Com'è noto, l'ultradinamica industria armiera turca ha due diversi indirizzi paralleli, quasi due scuole di pensiero, a cui ispirarsi: concepire e costruire armi e sistemi di funzionamento totalmente nuovi, o − ed è quanto accade più spesso! − clonare in tutto o in parte un prodotto già esistente, magari aggiungendovi un tocco di originalità per migliorarne le prestazioni a seconda di quanto richiede il mercato o delle necessità degli utenti professionali a cui tale arma è destinata, oppure per semplificare le procedure produttive al fine di mantenere il prezzo del prodotto in linea coi livelli economici che i mercati globali hanno imparato ad aspettarsi dal comparto armiero turco. Tuttavia, anche i cloni vanno saputi fare, e a furia di inciampare, pare che i fabbricanti d'armi d'oltre-Bosforo abbiano capito che, per mantenere il buon rapporto qualità-prezzo che li ha resi famosi, è necessario fare le cose a regola d'arte: in questo periodo di grande successo, lavorazioni fatte "a tirar via" o prodotti malfunzionanti sarebbero incredibilmente controproducenti.
Tra le aziende che meglio di altre hanno imparato a lavorare a regola d'arte sotto questo punto di vista c'è la Samsun Yurt Savunma Sanayi ve Tiçaret A.Ş., meglio conosciuta con il suo marchio commerciale (CANIK-55), che come altre sue connazionali ha lavorato a lungo − e continua a lavorare! − con produttori ed importatori europei e statunitensi per la realizzazione di modelli o parti d'arma su licenza o dietro ordinazione, confacenti dunque a specifiche ben precise. Uno dei suoi ultimi prodotti, lanciato due anni fa, rappresenta anche il suo primo "tentativo" sulla strada dei modelli con fusto polimerico: la pistola semi-automatica TP9 lanciata due anni fa sia per i mercati commerciali che per l'adozione da parte delle Forze dell'Ordine turche, si è rivelata un'eccellente arma difensiva e da servizio, costruita onestamente, molto affidabile, solida e robusta, decisamente superiore ad altre polimeriche a buon mercato provenienti anche da produttori occidentali − pur senza, ovviamente, toccare i "grandi marchi"! − e nonostante tutto basata su principi e meccaniche comprovate, essendo una versione realizzata su licenza del sistema di funzionamento della tedesca Walther P99. Se la TP9, camerata per il calibro 9x19mm "Parabellum", ha sortito un ottimo successo di vendite soprattutto negli USA e nella madrepatria Turchia, è proprio agli Stati Uniti che s'indirizza, dato il calibro, la nuova versione del sistema lanciata quest'anno, denominata TP40.
Come si evince dal nome, la TP40 è una versione della TP9 "maggiorata" per cameratura: il caricatore bifilare a presentazione singola prodotto in Italia dalla MEC-GAR, in lamierino d'acciaio con Pad in polimero, ospita tredici colpi cal.40 Smith & Wesson; l'arma è costruita su un fusto in tecnopolimero rinforzato in fibra − con impugnatura di foggia ergonomica e munito di rotaia MIL-STD-1913 "Picatinny" per il montaggio di accessori tattici − su cui è montato un carrello in acciaio inossidabile macchinato. Per entrambe le componenti sono disponibili diverse colorazioni: grigio, nero, verde oliva, color sabbia, e diverse variazioni del Digital Camo oggi tanto popolare. Lunga in tutto 18 centimetri con una canna rotomartellata a freddo da quattro pollici − poco più lunga di una Glock 19, poco più corta di una Glock 17, dunque adeguata sia per il porto manifesto che per il porto occulto − la TP40 impiega uno scatto in azione mista con percussore lanciato interno, ed un indicatore di colore rosso che sporge leggermente dalla culatta del carrello per fungere da conferma visiva e tattile della presenza del colpo in canna e del percussore armato.
Dalla Walther P99, la TP40 mutua la configurazione della doppia levetta di smontaggio e dello Hold-Open, mentre il rilascio del caricatore avviene tramite un pulsante di foggia normale, e la leva che consente il disarmo manuale del percussore − e che dunque attiva la doppia azione per il primo colpo − è ambidestra anziché essere localizzata su un solo lato del carrello. Non ci sono sicure manuali sulla TP40; completano il quadro una robusta cromatura su tutte le superfici metalliche, un peso a vuoto di 650 grammi, la mira posteriore regolabile e la presenza di dorsalini intercambiabili per l'impugnatura.
Interessante è anche, o forse soprattutto, l'aspetto economico: la distribuzione della TP40 non è infatti ancora iniziata, né in Europa, né negli USA; quando inizierà, tuttavia, si può sperare che il prezzo non si distanzi molto da quello della "sorellina" TP9, che negli USA viene venduta completa di due caricatori, due dorsalini intercambiabili, bacchetta e scovolino per la pulizia, una fondina in plastica rotomodellata con sistema di ritenuta e due diversi agganci per cinturone che consentono di portare la fondina medesima in posizione alta o bassa per il porto manifesto da servizio su diverse inclinazioni... a poco più di 330US$, ovvero circa 250€! Le speranze che il prezzo resti così basso anche da noi sono decisamente ridotte al lumicino, e ce ne rendiamo conto, ma anche con i ricarichi tipici del mercato italiano resterebbe un prodotto decisamente competitivo. La speranza, dunque, è che leggendo queste righe qualche distributore italiano interessato a guadagnare sulla quantità venduta − anziché sul prezzo per singolo esemplare, come accade fin troppo spesso! − si faccia avanti...