Devo fare una premessa. Per curiosità personale o per lavoro, ho esaminato armi costantemente negli ultimi quarantacinque anni e forse anche qualcuno in più. Quindi penso di poter esprimere un parere informato. Ebbene, secondo quel parere la APX è la migliore pistola militare che io abbia visto. Disposto a cambiare idea se e quando avrò occasione di esaminare da vicino una Lebedev, che a prima vista sembra avere un’ergonomia non dissimile da quella della APX, ma al momento la mia opinione è quella. In effetti è proprio l’ergonomia ad indurmi al giudizio che ho appena esposto.
Anche se al momento di andare in macchina abbiamo saputo il risultato del tender militare Usa per la nuova pistola, che ha visto vincitrice la Sig-Sauer P320, non si può non rilevare che il responsabile di progetto della APX ha lavorato per due anni e mezzo in Sig-Sauer. In linea di massima è difficile che una pistola striker-operated (a percussore lanciato) con fusto in polimero possa esprimere novità clamorose sul piano tecnico; si procede per affinamenti successivi che tengano conto delle esperienze precedenti e pongano rimedio alle criticità rilevate.
Questo mi fa pensare che nella progettazione della APX si sia tenuto conto di quanto poteva essere perfezionabile rispetto alla P320, che verosimilmente è stata scelta per la maggiore possibilità di adattamento dell’impugnatura anche se la scelta delle munizioni calibro 9mm Parabellum +P può sollevare qualche perplessità.
Il primo requisito per una pistola che andrà in mano a militari non sempre specificamente addestrati è, come si è detto, quello dell’ergonomia. Non è un caso se nel corso dell’ultima guerra mondiale si volle sostituire la pistola in dotazione ad autieri, cuochi e in generale personale non direttamente combattente con una carabinetta, dall’uso evidentemente considerato più intuitivo. Il difetto di quella soluzione stava nella logistica, vista la necessità di approvvigionamento di munizioni in un ulteriore calibro rispetto a quelli già in dotazione. Avendo la possibilità di armare quel personale con una pistola di uso facile ed intuitivo, la logistica si semplifica. In effetti i calibri disponibili saranno tre: 9mm Parabellum, 9x21 e .40 S&W, ma il secondo è destinato al mercato nazionale mentre l’ultimo, oltre ad avere come target specifico il settore del law enforcement, rispetta le condizioni richieste dagli americani per la nuova arma da fianco, alla quale si richiede modularità e disponibilità in diversi calibri.
In linea di massima l’impiego militare comprende solo il 9mm parabellum, che è standard NATO. Un altro aspetto della logistica riguarda la necessità di mantenere le armi in condizioni operative. Qui la Beretta APX dà un contributo non indifferente; la semplicità consente di avere un numero minore di pezzi di ricambio. Di quanti pezzi si compone l’APX? Dipende. Dal punto di vista dell’MRP, cioè di chi deve fare arrivare contemporaneamente i componenti in fabbrica nei tempi necessari, i pezzi sono una cinquantina. Dal punto di vista dei militari, i pezzi sono ventitre.
Spiegazione: l’insieme di molle di recupero, guidamolla e terminale che consente di avere le molle autocontenute conta per un pezzo, ma i componenti sono quattro. In estrema sintesi, se si vuole privilegiare l’immediatezza del ripristino operativo lasciando alle retrovie le riparazioni che richiedano appena un po’ più di tempo, i pezzi diventano cinque: L’insieme carrello-canna-molla di recupero, il fusto, il castello metallico interno ad esso che contiene il resto della pistola e i due componenti che lo tengono in sito: leva di smontaggio e perno superiore. Per giunta, è ben difficile che il fusto della pistola, che con la rimozione del castello metallico interno diventa un semplice pezzo di plastica, possa manifestare dei problemi. Ma veniamo finalmente alla pistola, di cui avete letto qualche anticipazione.
