Se si cerca un’arma affidabile, le prime ipotesi che vengono in mente sono il K98 per la ripetizione manuale, e il Kalashnikov per quella automatica.
In Italia, semiautomatica perché per avere la versione originale con ripetizione full-auto occorre avere una licenza per la fabbricazione di armi da guerra e un’officina che sia stata dichiarata idonea dalla Commissione Provinciale e dai Vigili del Fuoco.
La possibilità di ottenere il rilascio della vecchia licenza di collezione di armi da guerra è infatti stata abolita dalla legge 110/75.
Ma una volta ottenuto il Kalashnikov demilitarizzato c’è il problema di che cosa farne. Il tiro di precisione è da escludere; resta quello per divertimento, il plinking, come lo chiamano gli americani. Con il problema del calibro, perché per il plinking il 7,62x39 è davvero eccessivo.
Ci vuole qualcosa di meno violento. Con il sistema a recupero di gas del progetto originale, l’arma non funziona in calibro 9mm; un tentativo fatto da Zastava prevedeva due pistoni a corsa corta, che spillavano gas da due punti diversi della canna.
Rimase allo stato di prototipo e non entrò mai in produzione. Bisognava, per il funzionamento in 9mm, ripiegare su una chiusura geometrica o su una chiusura labile.
La prima soluzione avrebbe stravolto la meccanica del Kalashnikov, generando un’arma diversa che si sarebbe dovuta conquistare sul campo la fama di affidabilità.
Cosa possibile, ma la validità commerciale del nome Kalashnikov e della sua meccanica ha un peso al quale non si può rinunciare.
Quindi restava la seconda soluzione, quella a chiusura labile, che avrebbe consentito di mantenere l’otturatore originale, lo scatto originale privato della possibilità di raffica e l’impostazione generale dell’arma.
È la soluzione scelta da Armi Chiappa per la pistola PAK-9, nella cui sigla le due lettere AK hanno un indiscutibile richiamo.
Aprendo il coperchio superiore, infatti, si vede un otturatore completo di tubo per il pistone a corsa lunga, ma quest’ultimo è finto.
Si tratta di un tondino d’acciaio che serve a dare all’otturatore una massa compatibile con la chiusura labile.
Cosa, questa, che si evidenzia quasi subito ma la prima impressione è quella di trovarsi di fronte alla meccanica originale.
Il tondino d’acciaio, che anche ad otturatore completamente arretrato è prigioniero di un elemento metallico anteriore, non consente di separare l’otturatore dall’arma a meno di sfilare una spina anteriore che fissa al fusto l’elemento metallico il quale rende prigioniero l’otturatore.
La spina non è prigioniera ma è tenuta in sito dalle pareti dell’elemento in polimero al quale è assicurato l’elemento di blocco della mano debole e di cui diremo subito.
È allocato nella parte inferiore dell’arma e alloggia il bocchettone per l’uso del caricatore Beretta da 10 colpi o di quello Glock da diciotto: le dimensioni esterne dei bocchettoni sono necessariamente uguali ma quelle interne, nonché il pulsante di sgancio caricatore che si trova sul bocchettone polimerico, si adattano all’uno o all’altro magazzino senza consentire l’intercambiabilità.
La possibilità di avere un caricatore da 10 colpi, che apparentemente non è preferibile a quello da diciotto, tiene conto sia dell’ultima legislazione italiana sia, soprattutto, del mercato americano.
Le mire constano di una tacca fissa e di un mirino, protetto da due robuste alette curve, montato a vite e quindi regolabile in altezza; peraltro nell’esemplare che mi è stato dato per la prova non c’era una chiave specifica.
Però ci si può arrangiare con una pinza a becchi sottili, che funziona egregiamente.
La tacca - i recensori americani la definiscono regolabile ma forse non l’hanno esaminata con cura, a meno che ne abbiano ricevuta una diversa - è montata su una slitta Picatinny che si trova sul coperchio dell’arma; va detto che quel coperchio è decisamente solido e non balla in alcun modo, ma il punto in cui è incernierato richiede un minimo di attenzione per evitare che si chiuda sulle dita; in questo caso la sottile lamiera d’acciaio fa male.
D’altra parte lo spessore di quella lamiera, che sembra non sottoposta a trattamenti termici in quanto si incrudisce nello stampaggio, è di un solo millimetro, più che sufficiente per un elemento che non ha funzioni strutturali.
La solidità della giunzione tra coperchio e fusto, che porta alla posizione stabile della tacca, è il risultato di quote molto precise.
Altre due corte slitte Picatinny, realizzate in polimero, sono unite alla parte antero-superiore dell’arma e una terza slitta è sulla parte antero-inferiore dell’elemento polimerico che regge il bocchettone di inserimento caricatore.
A quest’ultima slitta è assicurato un elemento, anch’esso in polimero, che fa da arresto anteriore per la mano debole.
L’altra mano sarà sull’impugnatura a pistola, che si direbbe in materiale termoindurente, comunque rigido.
La sicura è azionata dalla lunga leva tipica del Kalashnikov, che non copre la finestra di espulsione, la cui estremità anteriore in posizione di sicura si colloca immediatamente dietro la manetta dell’otturatore, impedendone l’arretramento.
Davanti al guardamano del grilletto la leva a bilanciere non serve per la rimozione del caricatore, ma assicura al fusto l’elemento in plastica che reca il bocchettone di alimentazione.
L’arma manca di calcio; all’estremità posteriore del fusto un anello metallico consente l’aggancio di una cinghia, fornita in dotazione, che può essere agganciata al collo e messa in tensione.
L’impressione data dall’uso della cinghia è quella di una presa più salda sull’arma, ma in effetti che abbia praticato il tiro con la pistola si trova altrettanto bene, e forse anche meglio, senza utilizzarla.
Considerando che la presa sull’arma è diversa sia da quella su una pistola sia da quella di un fucile, la precisione che si raggiunge di primo acchito, senza essersi esercitati, è sufficiente per il divertimento, visto che a 25 metri non si esce dal nero del bersaglio.
Ma il vero divertimento è sparare dal fianco: con un minimo di attenzione anche in questo caso è difficile uscire dal nero. E sparando in velocità l’arma non si muove e doppiare il colpo diventa semplicissimo.
La PAK-9 è prodotta in Romania; questo non sottintende una costruzione meno che curata ma, anzi, fa affidamento sulla assodata professionalità di chi ha costruito molte centinaia di migliaia di Kalashnikov funzionanti.