Cosa dice la legge
Materia: diritto delle armi e di pubblica sicurezza
Ambito: classificazione pugnali e coltelli
Normative di riferimento: artt. 42,comma 2, art. 45 regolamento attuazione tulps, art 4 legge 18 aprile 1975 n. 110. Art. 699 codice penale
Il caso, oggetto della sentenza, è stato da noi già analizzato nell’articolo che potete leggere qui https://www.all4shooters.com/it/tiro/legge/Taser-manganelli-tirapugni-e-coltelli-a-scatto-nuova-sentenza/
Partiamo dall’analisi delle normative di riferimento, in materia di coltelli e pugnali. Prima di tutto il coltello, ai sensi dell’art. 45 comma 2 del regolamento di attuazione del tulps, non è considerato come arma in senso proprio, e come tale soggetta alla disciplina delle armi, in virtù del fatto che il coltello non è concepito come strumento la cui destinazione finale è quella dell’offesa alla persona, seppur comunque, per le circostanze di tempo e luogo, può all’occasione essere usato per l’offesa. È quindi arma in senso improprio. La detenzione in casa di coltelli è perfettamente consentita ma, senza un giustificato motivo, che sia attuale, vero, oggettivo e immediatamente riscontrabile, ne è vietato il porto. Quindi con un coltello addosso, a meno che non sia abbia una valida ragione non si può uscire di casa.
Il pugnale, invece, caratterizzato dall’avere punta acuta e doppio filo di lama, è considerato arma in senso proprio. È quindi uno strumento disciplinato dalla stessa legge che regola le armi. La norma di riferimento è l’art. 45 del regolamento di attuazione del tulps.
Nel caso di porto di pugnale, è necessario avere non solo un giustificato motivo ma, poiché il pugnale o lo stiletto sono considerati armi, è necessario essere dotati di una valida autorizzazione da parte dell’Amministrazione.
È interessante notare come il reato di porto di coltello e porto di pugnale sottendano e due discipline diverse e come le conseguenze, dal punto di vista della norma incriminatrice.
Il primo, infatti, prevede che la norma applicata sia quella prevista all’art. 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110 mentre la seconda fattispecie, porto di pugnale, sottende all’applicazione dell’art. 699 del codice penale e cioè porto abusivo di armi.
Le “leggendarie” quattro dita
La leggenda delle famigerate quattro dita, sotto le quali si potrebbe presumere il giustificato motivo relativo al porto del coltello, deriva da una previsione situata all’interno del regolamento di attuazione del tulps. In pratica, sulla base di questa norma (attualmente abrogata ai sensi della legge 18 aprile 1975 n. 110) se si veniva colti con addosso un coltello la cui lama risultava lunga meno di quattro dita, allora non c’erano problemi. Questa norma, però, come abbiamo detto, risulta abrogata e quindi non risulta mai presunto il giustificato motivo relativo al porto. La lunghezza della lama quindi non conta nulla.
Orientamenti giurisprudenziali poco chiari…
La sentenza di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, certamente, ha considerato come pugnali i coltelli che erano stati da Tizio esposti sulla sua bancarella, venduti comunque con autorizzazione per la vendita ambulante di strumenti da punta e da taglio di competenza ora del Sindaco ex art. 37 TULPS.
Quello che noi interessa è il criterio sulla base del quale quei coltelli furono, all’epoca dei fatti e sulla scorta del perito che emesso la consulenza tecnica d’ufficio, classificati come pugnali e quindi sottesi alla disciplina in materia di armi.
Sappiamo che la legge ci dice come uno strumento, per essere considerato come pugnale, deve avere la “doppia lama” (e la punta acuta). A questo punto, sulla base della normale prudenza e del normale apprezzamento di chi non è avvezzo a questioni giuridiche, si potrebbe pensare come la doppia lama debba svilupparsi lungo tutto il coltello. Ma così non è almeno sulla base della interpretazione data dalla sentenza 8991 della Corte di Cassazione.
Infatti i coltelli che la Cassazione ebbe a considerare come pugnali avevano la doppia lama sviluppata, leggiamo, fino a metà. Questa cosa ha delle implicazioni.
Dal punto di vista pratico, almeno a livello di giurisprudenza e quindi della interpretazione delle norme, stabilire che coltelli dotati di doppia lama fino a metà siano pugnali significa sottendere alla disciplina delle armi un maggior numero di oggetti che, magari, fino a poco tempo fa, non lo erano.
In tal senso, quindi, la Cassazione se da una parte ha allargato il “bacino” degli strumenti da punta e taglio classificabili come armi, ha di fatto resto più stringente, a livello pratico, l’applicazione di una norma le cui conseguenze sono ben più gravi (contravvenzione dell’art. 699 codice penale).
Ricordiamoci sempre come i Tribunali siano comunque chiamati, anche se non obbligatoriamente, a rifarsi agli orientamenti delle massime magistrature (nomofilachia) e quindi, almeno sulla base dell’attuale orientamento giurisprudenziale in materia di coltelli e pugnali, è possibile, ma non automatico, aspettarsi interpretazioni di questo tipo, in cui la semplice lama sviluppata fino a metà farebbe sottendere lo strumento alla disciplina in materia di armi.
Anche in tal senso si aprono altri problemi interpretativi davvero complessi e di difficile risoluzione. E se Tizio esce di casa con un coltellaccio di 30 cm la cui doppia lama risulti sviluppata fino a 13 cm e non 15? Cosa succede?
Capite bene, amici, come spesso e volentieri quelle che sono delle soluzioni interpretative, volendo essere ottusamente stringenti aprono invece problemi di natura interpretativa certamente ancora più complessi… restate collegati !