Lo stato di guerra e la Costituzione: gli artt. 11, 78 e 87 Cost.
Partiamo prima di tutto da un riferimento normativo di importanza fondamentale in materia di guerra. Ci riferiamo, quindi all’art. 11 della Costituzione che stabilisce quanto segue:
“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Leggendo il testo dell’art. 11 ci sono alcune considerazioni da fare. Prima di tutto l’utilità dello strumento della guerra fatta dal legislatore. Appare ovvio che il legislatore del 1947-1948 si è preoccupato di sventare qualsiasi utilizzo della guerra come strumento di risoluzione di qualsivoglia controversia internazionale. Una dicitura di tale calibro, oltre al buon senso di cui l’intero testo costituzionale è permeato, risente certamente della sensibilità del periodo storico in cui la Costituzione è stata approvata. L’Italia infatti usciva dal secondo conflitto mondiale devastata e le conseguenze disastrose dell’utilizzo della guerra in modo parziale e del tutto incontrollato erano sotto gli occhi di tutti, cittadini e politici.
Il legislatore si è anche preoccupato, in modo assolutamente ragionato e sensato, di sottolineare come la guerra sia uno strumento di assoluta assurdità in particolare quando del medesimo se ne faccia un utilizzo volto all’offesa della libertà degli altri popoli.
Altro riferimento di fondamentale importanza è quello alla limitazione della propria sovranità, in parità ovviamente con gli altri Stati, affinché la pace tra le Nazioni ed i popoli sia garantita. In questo caso appare ovvio che l’intento del legislatore del 1947-1948 sia stato quello di evitare che il nostro Paese assumesse un atteggiamento di inosservanza e di mancato intervento proprio in quegli scenari internazionali ove si assista alla lesione della summenzionata libertà dei popoli e delle garanzie alla base dei diritti dell’uomo. L’Italia, infatti, come esplicitamente sottolineato dall’art. 11, favorisce quelle istituzioni di diritto internazionale che di tale preoccupazione facciano il proprio movente di intervento. L’esempio più chiaro è la Nato.
Vediamo ora come funziona la dichiarazione di guerra e cosa dice, in questo caso la Costituzione.
Prima di tutto il riferimento normativo è all’art. 78 della Cost. Ne riportiamo il testo:
“Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.”
La ratio legis di tale norma è abbastanza chiara. Come ben sappiamo le Camere raccolgono i rappresentanti del popolo e cioè i Deputati ed i Senatori. È proprio a loro, in quanto rappresentanti del popolo e della sovranità popolare, che spetta di decidere circa la necessità di approvare lo stato di guerra. Secondo la prassi appare ovvio che l’approvazione dello stato di guerra deve essere approvata “non molto lontano dall’insorgere del conflitto”. Quindi in un tempo che sia ragionevole per ottemperare alle necessità derivanti da una situazione conflittuale in cui l’Italia abbia un ruolo non marginale e quindi attivamente coinvolto. Per rendere certamente concreta la partecipazione delle due Camere alla dichiarazione dello stato di guerra è stata approvata la legge n. 25 del 1997 attraverso cui il legislatore ha conferito al Ministero della Difesa il compito di attuare le deliberazioni adottate dal Governo. Sempre secondo tale legge la funzione del Ministero della Difesa si limita alle deliberazioni preventivamente sottoposte all’esame del Consiglio supremo di difesa e all’approvazione del Parlamento.
Ai sensi dell’art. 87 della Costituzione ad avere il comando delle Forze Armate è il Presidente della Repubblica. Esso presiede il Consiglio supremo della difesa.
Video: Guerra montata
Stato di guerra: chi viene chiamato alle armi?
Di fronte ai tragici scenari a cui tutti stiamo assistendo riguardanti il conflitto in Ucraina, è sorto il dubbio a moltissimi dei nostri lettori circa le modalità di c.d. “chiamata alle armi” in caso di approvazione dello stato di guerra. Stante la remotissima possibilità di un coinvolgimento attivo e diretto del nostro Paese nel conflitto in Ucraina, è nostra premura oggi sciogliere qualsiasi dubbio.
