Che le possibili restrizioni proposte dalla Commissione Europea nella sua bozza di modifica alla direttiva UE sulle armi da fuoco possano avere un impatto devastante sull'economia, era chiaro a molti già da tempo.
Una conferma arriva oggi dalla Francia, con la pubblicazione sul sito della Federazione nazionale francese della caccia dello studio del BIPE − istituto di consulenza economica e strategica riconosciuto dal Ministero della Ricerca di Parigi − che analizza e quantifica l'impatto economico e sociale che la caccia ha oltralpe.
Sebbene un'ampia porzione dello studio BIPE sarà pubblicata solo nell'autunno 2016, i dati − riferiti all'anno 2015 − già dipingono un quadro chiarissimo: la caccia francese genera un giro d'affari di 3,6 miliardi d'Euro all'anno, mantiene 25800 posti di lavoro a tempo pieno (senza contare l'indotto, i posti di lavoro a tempo parziale, e il sostentamento dei membri familiari), e i membri delle associazioni venatorie ogni anno si impegnano in attività di volontariato per 28 milioni di ore, in particolar modo in attività come la gestione e la conservazione della fauna selvatica e degli Habitat che troppo spesso le associazioni cosiddette ambientaliste e animaliste hanno reclamato come loro monopolio.
Lo studio del BIPE mostra anche come il 47% dei cacciatori francesi abbiano meno di 55 anni; come il 2% dei cacciatori in Francia siano donne; e come il 55% di loro sia molto attivo.
Se si cumulano questi dati provenienti dalla Francia con quelli emersi dalla ricerca commissionata nel 2011 all'Università di Urbino dall'ANPAM riguardo al peso economico dell'industria delle armi e munizioni civili e sportive nel nostro Paese, ci si può fare un'idea di come l'impatto economico delle potenziali restrizioni UE in tutta l'Unione sarebbe semplicemente disastroso: la Commissione e alcuni elementi del Consiglio come il GENVAL, infatti, non hanno mai fatto mistero di non volersi fermare solo alle armi "politicamente scorrette", ma di voler proseguire su una strada proibizionista "ad ampio spettro" che porterebbe all'unificazione delle leggi sulle armi di tutt'Europa al modello britannico con la messa al bando di tutte le armi semi-automatiche lunghe e corte, anche di quelle tipicamente utilizzate per la caccia, nonché di quelle a ripetizione che siano definibili come "di capacità troppo elevata".
Al riguardo si deve appunto sottolineare come, sempre in data odierna, l'ANPAM abbia emesso un comunicato ufficiale relativamente alla sua posizione sul tema della possibile modifica della direttiva europea sulle armi.
Pubblicato da Analisi Difesa, il comunicato è estremamente critico nei confronti di un provvedimento che finirebbe per punire solo i cittadini onesti e per gettare nel caos un settore che nel nostro solo Paese vale mezzo punto di PIL e che in tutt'Europa dà direttamente lavoro a mezzo milione di persone − il tutto, senza arrecare alcun beneficio alla pubblica sicurezza.
Sebbene il buon senso comune vorrebbe che, di fronte alle posizioni di un comparto industriale economicamente così importante, i governi che oggi sostengono le proposte restrittive facciano un passo indietro, le nostre fonti indicano che difficilmente sarà così: i disarmisti, a livello nazionale ed europeo, sembrano più che disposti a sacrificare posti di lavoro e punti di PIL pur di disarmare i cittadini europei.
Come abbiamo già indicato nei nostri precedenti articoli, resta dunque in capo ai possessori d'armi in generale − siano essi cacciatori, tiratori sportivi, collezionisti, professionisti della sicurezza privata o semplici appassionati − il dovere di fare pressione sugli europarlamentari e sui governi di ciascun Paese al fine di far loro capire chiaro e tondo da che parte stanno i popoli d'Europa!
Sullo stesso tema vedi anche: