Il caso: uccellagione o furto venatorio?
Il tribunale inizialmente decide di non doversi procedere, nei confronti di Tizio, per il reato di uccellagione, successivamente mutato in furto venatorio, inizialmente lui contestato.
Nei confronti di tale sentenza, propone ricorso per Cassazione il procuratore generale presso la Corte d’Appello il quale contesta come il tribunale, in primo grado, abbia pesantemente errato quando si limitava a contestare a Tizio la semplice ammenda e l’arresto (che non è dato sapere, almeno dal testo della sentenza, se è stato poi o meno comminato) come previsto dall’art. 30 lett. E) della 157 del 1992.
Secondo il procuratore, infatti, trattasi di furto venatorio e non di semplice esercizio della caccia con mezzo vietato integrante l’uccellagione. Il comportamento tenuto da Tizio integrerebbe il reato di furto aggravato ai danni dello Stato, quindi vero e proprio furto venatorio.
In particolare lo scriminante, sulla base del quale il ricorso viene presentato, è il fatto che quanto espressamente previsto dall’art. 30 della 157 del 1992 sarebbe applicabile, almeno primariamente, ai casi in cui il contravventore sia munito di licenza di caccia. Quindi un cacciatore che caccia secondo modalità non conformi alle previsioni normative vigenti.
Discorso assai diverso è il caso di altro soggetto che, senza avere la licenza di caccia, decide di apprendere, in modo del tutto illegittimo, capi appartenenti dalla fauna selvatica, che sappiamo essere patrimonio dello Stato.
Sulla base di questo ragionamento, che certamente è pregevole sul piano logico e giuridico, il ricorso troverà pieno accoglimento presso la Corte di Cassazione che, in tal modo, rimetterà gli atti al tribunale affinché si proceda nuovamente nei confronti di Tizio sulla base di quanto stabilito nella sentenza di accoglimento del ricorso.
Ovviamente l’applicazione dell’art. 30 lett. e della 157 del 1992 mantiene anche la possibilità di una applicazione della normativa prevista in materia di furto venatorio.
Cosa dice la legge
Vediamo adesso, in modo molto sintetico, cosa dice la legge in materia di disposizione, da parte dello Stato, della fauna selvatica e relativamente al furto venatorio.
La denuncia per furto venatorio è, innanzitutto, procedibile d’ufficio. Questo significa che, dal momento in cui l’Autorità giudiziaria viene a conoscenza del fatto integrante il reato, questa mette in moto un meccanismo, per cosi dire, che non può essere fermato. Il processo andrà avanti secondo quanto prevede la procedura di riferimento.
La pena prevista è quella della reclusione da 1 a 6 anni e una multa che va da 103,00 a 1032,00 euro.
La fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato
L’art. 1 della legge 157 del 1992 stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale”
Tale principio viene affermato già in una legge più risalente, e cioè la legge 968 del 1997 secondo cui la fauna selvatica, trovando la propria qualificazione come patrimonio, appunto, indisponibile dello Stato, gode di una tutela particolare e quindi di azioni volte alla conservazione e gestione della stessa. La caccia rientra, a pieno titolo, tra gli strumenti più incisivi ed efficaci di gestione del patrimonio faunistico dello Stato.
Sul piano giuridico, affinché ci si possa appropriare di capi appartenenti alle specie che rientrano nelle specie cacciabili, come previsto dalla 157 del 1992, è necessario essere muniti di porto d’armi ad uso caccia, ottenuto secondo le procedure previste dalla legge e sulla base di requisiti di affidabilità e formazione del futuro aspirante cacciatore.
Normative di riferimento
Legge 157 del 1992 art. 30 lett. e)
Artt. 624 e 625 del codice penale
Video: Furto venatorio. Analisi normativa e giurisprudenziale
Corrado Maria Petrucci
Esperto in Diritto delle Armi e della Caccia
Responsabile rubrica legale All4shooters.com / All4hunters.com
email: legalall4shooters@gmail.com