Prima di tutto iniziamo col dire che, sul piano giuridico, il dubbio circa un eventuale ripristino dell’art. 1929 comma 2 del codice dell’ordinamento militare è il primo dubbio che ha assalito molti lettori. Si è infatti discusso circa l’eventuale ripristino dell’ormai sospeso obbligo della c.d. leva militare obbligatoria. Dal 1 gennaio 2005 tale obbligo è stato infatti sospeso, quindi non proprio abolito definitivamente. Il legislatore si è infatti preoccupato, in maniera del tutto legittima, di riservarsi, ove necessario, di poter ripristinare tale obbligo di fronte a particolari esigenze, che adesso vedremo.
Prima di tutto un eventuale ripristino dell’obbligo di leva militare deve essere approvato con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. La condizione primaria affinché tale obbligo sia ripristinato è quella di una insufficienza, sul piano numerico, dell’organico del personale militare disponibile, ove non si riesca a colmare tale deficit numerico richiamando anche il personale militare volontario che abbia terminato il proprio servizio militare da non più di cinque anni. In sostanza possiamo affermare che questa categoria di cittadini sarebbe la prima ad essere richiamata alle armi ove se ne presenti la necessità.
Tale casistica, certamente remota grazie all’impegno dei ragazzi che ogni anno scelgono di giurare fedeltà al tricolore ed alla Repubblica, prevede però alcuni casi particolari.
Prima di tutto deve essere stato dichiarato lo stato di guerra ai sensi dell’art. 78 della Costituzione in ottemperanza ai diritti ed agli obblighi derivanti da una concertata lettura dell’art. 11 Cost. altro caso è quello di un coinvolgimento attivo del nostro Paese in scenari ove si prospetti una gravissima crisi internazionale oppure in scenari, sempre di grave crisi. in cui ad avere parte attiva sia una organizzazione internazionale di cui l’Italia faccia parte.
Proseguendo nella lettura dell’art. 1929 del codice dell’ordinamento militare leggiamo, inoltre, che nei casi summenzionati non possono essere richiamati, al fine di colmare le vacanze in organico, gli appartenenti alle Forze di Polizia ad ordinamento civile ed al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
Proprio in virtù di un “congelamento” de facto dell’obbligo di leva militare, che abbiamo capito essere ben diverso da una vera e propria abolizione, di fatto ove la Presidenza della Repubblica con decreto dovesse ripristinare l’obbligo di leva, le Forze Armate attingerebbero a quelle che venivano definite le c.d. “liste di leva” nei quali venivano riportati i nomi di tutti i cittadini di età compresa tra i 17 ed i 45 anni. Tali liste veniva conservate negli uffici dei Comuni di residenza.
Regole assolutamente particolari vigono invece per chi abbia già fatto parte delle Forze Armate. Infatti, a seconda dei gradi raggiunti all’atto del congedo, degli incarichi ricoperti e delle normative di settore di volta in volta approvate, gli Ufficiali (in servizio permanente o di complemento) ed i Sottoufficiali vengono inseriti negli appositi ruoli della “riserva” e, ove necessario, possono essere richiamati anche su domanda spontanea degli stessi, fino al cinquantaseiesimo (56°) anno di età.
L’art. 52 della Costituzione: l’obbligo di difesa della Patria
Chiudiamo il nostro lavoro menzionato un altro articolo della Costituzione. L’art. 52, infatti, al primo comma, riporta l’obbligo, valente per ogni cittadino, di difendere la propria Patria.
Di fatto, quindi, la chiamata alle armi è assolutamente obbligatoria e per evitarla non è possibile nemmeno addurre come giustificazione lo stato di obiettore di coscienza. L’unica modalità attraverso cui sarebbe possibile evitare una chiamata alle armi sarebbe quella di avere dei comprovati motivi di salute che pregiudichino la possibilità d far parte delle Forze Armate. Per le donne lo stato di gravidanza rappresenta motivo ostativo.
Molti nostri lettori ricorderanno le famigerate visite a cui si veniva sottoposti e gli esiti potevano, di fatto, essere i seguenti:
- Idoneo: avviene l’arruolamento
- Rivedibile: momentaneamente inidoneo e quindi da sottoporre a nuova visita
- Riformato: permanentemente inidoneo al servizio militare
Normative di riferimento
- Costituzione
- Codice dell’ordinamento militare
- Legge n. 25 del 1997