Per quanto si pensi all'AR-15 come a un progetto della fine degli anni '60, inizio anni '70, le sue origini sono alquanto precedenti.
Negli anni '50 Armalite era una divisione della Fairchild Aeronautics, una compagnia sempre meno interessata al lungo processo di prove e verifiche tecniche per il nuovo fucile di piccolo calibro per l'esercito statunitense. Arrivata troppo tardi per competere con l'AR-10 contro l'M-14, Fairchild Armalite entrò in lizza per le prove relative al nuovo fucile di piccolo calibro con l'AR-15, una versione in scala ridotta dell'AR-10 progettata anch'essa da Eugene Stoner.
Poco dopo aver concepito l'AR-15, a Stoner venne chiesto di progettare un nuovo fucile, più semplice dell'AR-10 e AR-15, ma che fosse comunque alla pari con lo stato dell'arte della tecnologia delle armi militari dell'epoca che potesse essere prodotto su larga scala in nazioni meno sviluppate utilizzando macchinari relativamente semplici come presse e torni manuali e meccanici.
Il risultato fu l'AR-16 (dove AR stava per Armalite e 16 era il primo numero progressivo di progetto disponibile): un fucile semiautomatico calibro 7,62 con funzionamento a gas semplice e robusto.
Nel frattempo la situazione dell'AR-15, su cui gran parte delle speranze economiche dell'Armalite erano state riposte, appariva alquanto incerta, così che la dirigenza Fairchild decise di vendere i diritti del progetto a Colt e di abbandonare la divisione Armalite, che divenne un'azienda a se stante con un urgente bisogno di trovare contratti governativi appetibili per potersi sostenere con le sue gambe.
Sfortunatamente il progetto più promettente, quello dell'AR-15, era ora proprietà della concorrenza mentre Eugene Stoner aveva lasciato la compagnia nel 1961. Desiderando entrare nel capitolato per il nuovo fucile di piccolo calibro, ma priva di un progetto adeguato e dovendo trovare qualcosa che non andasse a violare i brevetti acquisiti da Colt, Armalite si trovò per le mani il progetto AR-16 e, proprio come Stoner aveva creato l'AR-15 riducendo le dimensioni dell'AR-10, Arthur Miller, nuovo capo progettista dell'azienda, creò una versione ridotta dell'AR-16 che venne denominata AR-18.
Stoner aveva inizialmente optato per il consueto sistema a presa diretta di gas, ma l'aveva presto abbandonato a favore di un sistema con pistone a corsa corta che era sia più semplice da produrre che da manutenere, dato che non sporcava l'azione dell'arma quanto il sistema AR-15.
Il gruppo otturatore-portaotturatore consisteva in un portaotturatore a forma di parallelepipedo e un otturatore simile a quello dell'AR-15, tolti gli anelli di tenuta gas, che era ugualmente connesso al portaotturatore con un perno passante per un'asola cammata nel portaotturatore.
Quest'ultimo rinculava scorrendo su due perni guida dotati di molle di recupero gemelle che passavano attraverso il portaotturatore stesso.
Il vantaggio principale di questa disposizione rispetto al tubo con molla di recupero dell'AR-15 era che l'AR 18 poteva disporre di un calcio pieghevole vero e proprio.
I comandi principali erano sostanzialmente identici a quelli dell'AR-15, con il pulsante di sgancio caricatore azionato con il dito sparante (e già protetto da azionamenti involontari) e un selettore di tiro / sicura azionato con il pollice della mano forte.
Solo la manetta d'armamento era diversa, essendo costituita da un perno sagomato come una sorta di “S” inserito nel lato destro del portaotturatore invece dell'iconica manetta a T dell'M-16.
La produzione avveniva presso la sede della Armalite a Costa Mesa, in California, costituita da un'officina e dagli uffici della compagnia.
Purtroppo le speranze della Armalite erano destinate a rimanere deluse: dopo svariati test il fucile venne scartato sia dalle forze armate statunitensi che da quelle britanniche a causa di alcuni malfunzionamenti.
Anche se questi vennero corretti nel corso dei test, purtroppo l'esito finale rimase negativo: l'AR-18 non venne mai adottato da alcuna forza armata e fu alla fine un fiasco commerciale talmente bruciante che nel 1968 lo stesso Miller lasciò Armalite, disilluso circa le reali potenzialità commerciali del fucile.
Le ragioni dietro a questo fallimento sono svariate e molto si è detto, ma si possono riassumere alcuni fatti precisi.
Prima di tutto, sebbene i tedeschi fossero stati pionieristici con il loro Stg 44, che si dimostrò arma validissima, e sebbene i sovietici avessero ben presto seguito le loro orme con l'AKM, quella della lamiera stampata restava una tecnologia nascente in occidente, e all'epoca la maggior parte delle armi militari aveva comunque una struttura in acciaio forgiato e fresato.
