La discrezionalità dell’amministrazione
Ormai i nostri appassionati lettori hanno imparato che l’amministrazione gode di una ampia discrezionalità quando si tratta d valutare l’affidabilità del soggetto che richiede un primo rilascio io rinnovo del porto d’armi. Sappiamo infatti che l’interesse primario che l’amministrazione deve tutelare è quello della pubblica sicurezza. Tutelare la pubblica sicurezza significa, di fatto, scongiurare la possibilità che armi e munizioni finiscano nelle mani di persone che, per caratteristiche proprie o per eventi che ne abbiano caratterizzato il vissuto personale, non diano modo di dimostrare la piena affidabilità nell’utilizzo delle armi.
La discrezionalità dell’amministrazione trova il proprio fondamento negli artt. 11 e 43 del Tulps (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) in cui troviamo, oltre ad una serie di elementi in presenza dei quali il porto d’armi può o altrimenti deve essere tolto, anche il riferimento al fatto che è proprio nel potere di questure e prefetture di poter negare una licenza di porto d’armi a persone che non diano dimostrazione della propria piena affidabilità.
Sulla base di tale dicitura, non a caso di ampio respiro sia sul piano giuridico che semantico, il legislatore ha fatto si che tutta una serie di elementi, non per forza elencati nei testi normativi di riferimento, possano in qualche modo essere pienamente addotti dall’amministrazione per poter togliere il porto d’armi, considerando tali elementi come sintomatici di potenziale pericolosità.
Il regime di detenzione domiciliare
Vediamo cosa significa e come funziona il regime di detenzione domiciliare. Prima di tutto il regime di detenzione domiciliare permette al condannato di scontare la propria pena in una modalità, per cosi dire, assai meno limitante.
Nel 1986 entra in vigore la legge n. 663 la c.d. legge “Gozzini” che introdusse l’art. 47-ter c.p. e cioè la c.d. detenzione domiciliare. Tale articolo stabilisce quali siano i soggetti che abbiano diritto a scontare la pena in tale modalità.
Il comma 01 prevede la concessione del beneficio in questione ai soggetti che abbiano compiuto i 70 anni di età, purché non siano stati condannati per reati cosiddetti a sfondo sessuale (ex artt. 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p.). Inoltre, questi non devono essere stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o recidivi ai sensi dell’art. 99 c.p.
Il comma 1, invece, prevede la concessione del beneficio de quo ai soggetti condannati alla pena della reclusione non superiore ad anni 4 (anche costituente residuo di maggior pena) a:
a. donne incinta o madri di prole di età non superiore a 10 anni con esse conviventi;
b. persone che versano in uno stato di salute particolarmente grave da necessitare di costanti contatti con i presidi sanitari del territorio;
c. persone che abbiano compiuto i 60 anni di età e affetti da patologie gravi o parzialmente invalidanti;
d. persone che non abbiano compiuto i 21 anni di età, per motivi di lavoro, famiglia, salute e studio.
Parenti ai domiciliari e conseguenze sul porto d’armi
Vediamo ora che cosa potrebbe succedere nel caso in cui un parente convivente sia stato sottoposto a regime di detenzione domiciliare. In via di principio, l’amministrazione potrebbe essere pienamente legittimata a comminare un provvedimento di divieto detenzioni armi e munizioni in caso di convivenza con persona ai domiciliari.
È chiaro che il l’amministrazione si preoccupa di evitare che una persona che è stata comunque sottoposta a pena detentiva sulla base di una sentenza, quindi ogni oltre ragionevole dubbio certamente non proprio affidabile, abbia poi concretamente accesso ad armi e munizioni poiché è ovvio, come abbiamo summenzionato, l’interesse che l’amministrazione deve tutelare è quello della pubblica sicurezza, quindi della sicurezza di tutti.
Ricordiamoci inoltre che almeno in Italia non esiste un vero e proprio diritto a possedere armi e ad essere per forza titolari di un porto d’armi. Avere armi, secondo le normative di riferimento, è una deroga ad un generalissimo divieto stabilito dalla legge.
Certamente però chi si dovesse veder comminato un ritiro di porto d’armi nel caso in cui convivente sia stato sottoposto ad arresto domiciliare potrà opporsi nelle sedi opportune dimostrando che le armi siano comunque detenute in modo tale che la persona sottoposta ad arresti domiciliari non vi abbia accesso.