“Traslochi pericolosi”: la nuova sentenza della Cassazione in materia di porto abusivo di armi

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I fatti: trasporto di coltelli o porto d'armi?

Come sempre occupiamoci prima dei fatti, di ciò che, nel concreto, è successo. Tizio, assieme alla moglie, era impegnato a traslocare. Mentre trasportava i propri oggetti verso la nuova abitazione, veniva sottoposto ad un controllo da parte delle Forze dell’ordine presenti alla Stazione di Milano ed emergeva che lo stesso aveva, con sé, una mannaia tenuta in uno zaino. 

Tizio immediatamente si giustificava, come è giusto che sia, dicendo come lo stesso, insieme alla moglie, fosse impegnato ad effettuare il trasloco e, dovendo anche traslocare gli oggetti della cucina, si era reso conveniente mettere la mannaia all’interno dello zaino. Gli agenti accertavano anche che Tizio trasportava, nel concreto, altri coltelli. 

Gli agenti, però, non ne vogliono sapere e scatta la denuncia per porto abusivo d’arma ai sensi dell’art. 699 del codice penale. 

Il ricorso di Tizio 

Un coltello da cucina Vintage Marietti (in alto) e un Nakiri in stile giapponese. 

Ovviamente, di fronte ad una applicazione della legge totalmente errata da parte di chi, invece, dovrebbe comunque garantire il cittadino, Tizio presenta il proprio ricorso, sostenendo le proprie ragioni nel modo che segue e che andremo a vedere insieme. 

Prima di tutto Tizio sostiene come, in realtà, la mannaia fosse trasportata (per le forze dell’ordine portata) dalla moglie e  non da lui stesso. infatti, anche sulla base della testimonianza della moglie, tale questione  ulteriormente avvalorata. 

Il terzo motivo ci interessa particolarmente. Secondo una certa interpretazione della normativa in materia, per potersi integrare il porto dell’arma la stessa dovrà essere immediatamente disponibile al portatore. Tale disponibilità potrebbe anche essere limitata nel tempo, ma comunque, anche se per cinque minuti, l’arma si potrebbe considerare portata e non trasportata perché a disposizione del soggetto.

L’accoglimento del ricorso 

Ringraziando il cielo, la Cassazione, in tal caso, accoglie pienamente il ricorso, osservando come l’interpretazione e relativa applicazione della legge fatta dagli agenti e da parte dei giudici dei gradi precedenti sia stata, in toto, sbagliata. 

Nel particolare, ai giudici della Cassazione non importa tanto stabilire chi portasse l’arma, se Tizio o sua moglie. Quello si cui gli Ermellini si concentrano è se la mannaia possa essere, concretamente riconducibile alla nozione di arma, il cui porto integrerebbe il reato di cui all’art. 699 codice penale e cioè il porto abusivo di arma. 

I giudici della Cassazione rilevano come, secondo l’art. 704 del codice penale, a doversi considerare arma siano prima di tutto quelle indicate nel primo capoverso dell’art. 585 del codice penale. Leggendolo, infatti, notiamo come per armi debbano intendersi primo quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale (lo scopo per cui sono state concepite e costruite) sia l’offesa alla persona. Quindi mentre una pistola è stata ovviamente concepita e progettata e costruita per l’offesa alla persona, la mannaia di certo non è stata concepita con lo scopo primario di recare offesa alla persona, perché la stessa è stata, invece, costruita come oggetto da usare prima di tutto in cucina per tagliare carne. 

I giudici sottolineano, infatti, come al massimo la mannaia possa considerarsi come strumento atto ad offendere (sempre tenendo in considerazione le circostanze di tempo e luogo) di cui la legge non vieta il porto in maniera tassativa ed esclusiva, ma lo vieta solo se non si ha un giustificato motivo. 

I giudici, quindi, accolgono pienamente le ragioni di Tizio, annullando la condanna. 

Qualche riflessione 

Senza scendere in valutazioni di natura eccessivamente tecnica, perché credetemi che di profili di responsabilità, per ciò che è stato oggetto del giudizio e per le modalità con cui è stato condotto,  ce ne sarebbero ed anche tanti. 

Quello che appare chiaro è che, almeno in materia di armi, spesso e volentieri alcuni giudici ed anche molti agenti che dovrebbero applicare in modo corretto la legge, ne sanno, in realtà, molto poco. 

Da qui si giunge a casi come quelli che abbiamo affrontato nel presente articolo, in cui per una applicazione pedante della legge, un tale si è trovato costretto a subire un giudizio che non è durata   poco e che, sicuramente, ha richiesto un ingente investimento in termini di risorse economiche.  Soldi che, quasi sicuramente, il malcapitato non rivedrà mai. 

Normative di riferimento 

  • Artt. 699, 585 codice penale
  • Legge 18 aprile 1975 n. 110 

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