Piccolo manuale di difesa verbale dagli anti-armi

Tutti abbiamo degli amici che, pur essendo tali si sentono in imbarazzo perché siamo appassionati di armi. A volte succede: siamo a tavola il sabato sera e dopo che uno dei presenti ha finito di vantarsi che con l’auto nuova ha fatto i duecentoventi all’ora in tangenziale, e l’altro ha spiegato tra la solidarietà generale che, se un artigiano non fa un po’ di nero non riesce a sopravvivere, tu ti lasci scappare che ti piacciono le armi e improvvisamente cala il gelo. Magari un amico più amico degli altri cerca di cambiare discorso, e forse è meglio così, perché il rischio è di fare l’alba cercando di spiegare a chi non sa nulla delle armi, molte cose che non vogliono nemmeno sentire. Ma alla fine non è colpa loro. I Mass media generalisti li abbiamo quasi tutti contro da sempre, ma questa è una cosa alla quale siamo abituati e di cui è inutile parlare tra di noi. Probabilmente le cose non miglioreranno in tempi brevi, quindi tanto vale organizzarsi con qualche strumento di difesa, rigorosamente verbale. Il nostro vantaggio è che per la maggior parte gli anti-armi sono poco o male informati, e si limitano a ripetere concetti preconfezionati in modo acritico e ideologico.

Ho preparato un piccolo manuale di difesa per ribattere con dati facilmente verificabili alle obiezioni più comuni degli anti-armi. Molti dei concetti che esprimo sono risaputi per non dire banali, ma d’altra parte anche i mantra dei disarmisti lo sono. Ho cercato di fare il minor ricorso possibile alle statistiche, in onore del mio mentore Gaetano Alessandro Cipriani che sosteneva: “I numeri rassicurano i fessi e fanno felici i potenti”.

Il controllo delle armi è sinonimo di democrazia

Caronda fu un legislatore siceliota, vissuto a Catania nel VI secolo a.C. Secondo le cronache, si suicidò con la sua stessa spada per aver infranto un divieto a girare armato.

Basterebbe studiare un poco di storia per scoprire che questa affermazione non è esatta, dal momento che nell’antichità, tanto nella Grecia antica quanto nella Roma imperiale (entrambe società basate sulla schiavitù), il porto delle armi nei luoghi pubblici era severamente proibito da tiranni, re e imperatori. Celebre (in realtà non quanto meriterebbe) è la storia di Caronda, legislatore siceliota vissuto a Catania nel VI secolo a.C. 

Secondo le cronache, Caronda, allievo di Pitagora e fervente legislatore, dispose che nessuno potesse entrare armato nei luoghi pubblici, pena la morte. Ma un giorno, durante una battaglia che infuriava fuori dalla città, entrò trafelato nell’agorà per chiedere aiuto ai cittadini, dimenticandosi di avere una daga al fianco. Resosi conto di aver infranto una legge che lui stesso aveva fortemente voluto, estrasse la lama e con essa si tolse la vita. Sicuramente un esempio di estrema coerenza, che non possiamo certo aspettarci dai politici e gli altri prelati di oggi, che tuonano contro le armi e poi girano con la scorta…

Le armi detenute dai cittadini hanno sempre innervosito più i tiranni che i governanti illuminati. Il motivo è logico.

Nell’antica Roma, era considerato un crimine gravissimo entrare armati nel Pomerium, ovvero il cuore amministrativo della città, quella che oggi si chiamerebbe una gun free zone. Il Pomerium di Roma era il più grande e quello presumibilmente meglio vigilato dell’Impero, ma non servì a salvare la vita di Giulio Cesare. Ai congiurati che lo assassinarono, bastò attenderlo presso il teatro di Pompeo, situato appena al di fuori dell’area sacra.

Non andava meglio nel Medioevo e nel Rinascimento, epoca in cui il possesso e l’uso delle armi erano appannaggio esclusivo dei militari e dei mercenari al soldo del potente di turno, e il semplice possesso di un arco o di una daga senza l’autorizzazione poteva portare a estreme conseguenze. Anche l’esercizio della caccia senza permesso, che poi era quasi sempre un estremo espediente per sfamare la propria famiglia, era punito con l’esecuzione capitale. Nell’Inghilterra medioevale gli stessi popolani che per editto reale erano obbligati a passare il loro poco tempo libero ad addestrarsi nell’uso dell’arco (ovviamente per difendere gli interessi del Re in caso di guerra), se sorpresi a bracconare rischiavano di essere evirati, impiccati, decapitati o bruciati sul rogo pubblicamente, mentre se il reato fosse stato commesso da un nobile, tutto si sarebbe risolto pacificamente pagando una multa.

