I fatti
Tizio richiede il rinnovo del porto d’armi ma a suo carico emerge, in sede di istruttoria, una condanna per resistenza a pubblico ufficiale ai sensi del 337 del codice penale, oltre ad altri reati di minore entità.
Chiaramente il Questore rifiuta la richiesta di rinnovo, considerando un reato come quello oggetto di procedimento come pienamente ostativo e quindi sintomatico di una personalità non propriamente affidabile. I reati, però, venivano poi dichiarati estinti dal Tribunale dopo che le parti in causa avevano ottenuto una sentenza di applicazione pena nel 2001.
La questione approda al TAR che confermerà la decisione del Questore.
Tizio, quindi, presenta ricorso in Consiglio di Stato sostenendo il proprio interesse a vedersi rinnovato il porto d’armi con le ragioni che seguono.
I motivi del ricorso
Prima di tutto l’interessato sostiene, come già aveva fatto di fronte al TAR, che proprio questo organismo giudicante abbia errato dal momento in cui aveva considerato come automaticamente ostativa al rilascio del porto d’armi proprio la sentenza di applicazione pena riportata nel 2001. Secondo Tizio, che si rifà anche all’art. 43 del TULPS, in pratica non dovrebbe esserci un automatico rifiuto del porto d’armi dal momento in cui sia intervenuta la riabilitazione oppure, come nel caso di specie, l’estinzione del reato. In pratica Tizio dice che siccome è passato un certo lasso di tempo ed i reati sono estinti, allora sono una persona affidabile e merito di ottenere un rinnovo del porto d’armi.
La seconda motivazione riguarda il fatto che l’intera vicenda sia viziata da una serie di errori commessi in fase di istruttoria e da un generale travisamento dei fatti.
L’estinzione del reato
È necessario qui vedere insieme che cosa si intende per estinzione del reato. Il codice penale, all’art. 445 comma 2, regola l’istituto giuridico dell’estinzione del reato, enucleando quei casi in cui il reato viene estinto.
Riportiamo, per completezza, il testo dell’art.
[…]il reto è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria, o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.
Il rigetto del ricorso
Vi diciamo immediatamente che il ricorso, così presentato da Tizio, verrà poi rigettato.
Di seguito vediamo insieme quali sono stati i motivi che hanno portato i giudici amministrativi a rifiutare il porto d’armi.
Prima di tutto il Consiglio di Stato sostiene che, anche se intervenuta l’estinzione del reato, non è possibile far venire meno la possibilità, che comunque rimane in capo all’Amministrazione, di applicare automaticamente un diniego di porto d’armi in presenza di certe fattispecie di reato come menzionate nell’art. 43 del TULPS.
A questo punto, l’organo giudicante evidenzia come vi siano stati, nella dottrina interpretativa del diritto delle armi, due orientamenti interpretativi di questioni del genere.
Il primo orientamento interpretativo, e quindi della giurisprudenza, applica in modo automatico quanto stabilito in materia di diniego di rinnovo del porto d’armi(artt. 11 e 43 del TULPS). In sostanza questo orientamento giurisprudenziale sostiene come l’Amministrazione non sia chiamata a fare una istruttoria pensata e ragionata, applicando ove necessario anche una certa ragionevolezza nel giudizio. In automatico quindi si nega il rinnovo o il primo rilascio in presenza di certi reati.
Il secondo orientamento, invece, sostiene come l’Amministrazione sia invece obbligata a ragionare quando si tratta di applicare un diniego di rinnovo o primo rilascio, applicando quella ragionevolezza che comunque dovrebbe sempre ispirare il lavoro svolto dalla macchina amministrativa.
In tal caso l’Amministrazione dovrà e potrà valutare la condotta di vita di un soggetto andando a soppesare tutta una serie di istituti eventualmente applicati come l’estinzione dei reati oppure, altrimenti, la riabilitazione.
Il lettore potrà quindi dire che ok, il reato è estinto, il porto d’armi avrebbero dovuto rinnovarlo. Il problema, di natura interpretativa, sta proprio qui.
I due istituti non sono, in alcun modo, sovrapponibili! In particolare solo la riabilitazione garantirà la vera e propria rieducazione del soggetto ove questi abbia commesso eventualmente un reato. Cosa ben diversa con l’estinzione la quale non garantisce, per sua natura, la certezza di una rieducazione al vivere sociale ispirato al rispetto delle regole.
Di fronte a questa consapevolezza, quindi, il Consiglio di Stato ha optato per un diniego di rinnovo, non avendo Tizio, di fatto, mai ottenuto una riabilitazione e quindi non avendo avuto certezza di un eventuale rieducazione. Dove sta la differenza? la riabilitazione è ottenuta con una pronuncia del Tribunale, che “certifica” la rieducazione del reo mentre l’estinzione del reato la si ha per il decorso di un certo lasso di tempo comunque limitato.
Normative di riferimento
Art. 337 codice penale
Art. 445 codice di procedura penale
Artt. 11 e 43 tulps
Video: Resistenza a pubblico ufficiale, estinzione del reato e conseguenze sul porto d’armi. Nuova sentenza del Consiglio di Stato
Corrado Maria Petrucci
Esperto in Diritto delle Armi e della Caccia
Responsabile rubrica legale All4shooters.com / All4hunters.com
email: legalall4shooters@gmail.com