Riceviamo e pubblichiamo la replica di Firearms United all'editoriale scritto da Carlo Alberto Romano, pubblicato il giorno 29 aprile 2016 sul sito web del Corriere della Sera, per il quale il Comitato Direttiva 477 ha già chiesto il diritto di replica
La propaganda non dice mai nessuna verità. Qualunque sia la cornice di senso entro cui si voglia inquadrarla, per quanto acume e per quanta onestà si possano spendere nel descrivere in modo accurato i limiti entro cui una certa “verità” può essere presentata in quanto tale, essa è comunque il (temporaneo) punto di arrivo di un’indagine. La propaganda non può in nessun caso dire “verità” perché, quando anche enunciasse dati formalmente corretti, il suo scopo è di convincere il lettore, non informarlo: nessuna informazione è neutrale, ma la propaganda non ci prova neanche! E quando la propaganda attacca dell’altra propaganda o si serve di altra propaganda, il risultato è semplicemente altra propaganda.
Di questo ci ha dato una dolorosa conferma Carlo Alberto Romano nel suo editoriale sul Corriere della Sera: un articolo iniziato con interessanti spunti antropologici e filologici diventa l’esempio di quanto il giornalismo possa essere parziale, e di quanto qualcuno che voglia a tutti i costi convincere o assecondare il lettore venga colto da cecità selettiva rispetto alle fonti – e nella fattispecie, una cecità che escluda sistematicamente una grande quantità di dati e ne consideri altri da una prospettiva arbitraria e non rappresentativa al fine di dimostrare che in qualche modo le armi da fuoco che cacciatori, sportivi e operatori di sicurezza acquistano legalmente (dopo un lungo iter burocratico lungo il quale sono indagati preventivamente dallo Stato e ne ottengono un documento che certifica la loro estrema affidabilità sotto molteplici profili tra cui quello legale e quello psicologico) avrebbero un qualche tipo di oscura influenza che indurrebbe le persone ad uccidere senza motivo.
È la teoria del cosiddetto “Effetto arma”, sviluppata da Leonard Berkowitz e Anthony LePage in un controverso esperimento del 1967 e già da tempo confutata ed ampiamente screditata dai lavori indipendenti del Crime Prevention Research Center e da John Lott nella pietra miliare delle ricerche del settore: More guns, less crime.
La letteratura scientifica internazionale NON esprime alcuna “convinta perplessità” rispetto al possesso di armi da fuoco da parte dei cittadini. A voler essere generosi, si dovrebbe dire quanto meno che la questione è dibattuta, oppure si implica che gli scritti di studiosi quali Gary Kleck, Jean Karl Soler, Ernst Doblers, Franz Csàszàr, Gary Mauser, James Wright, Peter Rossi e tanti altri – peraltro criminologi di fama pari o maggiore a quella del loro collega Carlo Alberto Romano! – non abbiano valore scientifico, quando il loro valore è ampiamente riconosciuto.
Si parla poi degli Stati Uniti con tali generalizzazioni che ogni pretesa di credibilità è a questo punto vana. Sarebbero il paese che “ha scelto di non incidere con restrizioni sulla autodeterminazione ad armarsi”, ma non si fa menzione del fatto che la situazione varia anche radicalmente da stato a stato, passando da quelli in cui vige il “Constitutional Carry” (con qualche variazione, il diritto di portare armi per il solo fatto di essere residenti, oggi vigente in 11 Stati, in rapido aumento) a quelli in cui queste sono quasi completamente vietate, anche più che da noi.
E neppure si fa menzione del fatto che sono proprio gli Stati dalle leggi più restrittive quelli in cui la situazione criminale è più drammatica, come non si fa menzione del fatto che dove le restrizioni sono state allentate il crimine ha continuato a diminuire (si veda per esempio il caso di Chicago).
Si evita poi accuratamente di menzionare la natura fallace del famoso mito secondo cui "negli USA ci sono dai trentamila ai trentacinquemila morti all'anno per armi da fuoco". Visto e considerato che negli Stati Uniti vivono più di 320 milioni di persone e ogni anno ne muoiono due milioni e mezzo, facendo un rapido calcolo approssimato, il numero dei morti per armi da fuoco negli USA è lo 1,3477% di tutti i morti in generale ogni anno; se poi ci aggiungiamo che di questi fantomatici 30/35mila morti, dai 20mila ai 25mila sono suicidi, la cosa si ridimensiona ancora: il suicidio è un fattore che solo gli antiarmi reputano rilevante nel computo, perché li aiuta a gonfiare le statistiche.