Sarà solo nel 1689, con il cosiddetto Bill Of Rights, che il Parlamento britannico autorizzò i cittadini (ma solo quelli protestanti) a detenere armi per difendere la propria vita e i propri beni, ma essenzialmente si trattò di un espediente politico per emarginare ulteriormente la minoranza cattolica, che non godeva dello stesso privilegio.

Un tempo la caccia non era un’attività democratica, ed era riservata ai potenti. Questa raffinata carabina con batteria a ruota è appartenuta all'imperatore Ferdinando III d'Austria (1608-1657)

Anche in tempi più moderni i cittadini comuni erano tenuti accuratamente lontani dalle armi: alla vigilia della Rivoluzione Francese la caccia, e quindi il possesso di armi, erano consentiti soltanto ai nobili, e questo privilegio esasperava doppiamente i contadini: in un Cahier de doléances datato 1788 il portavoce degli abitanti di Roissy-en-Brie, paese alle porte di Parigi, lamenta che: … Noi non abbiamo nemmeno la libertà di eliminare i corvi, quei volatili distruttori dei prodotti delle nostre terre… e se succede che si tenda una trappola per fermare questi animali distruttori, ben presto, in seguito al rapporto di una guardia, si è perseguiti penalmente e trascinati in prigione… Se i signori vogliono procurarsi questo piacere, che essi almeno rinchiudano la loro selvaggina entro la recinzione dei loro parchi e l’estensione dei loro boschi; ma che ogni individuo abbia il diritto di difendere il suo raccolto. Da notare che in questo caso che non stiamo parlando di bracconaggio a scopo di sussistenza, ma della eliminazione di animali nocivi allo scopo di difendere le poche risorse della terra dallo sconfinamento di selvaggina proveniente dai terreni dei nobili, un attacco alla logica del privilegio che l’aristocrazia non poteva lasciare certo impunita.

All'inizio del Ventesimo secolo l'impero Ottomano, pur se in disfacimento, ebbe il tempo di promulgare una legge che vietava agli Armeni di detenere armi, pena la morte, e questo facilitò notevolmente la loro successiva deportazione che ben presto assunse i tratti di un genocidio. 

Non è vero, invece, che Adolf Hitler promosse un controllo delle armi per disarmare gli ebrei e le altre categorie di persone contro cui diresse il suo furore genocida. Non ne aveva bisogno. Fu durante la Repubblica di Weimar (tra 1918 e il 1933) che di fatto fu vietato alla gran parte dei cittadini tedeschi di possedere armi. Il folle dittatore trovò il lavoro già fatto, grazie a quello che è passato alla storia come un modello di democrazia parlamentare di ispirazione socialista.

Attualmente i due paesi più grandi in cui ai cittadini è fatto divieto assoluto di detenere armi sono la Cina e la Corea del Nord. Non aggiungiamo altro.

Forse, dunque, la società “gun free” tanto auspicata e rimpianta dagli anti-armi, in realtà è quella in cui una élite di servi armati dai potenti fa il bello e il cattivo tempo calpestando la sicurezza e la dignità dei cittadini disarmati. Non riusciamo a immaginare nulla di più fascista di questo.

Quando non c’erano le armi da fuoco, c’erano meno crimini e meno violenza

Una spada cinese di bronzo del 250 D.C. simile a quelle che furono usate nella “guerra dei tre regni” che costò la vita a quasi 40 milioni di persone

Le armi da fuoco servono a uccidere in modo efficiente le persone o gli animali. Questo è un dato di fatto e neanche il più estremista degli attivisti pro-armi lo potrà negare. Ma lo stesso compito lo hanno assolto per anni spade, pietre, frecce e anche le mani nude. Una delle guerre più cruente della storia, quella che viene ricordata (da pochi) come “la guerra dei tre regni” insanguinò la Cina da 220 al 280 Dopo Cristo e nell’arco di sessant’anni costò la vita a quasi 40 milioni di persone. Nessuno degli eserciti coinvolti era dotato di armi da fuoco.

L’assedio di Baghdad del 1258 da parte delle armate mongole al comando di Hulaghu Kahn durò solo 13 giorni e costò la vita a un numero compreso tra 800 mila e due milioni di civili, senza che sul campo ci fosse una sola arma da fuoco.

Senza andare troppo lontani nel tempo, l’attentatore che nel 2016 a Nizza lanciò sulla folla un camion, uccidendo 86 persone e ferendone quasi cinquecento, non usò alcuna arma da fuoco.

La realtà è che sono le persone a uccidere le altre persone, a prescindere dal mezzo. È una realtà orribile, ma non è certo spostando la responsabilità dal soggetto all’oggetto che si risolverà il problema.

Con tante armi in mano ai cittadini, l’Italia diventerà come il Far West

Un gruppo di Cowboy texani nel 1901. Non è proprio vero che la società in cui vivevano era molto più violenta di quella contemporanea. Fonte, biblioteca del congresso USA.

Ecco un altro concetto molto caro agli anti-armi che si basa su un presupposto falso. Ai tempi del Far West, o come lo chiamano negli USA “Wild West” (selvaggio ovest) la vita era molto meno violenta di come ci viene raccontato da più di un secolo di film. Facciamo un esempio reale, riportando un brano del libro di James Volo “A Gentlemen's Guide to Style and Self-Defense in the Old American West” reperibile su Amazon: “Tra il 1875 e il 1885 Dodge City (nel Kansas, una delle città simbolo dell’epopea del West n.d.a.) ha affrontato un tasso di omicidi di almeno 165 su 100.000 adulti all'anno, il che significa che lo 0,165% della popolazione è stato assassinato ogni anno, tra un quinto e un decimo di punto percentuale. 

All’epoca a Dodge City abitavano solo 2000 persone, il che significa che ci furono meno di tre omicidi in un decennio. Nel 2015 St. Louis (316.000 abitanti), nello stato del Missouri, considerata la città più pericolosa degli USA, aveva il più alto tasso di omicidi con 49,9 casi ogni 100.000 abitanti (oltre 150 omicidi in un anno). Forse il Far West non era poi tanto pericoloso, se confrontato all’America di oggi.

Ora che anche in Italia è legale il 9 Parabellum, ci sarà una strage

La cartuccia 9x19 alias Parabellum è diventato uno degli spauracchi per gli anti-armi più superficiali.

Uno degli spauracchi sventolati più spesso dagli anti-armi per far capire ai loro interlocutori quanto sia pericoloso vivere in Italia è la liberalizzazione del calibro 9x19, alias 9 Luger o 9 Parabellum, che secondo i nostri oppositori sarebbe una cartuccia dalla potenza enorme e disumana, tanto da essere riservata a un impiego bellico. La questione del 9 Para è tanto sentita che un popolarissimo, e solitamente molto informato, comico italiano si è sentito in dovere di dedicare all’argomento un sapido sketch, con tanto di imitazione di un nostro stimato collega, dove si lasciava andare alla completa antologia di castronerie tipiche degli anti-armi per creare allarmismo immotivato. Il tutto, tra l'altro, lasciando intendere che l'iniziativa fosse del nostro attuale governo.

Basterebbe informarsi per pochi minuti per sapere che la denominazione “Parabellum” deriva dalla frase in latino “Si vis pacem para bellum” ovvero “Se vuoi la pace, preparati alla guerra” che era il motto della DWM (Deutsche Waffen und Munitionsfabriken) l’azienda di Berlino che produsse le prime pistole Borchardt e Luger, anche quest’ultima chiamata per estensione Parabellum. In Italia fino al 2021 il calibro 9 Parabellum era considerato “da guerra” e proibito nelle armi corte semiautomatiche sul mercato civile: la sua denominazione commerciale, che richiamava l’uso bellico in realtà non ha alcuna relazione con la sua potenza che è analoga, e addirittura inferiore, a quella di altri calibri in vendita sul mercato civile. E per concludere il discorso, la legalizzazione del 9x19 in Italia è conseguenza di una direttiva Europea, la 238/2021 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n.12 del 17.1.22che l’Italia si è limitata ad applicare. Per usare una frase tanto cara a certa politica, abbiamo di nuovo il 9 Parabellum perché “Ce lo ha chiesto l’Europa”.

