Collari da addestramento: nuova pronuncia della Corte di Cassazione

I fatti

Materia: Diritto penale

Ambito: applicazione del reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e uso del collare elettrico

Normative di riferimento: art. 727 comma 2 codice penale

Tizio viene sottoposto a controllo da parte dei Carabinieri forestali durante una battuta di caccia. Emergeva a quel punto che il suo cane era dotato di due collari, il primo per il richiamo acustico ed un secondo munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse elettriche all’animale tramite un telecomando a distanza. In sede di controllo, però, questo telecomando non viene rinvenuto da parte dei militari.

A quel punto scatta, nei confronti di Tizio, la denuncia per aver detenuto il cane in condizioni incompatibili con la di lui natura, ai sensi dell’art. 727 comma 2 del codice penale.

Il tribunale, in primo grado, condannerà Tizio per il reato ad egli contestato ed applicherà una multa di euro 2000. La vicenda approderà, dopo il secondo grado di giudizio, in Corte di Cassazione.

La sentenza

Vediamo ora come hanno ragionato gli Ermellini. Vi diciamo subito che Tizio viene assolto.

Interessanti sono le motivazioni in quanto con esse la Corte di Cassazione delinea, in modo molto preciso, quali sono i confini logici e giuridici di applicazione dell’art. 727 comma 2 del codice penale.

Partiamo dal fatto che la Cassazione richiama quello che stabilisce l’art. di cui sopra. L’art. 727 comma 2 codice penale punisce “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”

Vi è poi un importante richiamo a quello che è l’orientamento giurisprudenziale pacifico ed acclarato della stessa Suprema Corte, secondo cui, in sostanza, integra la fattispecie di reato l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale”

Il punto che ci interessa è quello che segue. Secondo gli Ermellini, in effetti, ad integrare la condotta criminosa non sarebbe la semplice apposizione sull’animale di un collare ad impulsi elettrici ma, invece, il concreto uso dello stesso e la dimostrazione del grave stato di patimento e sofferenza inflitto all’animale. In assenza del dimostrato stato di patimento psico-fisico inflitto all’animale si fuoriesce dal perimetro di applicazione del reato di cui all’art. 727 comma 2 del codice penale.

Il cane di Tizio, tra l’altro, veniva sottoposto a visita veterinaria ed in quella sede veniva dimostrato il buono stato di salute del cane e senza segni cutanei all’altezza del collo. Tra l’altro veniva scongiurata anche la presenza di eventuali danni all’udito.

I giudici della Cassazione chiudono la sentenza evidenziando come fosse totalmente sbagliata la motivazione in primo grado poiché aveva ravvisato la condotta criminosa nella semplice apposizione sull’animale del collare elettrico, non considerando, invece, che per l’integrazione della fattispecie di reato è necessario che l’animale versi in un grave stato di patimento e sofferenza psico-fisica. Elemento scongiurato dalle varie perizie eseguite in sede di giudizio.

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