La categoria di appartenenza è quella delle pistole striker-operated, ma la APX si differenzia a prima vista per gli intagli di presa sul carrello. Non si tratta di una modifica estetica ma di qualcosa di sostanziale, perché con il nuovo tipo di intagli è possibile scarrellare facilmente anche calzando i guanti. In cima al carrello, nella parte posteriore, troviamo una tacca di mira che genera un ben definito scalino rispetto al carrello. Anche qui, non è una svista ma una soluzione meditata, perché se una mano fosse occupata sarebbe possibile scarrellare semplicemente appoggiando quello scalino allo spigolo di un mobile o alla parte superiore del cinturone tattico.
I comandi esterni si militano a hold-open reversibile e leva di smontaggio, oltre al pulsante di sgancio caricatore anch’esso reversibile. Non è presente una sicura manuale; una scelta moderna e utile che tuttavia non è detto che incontri il favore dei militari. Prendendo in considerazione la doppia sicura della 1911 e certe italiche fondine per la Beretta 34 è successo non solo a me di pensare che i militari vogliano l’arma da fianco solo a patto che non ne sia facile un uso veloce. L’aggancio del caricatore è sulla sua parte anteriore, cosa che dà origine a due caratteristiche positive. La prima è che non vi sono fori nel corpo del caricatore in cui possa insinuarsi sporcizia, la seconda è che l’aggancio avviene per ben due millimetri e non per i sei-sette decimi del sistema tradizionale.
La soletta del caricatore è coperta da un tampone di polimero morbido, per cui un caricatore che in un cambio rapido cada per terra non subirà danni. Le mire dell’esemplare provato erano di tipo tradizionale con punti bianchi ma ci è stato detto che ve ne saranno anche versioni al trizio; buono finalmente l’inserimento a coda di rondine nel carrello sia per la tacca sia per il mirino, che possono essere spostati per regolazioni in deriva e sostituiti con altri di altezza diversa.
Visto l’esterno dell’arma, diamo un’occhiata all’interno, che si raggiunge con lo smontaggio da campagna. Questo inizia dal lato destro premendo l’estremità della leva di smontaggio, che a quel punto sporge leggermente rispetto al piano del fusto. In questa posizione occorre ruotare la leva verso il basso, dopo di che il gruppo carrello-canna-molla di recupero può essere separato A dal fusto. Da un esame dei componenti così divisi appare che il carrello si arresta contro il polimero, il quale funge da ammortizzatore
All’interno del fusto in polimero una struttura metallica, che porta la matricola visibile attraverso un’apertura sul latro sinistro del fusto, contiene tutta la meccanica dell’arma e può essere sostituita un blocco rinviando le riparazioni che si rendessero necessarie ad un secondo momento o a un’officina nelle retrovie. Una considerazione che riguarda l’ergonomia. Non si è solo curato il trigger reach, cioè la distanza tra retro del fusto e grilletto, perché si è anche tenuto anche di altre misure che riguardano la mano standard
Questo, unito ad una posizione molto bassa della canna, fa sì che al primo impatto sembra di aver conosciuto quell’arma da sempre. Ne è stata dimostrazione non solo la facilità con cui tutti i convenuti alla presentazione hanno affrontato i bersagli a scomparsa nel balipedio Beretta, ma anche la qualità delle rosate ottenute. Quella che vedete è stata sparata in circa 12 secondi - ho bene in mente il tempo di 10 secondi del tiro di pistola standard - partendo con l’arma tenuta a 45 gradi verso il basso per cui i 12 secondi comprendono il tempo della presa di mira, che è normalmente di un secondo e mezzo. Ho mirato alla base del riferimento nero del bersaglio, che è più piccolo della testa di un uomo. Non avevo mai impugnato l’arma prima di quel momento e non avevo tirato qualche colpo a vuoto per abituarmi allo scatto. Direi che per un quasi settantenne come io sono non ci si possa lamentare.