I criminologi seri, d'altro canto, eliminano sempre i suicidi dall'equazione in quanto chi desidera uccidersi e non ha accesso alle armi da fuoco troverà sempre metodi non controllabili e parimenti letali, come nel caso del Giappone, ove ad un tasso di possesso d'armi dello 0,6% fa da contraltare il fatto che il suicidio rappresenta la principale causa di morte per i maschi tra i 20 e i 44 anni.
Dunque, grossolanamente, scremiamo altri 20mila morti dal computo e scopriamo che i morti per armi da fuoco negli USA per cause diverse dal suicidio rappresentano lo 0,5776% di tutti i morti negli USA ogni anno. Se poi da questo 0,5776% si depennano le morti accidentali – che secondo il CDC rappresentano quasi la metà del rimanente – e poi si tiene in debito conto il fatto che il 96% dei crimini a mano armata viene commesso nel 6% degli indirizzi, con armi detenute in modo illegale da criminali incalliti e nell’ambito di guerre tra bande, si ha di fronte la realtà: la violenza a mano armata negli USA è un problema che ha a che fare essenzialmente con la criminalità organizzata, proprio come da noi.
Di questo (non sorprendentemente), il prof. Romano non tiene conto, così come non tiene conto del fatto che armi da fuoco detenute legalmente dai cittadini USA vengano usate per sventare più di duemila crimini al giorno, tra gli ottocentomila e i due milioni e mezzo all’anno, e che in quasi tutti i casi sia sufficiente mostrare l’arma o sparare colpi di avvertimento, senza che nessuno venga ferito. Tali sono le conclusioni dello studio di Gary Kleck, criminologo di reputazione e valore pari o superiore a quelle del prof. Romano, e di cui il rigore inattaccabile ha lasciati anche i suoi avversari senza possibilità di replica.
Tornando da questa parte dell'Oceano Atlantico, secondo il prof. Romano “l’analisi di tutti gli omicidi commessi ci dice che il 41 % è riconducibile all’uso di armi da fuoco”.
Verissimo! Come è vero che meno del 10% di questi è riconducibile ad armi da fuoco legali, e che solo parte di questi sarebbe impedita se dette armi legali fossero bandite, semplicemente perché in molti casi l’omicidio sarebbe stato perpetrato con altri mezzi.
Il prof. Romano è solo l’ultimo di tanti convinti che una particolare classe di attrezzi dai molti usi produttivi, piacevoli e legali, oltre che utili per difendersi da aggressioni cui altrimenti non si potrebbe che soccombere e ancora più presidio di libertà e democrazia, sia la causa del male e dell’odio nella nostra società.
Noi pensiamo che siano attrezzi che in quanto tali non fanno altro che la volontà di chi li impugna e che se vogliamo una società più sicura dobbiamo lavorare per eliminare le disparità e i disagi sociali ed economici che spesso sono causa di intenzioni omicide e al contempo consentire, a chi dia ragionevoli garanzie di non abusarne, di dotarsi degli strumenti più efficaci per sventare minacce alla propria ed all’altrui incolumità.
Lasciamo il prof. Romano e voi con le conclusioni cui è giunto in proposito il grande giurista Edoardo Mori:
- Non esiste e non può esistere alcuna statistica idonea a dimostrare il rapporto tra numero delle armi detenute e numero di crimini commessi in dato paese.
- È sicuro che il problema non è costituito dalle armi legalmente detenute, ma dalle armi illegali.
- È sicuro che una legislazione restrittiva in materia di armi non incide in modo significativo sulle armi illegali e che nessun delinquente si lascerà distogliere dal delinquere con armi (chi vuol commettere un omicidio non si preoccupa di certo delle pene per l'arma!).
- I dati in nostro possesso dimostrano in modo convincente che il possesso di armi da parte degli onesti cittadini, costituisce un efficace deterrente per i criminali.
- Il numero dei delitti gravi dipende da cause che nulla hanno a che vedere con le armi.
- È certamente necessario un controllo sulla personalità delle persone che detengono armi da fuoco pericolose.