Il fatto
Nell’ambito di un controllo da parte delle Forze dell’ordine (Forestali) nei confronti di Tizio, lo stesso veniva colto assieme ad altra persona che esercitava l’attività venatoria in giornata di silenzio venatorio. Veniva inoltre ritrovato un fucile e sul medesimo era stata realizzata una filettatura finalizzata alla installazione di un silenziatore, anche questo rivenuto in sede di controllo.
Immediatamente scatta la revoca della licenza comminata dalla Questura di Trento che considera i fatti appena menzionati e riportati idonei ai fini di una revoca del porto d’armi a causa della mancata dimostrazione di quella necessaria affidabilità del titolare.
Inoltre, fatto di non poco conto, ai sensi delle attuali normative in materia, il silenziatore è da considerarsi parte di arma da guerra, di cui è assolutamente vietata la vendita e l’impiego in ambito civile. Inoltre il fatto che il silenziatore fosse montato sull’arma al momento del controllo comporta che la stessa sia da considerarsi arma da guerra.
Il ricorso al Tar
A questo punto Tizio ricorre al Tar. Il Tribunale amministrativo regionale evidenzia come la questura abbia revocato il porto d’armi ai sensi dell’art. 43 comma 2 TULPS essendo venuti meno i requisiti di affidabilità necessari alla titolarità del porto d’armi.
Il Tar giustifica ulteriormente il provvedimento di revoca del porto d’armi ai danni del ricorrente facendo una importante differenziazione tra gli esiti squisitamente penali e quelli amministrativi della vicenda. Evidenzia infatti il giudice amministrativo che a prescindere dagli esiti penali della vicenda, sul piano amministrativo i fatti legittimano pienamente il ritiro del porto d’armi, essendo venuto meno il requisito della piena affidabilità.
Il giudice amministrativo, inoltre, si concentra sulla integrazione dei reati integrati mediante l’esercizio di caccia con mezzi vietati e caccia in giorni di silenzio venatorio di cui all’art. 30 lett. F) e H) della legge 11 febbraio 1992 n. 157. A tal proposito il Tar evidenzia che anche nella totale inconsapevolezza dell’utilizzo improprio dell’arma da parte del comodatario, si dimostra scarsa ponderazione dei rischi e scarsa cautela nella cessione dell’arma e custodia della stessa, Inoltre giustifica la mancanza di affidabilità il fatto di frequentare un cacciatore di frodo.
Si evidenzia, inoltre, che alla domanda fatta da parte dei Carabinieri se Tizio avesse uno scritto attestante la cessione in comodato dell’arma, lo stesso rispondeva di non avere nulla. Successivamente lo stesso si presentava presso la Stazione dei Carabinieri competente territorialmente presentando scritto attestante l’avvenuta cessione in comodato dell’arma ad altra persona senza però comunicare che l’arma fosse stata sottoposta a sequestro la sera prima.
Si aggiunge come avvalorante il provvedimento di revoca del porto d’armi il fatto che sull’arma fosse stata eseguita una filettatura finalizzata alla installazione di un silenziatore. Trova giustificazione, quindi, nell’art. 3 della legge 18 aprile 1975 n. 110 (alterazione di armi) e all’art. 21 lett. U) della legge 157 del 1992 (caccia con mezzi vietati).
La sentenza del Consiglio di Stato
Senza scendere in valutazioni strettamente tecnico-giuridiche che renderebbero la comprensione più difficoltosa, possiamo stabilire quanto segue.
Il Consiglio di Stato stabilisce, sostanzialmente, che non c’è automatismo tra quella che è l’assoluzione in ambito penale e quella in ambito amministrativo. In particolare, come abbiamo evidenziato sopra, gli esiti in ambito amministrativo prescinderanno da quelli in ambito penale. La gravità dei fatti ricostruiti giustifica pienamente il ritiro del porto d’armi. È naturale pensare che la colpa sia di chi, concretamente, utilizza e modifica in modo illecito l’arma. Se sul piano penale tale ragionamento trova piena legittimità, non è però lo stesso sul piano amministrativo. Inoltre, ed è qui che il Consiglio di Stato comunque riesce a trovare una connessione tra la cessione in comodato dell’arma e l’utilizzo che di questa si fa, è assurdo pensare che la filettatura all’arma sia stata eseguita il medesimo giorno del controllo e che chi l’ha fatta non avesse avvertito tempestivamente il proprietario chiedendone anche il permesso.
I nostri consigli
Come abbiamo visto è possibile perdere il porto d’armi per comportamenti a noi non direttamente imputabili ma che comunque si sarebbero potuti evitare ponendo la necessaria attenzione e prudenza valutando attentamente a chi andiamo a cedere in comodato d’uso la nostra arma. Anche in questo caso la diligenza del buon padre di famiglia rappresenta l’unico parametro utile da applicare.
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Corrado Maria Petrucci
Esperto in Diritto delle Armi e della Caccia
Responsabile rubrica legale All4shooters.com / All4hunters.com
email: legalall4shooters@gmail.com
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