiddetto telaio “D”, o D-Frame, che consentiva la realizzazione di revolver piccoli e funzionali con bene sei colpi di 38 Special: attualmente armi di questo tipo non sono offerte da nessun produttore, e, sinceramente, se ne sente la mancanza.
Per avere revolver con sei colpi si deve passare al telaio “K” della Smith&Wesson, che pur utilizzando un tamburo dello stesso diametro dei D-Frame ha una struttura più ingombrante e pesante: nessun paragone tra una S&W Mod. 10 e una Detective Special entrambe con canna da due pollici e anche come linea ed eleganza, tra modelli con canna da quattro pollici la palma del vincitore va alla Colt.
Oggi i revolver della casa del cavallino costruiti prima dell’inizio del declino sono molto ricercati, sia dai collezionisti sia da chi desidera un’arma “fatta come si deve”, da destinare alla difesa abitativa o a quella personale.
Per quest’ultimo settore le due pollici su telaio “D” sono ancora oggi la soluzione più efficiente, mentre per difesa abitativa o collezione si potranno prendere in considerazione canne più lunghe e quindi armi più ingombranti.
Sul mercato dell’usato possono quindi capitare vere e proprie occasioni: sempre sul D-Frame la Colt realizzò non solo gli snub da difesa in numerose versioni (Detective Special, Cobra, Agent, Commando), ma allestì anche dei 4”, oggi molto ricercati.
La più famosa delle 4” fu la Diamondback, la cui linea copiava quella del più grosso Python: canna pesante con tanto di bindella ventilata, cane dalla cresta allargata come sul fratello maggiore, finiture molto curate.
Ma non fu certo la sola. Nel 1977 la Colt propose sul mercato una ulteriore versione di telaio “D” con canna da quattro pollici e la denominò “Viper”, aggiungendo un nuovo nome alla serie “erpetologica”, ovvero caratterizzata da nomi di serpenti, che già comprendeva Python, Cobra, Diamondback e che sarebbe poi terminata con il grosso Anaconda in 44 Magnum.
La Viper non fu un grosso successo e rimase a listino per meno di un anno, per cui ne vennero realizzate quantità molto limitate, matricolate con la normale sequenza; il calibro offerto fu solo il 38 Special e le finiture furono la nichelatura e la brunitura-anodizzazione.
Per realizzare la Viper, la Colt provvide semplicemente a dotare un castello “D” in lega leggera di una canna da quattro pollici dal profilo pesante, che riportava inciso sul lato sinistro il nome del modello: in pratica era una Colt Cobra con canna allungata.
Tutto sommato niente di particolare, solo che proprio il basso numero di esemplari prodotti ha portato la Viper a essere molto richiesta sul mercato collezionistico, soprattutto da parte di chi desideri la serie completa dei “serpenti” di casa Colt.
È voce comune che la casa avesse prodotto un numero abbastanza elevato di canne per la Viper, molte delle quali sarebbero finite nella disponibilità di un grosso rivenditore di ricambi: qualcuno sospetta che negli anni ’90 alcune di queste canne siano state montate su normali D-Frame in lega per aumentarne il valore collezionistico, ma altri ritengono invece che fu la proprio la Colt, a produrre saltuariamente alcuni esemplari di Viper, per cui le armi “fuori periodo” sarebbero degli originali e non dei tarocchi.
Se si considera che la stessa Colt preferiva non rimettere a nuovo le armi con telaio in lega per paura di deformarlo al momento della rimozione della canna, è difficile pensare che questa operazione sia stata effettuata senza problemi da parte di privati o anche di piccole officine su vari esemplari di revolver “Cobra” o “Agent”, per cui propenderemmo per l’originalità di tutte le Viper in circolazione, la cui seconda mandata, pare caratterizzata da guancette e scatola di diverso disegno, dovrebbe essere la più ricercata.
Se si esaminano le varie aste statunitensi in rete, si potrà vedere che le Viper hanno un discreto mercato e si scoprirà che gran parte degli esemplari offerti sono nichelati, una finitura che permetteva una maggiore resistenza delle parti in lega leggera agli strapazzi della vita quotidiana, apprezzata dall’altra sponda dell’Atlantico ma poco accettata nel Vecchio Continente.
Da noi, ad avere fortuna, può capitare di incontrare una Viper “brunita”, come quella oggetto delle foto.
Il revolver si caratterizza subito per la canna di tipo cilindrico, dotata inferiormente di una protezione integrale all’alberino dell’estrattore, struttura comparsa sulle armi costruite su telaio D con la versione del 1974 della Detective Special. La meccanica interna è appunto quella classica, identica, a parte le dimensioni, a quella del Python. Tutto ruota intorno a un’unica molla a V che provvede a fornire energia al cane e al grilletto e si incarica pure di spingere in avanti il bocciolo che fa ruotare il tamburo. Con il cane totalmente inarcato i due rebbi della molla si toccano e ci si può solo meravigliare di come faccia a non spezzarsi, eppure non ci risultano notizie di questo inconveniente su nessun revolver Colt, a dimostrazione di acciai appropriati e di ottimi trattamenti termici. L’unica altra molla presente nel revolver è quella, minuscola, che provvede a spingere in alto il fermo del tamburo inferiore, a sua volta realizzato in acciaio elastico e in grado di scavalcare un gradino a cuneo realizzato nel blocco sagomato di acciaio su cui lavora il rebbio inferiore del mollone principale. Pochi pezzi, quindi, ognuno con più funzioni.
Sulle Colt, ad arma pronta al fuoco il tamburo è letteralmente inchiodato, spinto in senso orario dal bocciolo e bloccato dal fermo inferiore: questo obbliga ad avere un perfetto allineamento tra la canna ed ogni singola camera del tamburo. Oggi, forse, con le macchine a controllo numerico non sarebbe un grosso problema, ma una volta richiedeva lavorazioni accurate e manodopera altamente specializzata, in grado di eseguire a mano un notevole lavoro di aggiustaggio, il che si rifletteva inevitabilmente sui costi di produzione.
Essendo la Viper una “normale” D-Frame, la chiusura del tamburo si basa su un solo punto posteriore, ottenuto mediante l’inserimento, per pochi millimetri, di un chiavistello cilindrico in un foro realizzato al centro della stella di rotazione del tamburo, sistema da sempre più che sufficiente alla bisogna, assistito dalla presenza del braccetto di rotazione che forza verso destra.
Il cane esterno della Viper è quello classico utilizzato sulla serie Detective Special e derivate, caratterizzato dalla forma a uncino, bello a vedersi e comodo per armare la singola azione, ma facile a impigliarsi nei vestiti in caso di porto in fondine interna.
In effetti, una scelta incomprensibile dato che sui D-Frame era tenuto in gran conto proprio il profilo anti impigliamento del mirino, che per questa struttura risultava ben poco visibile in molte condizioni di luce.
Questo sfuggente mirino su rampa lo ritroviamo anche sulla Viper, arma non certo destinata al porto occulto, associato alla tacca realizzata di pezzo con il castello.
Anche le guancette sono quelle che erano montate sull’intera famiglia: realizzate in legno, presentano una estesa zigrinatura sui pannelli laterali, con una specie di appoggia pollice simmetrico, ma lasciano scoperto il dorso del fusto e, con una impugnatura poco corretta, risultano oltremodo scomode durante lo sparo di cartucce a piena potenza.
Oggi, come detto, le D-Frame della Colt sono molto ricercate e la Viper è tra le meno frequenti da incontrare in armeria: qualunque sia lo scopo cui la si vuole destinare, la vecchia meccanica non deluderà di certo.