La semplicità del progetto si confaceva agli scopi di Armalite, ed era decisamente adatta all'arma, ma forse il mercato non era ancora pronto.
A questo va aggiunto che purtroppo Costa Mesa era una struttura per la produzione preliminare, non un impianto di produzione su larga scala.
L'AR-18 venne subito criticato per il suo aspetto poco rifinito, essendo in sostanza costruito a mano con la maggior parte delle componenti adattate una per una, e molte parti saldate con saldatrici manuali e rozzamente rifinite, così che i fucili avevano più l'aspetto di prototipi che di armi di serie, e certo questo ebbe un ruolo pesante nell'insuccesso commerciale dell'arma.
Venne data licenza di produzione a Howa, in Giappone, ma controlli più restrittivi sull'esportazione di armi imposti dal governo giapponese posero presto fine alla cosa, e un contratto analogo con la Sterling Armament britannica non cambiò l'andamento del progetto.
In aggiunta a questo, dal punto di vista militare lo US Army certamente aveva poco interesse nel procurare un secondo fucile di piccolo calibro, visto anche che l'AR-15 stava ottenendo un buon successo commerciale e l'M-16 era in procinto di essere adottato, laddove l'AR-18 richiedeva ancora lavoro di sviluppo.
I test britannici furono ancor più insoddisfacenti, e gli inglesi rifiutarono l'adozione del fucile, anche se va detto che il progetto e la meccanica interna del fucile che venne poi adottato, l'SA-80, è sostanzialmente quella dell'AR-18 e che una versione bullpup dell'AR-18 venne prodotta da Enfield, che era in competizione con Sterling Armaments per lo sviluppo dell'arma che sarebbe divenuta l'SA-80.
Venne anche prodotta su piccola scala una versione civile, con solo fuoco semiautomatico, chiamata AR-180 (che è poi quella fotografata) e che è oggi piuttosto rara, particolarmente per quanto riguarda gli esemplari prodotti a Costa Mesa.
Dunque, se l'AR-18 fu un tale fallimento, cosa lo rende tanto degno di nota?
Per capirlo, dobbiamo prima dare un'occhiata più dettagliata al suo interno, e vedere come funziona.
Quando si preme il grilletto, il cane colpisce il percussore, che accende tramite l'innesco la carica di polvere, propellendo il proiettile lungo la canna.
Quando il proiettile passa il foro di presa di gas, parte dei gas di sparo vengono spillati in una camera d'espansione posta nel supporto del mirino.
Qui, invece di fluire in un tubo fino al portaotturatore per agire sull'appendice dell'otturatore con i suoi anelli di tenuta, come nell'AR-15, agiscono invece sulla faccia di un pistone, che si sposta per pochi millimetri e va ad agire contro la faccia del portaotturatore.
Una volta serviti allo scopo, i gas sono espulsi all'esterno del fucile, consentendo di avere una meccanica più pulita. Questa soluzione era coerente con l'obiettivo di un'arma più semplice, più facile da produrre, utilizzare e manutenere che stava alla base del progetto AR-16.
Il portaotturatore arretra e, tramite una fresatura a camma e il perno di accoppiamento con l'otturatore, produce la rotazione di quest'ultimo che si svincola dai tenoni di culatta. Il gruppo otturatore-portaotturatore è ora libero di arretrare per tutta la sua corsa, estraendo il bossolo spento ed espellendolo, prelevando una nuova cartuccia dal caricatore e camerandola.
Dopo che l'otturatore si è chiuso sulla camera di cartuccia, il portaotturatore prosegue nella sua corsa per alcuni millimetri, producendo tramite la medesima fresatura a camma la rotazione dell'otturatore in senso inverso, bloccandolo: l'arma è pronta a sparare nuovamente.
Questa organizzazione meccanica, e in particolare il pistone a corsa corta posto subito sopra la presa di gas, è molto simile a ciò che troviamo su diversi fucili moderni, tra cui il già citato SA-80 britannico, il SAR-80 e SR-88 di Singapore (che sembrano quasi dei cloni), l'H&K G-36 tedesco (e la sua versione civile SL-8), il Bushmaster ACR americano e, naturalmente, tutte le versioni a pistone degli AR-15 in versione fucile o carabina.
Anche se problemi di costruzione e impianti di produzione inadeguati decretarono il fallimento dell'AR-18, il progetto in sè era non solo valido, ma alquanto avanti rispetto ai suoi tempi e molto efficace: così tanto che di fatto non solo e' stato copiato in molti altri fucili di successo, ma rimane una pietra miliare nella storia della progettazione delle armi leggere.
Si ringrazia l’armeria 3Gun di Milano http://www.armeria3gun.com/