In questi giorni, in seguito alle notizie diffuse da alcune fonti stampa svizzere, il mondo degli appassionati d'armi in Italia come in Europa tira un sospiro di sollievo: stando alle dichiarazioni di Simonetta Sommaruga − attuale Consigliera Federale alla Giustizia, Presidente della Confederazione Elvetica dal 2015 al 2016 − il pericolo sarebbe sventato: il consiglio dei Ministri dell'Interno e della Giustizia dell'UE avrebbe bocciato i piani della Commissione Europea per la messa al bando delle armi semi-automatiche aventi l'aspetto estetico di un'arma militare, ovvero quelle attualmente individuate nella Categoria B7 dalla direttiva europea 91/477/CEE come modificata dalla direttiva 2008/51/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.
Abbiamo dunque vinto la nostra battaglia? Niente affatto!
Anzitutto, tali affermazioni non sono in linea con gli atti dell'Unione Europea. Non solo non vi è alcuna comunicazione ufficiale da parte della Commissione Europea, del Consiglio Europeo o dell'Europarlamento riguardo al ritiro, totale o parziale, della proposta di modifica della direttiva; ma la proposta medesima procede il suo iter presso le commissioni IMCO e LIBE del Parlamento Europeo: la prossima seduta ad essa dedicata è fissata (con Streaming pubblico sul Web) per il prossimo martedì 15 marzo.
La notizia deriverebbe dagli esiti dell'incontro dei Ministri della Giustizia e dell'Interno dell'Unione Europea, tenutosi a Bruxelles nei giorni 10 e 11 marzo scorsi, il cui resoconto ufficiale potete leggere quì nella sua forma originale e quì coi commenti dall'organizzazione Firearms United.
La verità, comunicataci dalle fonti riservate del Comitato Direttiva 477 e di Firearms United che hanno partecipato alle riunioni, è molto diversa: alla riunione in parola si sarebbe soltanto stabilito di garantire un'eccezione per i riservisti dal divieto di possesso di armi di categoria B7 − con conseguente confisca − che nei piani dell'UE dovrebbe comunque interessare tutti gli altri cittadini che legittimamente possiedono ed usano armi da fuoco.
La decisione non è illogica: rientrerebbe infatti in una strategia atta a spaccare il fronte dell'opposizione all'attuale proposta di modifica della direttiva, che tra i principali sostenitori vede i governi di Paesi come la Finlandia, la Slovenia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Svezia, e di nazioni non-UE che comunque fanno parte dell'area Schengen, come la Svizzera.
In questo modo, l'UE legittima il possesso di armi di categoria B7 solo con la motivazione della difesa nazionale, di fatto paragonandole ad armi da guerra vere e proprie, e le si destina soltanto a persone le cui attività di tiro sono pressoché sempre sovrintese dalle autorità militari. Per tutti gli altri, dovrebbe vigere comunque il divieto.
Ma c'è molto, molto di peggio che bolle in pentola: il documento di cui sopra, relativo alla riunione dei Ministri dell'Interno e della Giustizia dell'UE, indica come i ministri stessi abbiano deciso che "le armi semi-automatiche dovrebbero rimanere disponibili ai civili, ma con maggiori restrizioni".
Notate come non si parla di "armi semi-automatiche aventi l'aspetto di un'arma militare", ma solo di armi semi-automatiche, generalmente individuate. Ecco che si scoprono gli altarini, come già appariva dalla risposta ufficiale del 7 marzo scorso (quì in versione originale, quì commentata da Firearms United) data a una domanda posta alla Commissione Europea dai governi di Finlandia e Svezia. L'obiettivo a lungo termine è l'esportazione del Gun Control britannico in tutti i 28 Paesi dell'Unione.
Non è infatti un caso che il governo Britannico sia uno dei principali sponsor e sostenitori della proposta di restrizioni, che secondo alcuni vorrebbe l'esportazione forzata del suo modello di legge sulle armi in tutt'Europa come Conditio Sine Qua Non per la sua permanenza nell'Unione Europea in vista del referendum di giugno, al fine di non dover cedere di fronte ad un crescente movimento interno che vorrebbe la rimozione di molte restrizioni ivi vigenti.
A sostenere la posizione britannica ci sono i governi di Belgio, Francia e Italia, che sperano di poter usare l'Unione Europea per imporre restrizioni a livello nazionale senza doversene assumere la responsabilità politica di fronte agli elettori, in un momento in cui gli sport di tiro e il possesso d'armi in generale sono sempre più popolari e in cui, soprattutto, i temi della sicurezza e della difesa personale e abitativa sono sempre più diffusi e condivisi da un'opinione pubblica che non è mai stata così cosciente del pericolo costituito da una criminalità rampante e violenta come non mai.
Anche la menzione delle "maggiori restrizioni" dà da pensare: cos'hanno in mente? Non possiamo saperlo − non abbiamo la sfera di cristallo − ma possiamo immaginarlo: restrizioni alla capacità dei caricatori, oppure permessi speciali impossibili da ottenere o riservati solo a chi partecipa a un certo numero di gare ufficiali all'anno, com'è oggi in Australia per certi tipi di arma corta (il che spiegherebbe anche perché alcune federazioni di tiro dinamico sportivo, tra cui quella italiana, non hanno sinora preso posizione sulle proposte restrittive dell'UE). O peggio ancora, l'obbligo di custodia presso poligoni o campi di tiro.
Deve dunque essere chiaro a tutti che la battaglia è lungi dall'essere conclusa, e che di certo non si chiuderà a breve, tantomeno con una ritirata del "nemico". Come William Kullman ha dichiarato quest'anno in occasione del plenum WFSA di Norimberga, dobbiamo abituarci a "giocare a scacchi, non a dama": sarà una partita lunga e fatta di pazienza.
Può essere vinta, certamente, e siamo convinti che lo sarà; ma potremo risultare vittoriosi solo ed esclusivamente se tutti gli Stakeholder − produttori, distributori, venditori, e tutti i tipi di cacciatori, tiratori sportivi, collezionisti e semplici possessori − raggiungeranno un livello tale di unità da far capire ai burocrati dell'UE e dei Ministeri dell'Interno a livello nazionale come l'implementazione delle restrizioni pianificate dalla Commissione Europea avrebbero delle ricadute spaventose sia di tipo economico, politico e sociale, che nel campo della pubblica sicurezza.
Sullo stesso tema vedi anche: