Gli antefatti
Nel 1941 il cardinale Nasalli Rocca concesse parte del seminario costruito nel 1932, sulle colline a sud di Bologna, per ospitarvi l’Ospedale Militare Vittorio Putti e fece riconoscere Bologna come città ospedaliera. Dal 15 luglio del 1943 al 18 aprile del 1945 Bologna subì ben 94 incursioni aeree che provocarono 1300 morti e la distruzione di 1700 fabbricati. L’avanzare del fronte in Italia e la nuova disponibilità di basi aeree per gli alleati permise, infatti, un crescente e sistematico bombardamento degli scali ferroviari e delle realtà industriali delle città del nord ancora in mano ai nazisti e ai fascisti, per altro poco contrastato dalla ormai quasi inesistente aviazione dell’Asse.
A fronte di questa situazione Bologna si dotò di ben 8000 rifugi antiaerei, la cui costruzione in realtà era già iniziata nel 1936. Essi per tipologia si dividevano in due categorie: rifugi anticrollo e rifugi in galleria. I primi erano quelli realizzati sotto gli edifici che dovevano reggere al crollo degli stessi. Si realizzavano puntellando seminterrati e cantine con strutture di legno oppure cemento armato quando si trovava. I rifugi in galleria, che a Bologna interessavano soprattutto la prima fascia collinare, oltre i viali di circonvallazione e realizzati in massima parte dall’Amministrazione comunale, per conto e a spese dello Stato, potevano invece resistere ai dispositivi più potenti e al “colpo in pieno” (solo in teoria). Avevano rivestimenti di mattone o misti roccia/mattone. I rifugi più grandi potevano contenere migliaia di persone. La sicurezza era data dal notevole spessore di terra (o altro materiale), in alcuni casi sino a 30 metri, che veniva a trovarsi al di sopra della struttura.
Il Rifugio Vittorio Putti a Bologna
Il Rifugio Vittorio Putti apparteneva a quest’ultima categoria. Unico esempio di architettura militare ospedaliera situato in Bologna era costituto da 224 metri di galleria e costruito interamente in mattoni a volta. Poteva ospitare fino a 600 soldati feriti, reduci soprattutto dalle campagne di Grecia, Albania e di Russia in attesa di interventi ricostruttivi dell’apparato scheletrico motorio o in degenza postoperatoria. Fu costruito tra il 1944 e il 1945, a metà area tra il seminario e l’istituto ortopedico Rizzoli, all’interno del Parco di Villa Revedin sulle colline di Bologna a 2km in linea d’aria da Piazza Maggiore. Durante i bombardamenti in due locali predisposti si potevano continuare a curare i feriti: l’infermeria e la sala operatoria d’emergenza. Vi sono ancora le tracce delle porte antisoffio che nelle vicinanze delle entrate servivano a smorzare l’onda d’urto provocata da un’esplosione ravvicinata. Lungo il percorso del Rifugio si trovano anche alcuni camini di areazione che consentivano il ricambio d’aria al suo interno ma che costituivano anche vie di fughe verticali in caso di emergenza.
Oscar Scaglietti, il “Michelangelo dell’ortopedia”
E proprio in questi locali continuò indefesso la sua opera di medico ortopedico il cosiddetto “Michelangelo dell’ortopedia”, così soprannominato per via della sua abilità di chirurgo, al secolo il Tenente Colonnello Medico della Regia Marina Oscar Scaglietti. Già responsabile del Centro ortopedico e mutilati che abbiamo visto trovò collocazione sulla collina di San Michele in Bosco, a pochi passi dall'Istituto Rizzoli, nei locali del Seminario arcivescovile. Nel Rifugio, di cui era Comandante Militare, Scaglietti compiva fino a tre turni operatori di seguito, alternando ogni 8 ore il personale di sala, che spesso sveniva per la fatica. Si dice che abbia effettuato quasi diecimila interventi nel corso della guerra. Il 20 novembre 1944 il maresciallo Graziani della RSI ordinò il trasferimento dell'ospedale e del relativo rifugio oltre il Po; Scaglietti vi si oppose, riuscendo a convincere Mussolini che, chiamato Graziani, gli ordinò di revocare l'ordine. Nel frattempo, il Centro ortopedico bolognese, però, ormai non era più un semplice ospedale; in quegli anni di guerra vi furono accolti infatti, senza alcuna distinzione, militari di ogni nazionalità. Ci fu spazio per fascisti, partigiani ma anche per tutti quei civili che si trovavano in zona contribuendo a salvare non poche vite.
Il rifugio dopo la guerra
A fine guerra lo spazio del Rifugio venne usato per altri scopi, mentre il Centro ortopedico Putti fu chiuso definitivamente nel 1951. Oggi grazie allo straordinario impegno del Seminario Arcivescovile in sinergia con l’Associazione Bologna Sotterranea/Amici delle vie d’acqua e dei sotterranei di Bologna il rifugio è visitabile nella sua totale lunghezza. Per renderlo nuovamente fruibile sono state rimosse oltre trenta tonnellate di materiali depositati, sanificate le gallerie, steso un nuovo impianto elettrico etc… I lavori generali di ripristino sono terminati nel 2020 ma sono ancora in prosecuzione per quanto riguarda migliorie e inserimento di materiale d’epoca.
Per informazioni
Bologna sotterranea® / Amici delle vie d'acqua e dei sotterranei di Bologna
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