In Italia è troppo è troppo facile comprare un’arma

In Italia è soltanto dal 1859, data di adozione del primo Codice penale, che vengono resi esplicitamente leciti la detenzione e il porto d’armi da parte dei cittadini senza distinzione di ceto sociale. Nel 1926 viene emanato il primo Testo Unico di Leggi sulla Pubblica Sicurezza che introduce il sistema di registrazione delle armi e, successivamente, le prime sanzioni per il porto e la detenzione illegale delle stesse. Dopo successive restrizioni datate 1956 si arriva alle norme attuali che, passando per gli inasprimenti della legge numero 110 del 1975, disciplinano l’acquisto e il trasporto di armi sportive da parte di cittadini incensurati. La detenzione di armi sportive (solitamente, ma non necessariamente nel luogo di residenza) non implica alcuna diversa autorizzazione al loro uso, che rimane sempre sottoposto alle leggi penali, né una maggiore clemenza dei magistrati nel caso in cui siano impropriamente impiegate per difesa all’interno della abitazione. 

Al contrario, le cronache ci raccontano che un clima di sostanziale inflessibilità, per non chiamarla accanimento, nei confronti del cittadino che osa difendersi con le armi. Valga come esempio il recente caso in cui un cittadino titolare di licenza per uso sportivo, che ha esploso alcuni colpi a scopo intimidatorio per allontanare un presunto malintenzionato dalle pertinenze della propria abitazione (senza peraltro colpire o intimidire nessuno) si è visto condannare, con sentenza confermata dal TAR, alla revoca del porto d’armi e al divieto della loro detenzione (sentenza n. 08522 del 2022).

Il controllo delle armi serve a impedire i crimini

La Germania si accinge a vietare il porto di coltelli con lama più lunga di sei centimetri, penando che questo possa fermare il terrorismo.

Si tratta di un’affermazione tanto inverosimile da non richiedere alcuna confutazione, ma già che ci siamo: a fine gennaio del 2023, in California due distinti “mass shooting” avvenuti a distanza di tre giorni sono costati la vita a 18 persone. Entrambi gli assassini hanno usato per le loro stragi delle armi comprate e detenute illegalmente, proprio nello stato degli USA dove la legge sulle armi è più restrittiva. Il paradosso è sempre lo stesso, e centinaia di casi di cronaca lo dimostrano invariabilmente: vietare il possesso di armi ai cittadini onesti è come illudersi di eliminare la guida in stato di ebbrezza vietando la vendita di auto agli astemi. I criminali e i folli troveranno sempre il modo di armarsi, e commetteranno sempre crimini, anche nei paesi dove le leggi sono severissime e vige la pena capitale. Nonostante ciò, l’atteggiamento dei politici non cambia e la Germania si accinge in questi giorni a far passare una legge che vieterà il porto di coltelli con lama più lunga di 6 centimetri (finora il limite consentito era di 12) come conseguenza all’uccisione di un poliziotto da parte di un fanatico islamista, armato con un coltello (che se avesse rispettato la legge non avrebbe dovuto avere). Naturalmente questo provvedimento non avrò alcun effetto sulle future azioni dei terroristi, che per definizione, delle norme giuridiche e delle circolari se ne fregano, ma solo sulla vita delle persone oneste e rispettose della legge.

Le armi detenute legalmente sono pericolosissime

Questo articolo è dedicato a Roberto Allara (1947-2024). 

Parliamoci chiaro, avere un congiunto o un amico che muore in seguito a un crimine è un’esperienza devastante, e cercare di ridurre una disgrazia del genere a un dato percentuale ha un che di disumano, oltre a non servire certo come consolazione. Ma viviamo nell’era dei numeri e dei sondaggi, quindi, mi turerò il naso e farò un po’ di statistica spicciola.

Secondo l’Osservatorio OPAL, che monitora tra le altre cose gli omicidi commessi con armi legalmente denunciate, nel 2024 in Italia circa 17 persone sono morte a causa di colpi sparati deliberatamente da cittadini con armi regolarmente detenute. Il “circa” è d’obbligo, poiché alcuni dei casi menzionati sono ancora dubbi, o al vaglio della magistratura o sono stati commessi da persone che in precedenza erano titolari di porto d’armi, ma al momento di commettere il fatto detenevano le armi illegalmente. In circa la metà dei casi si tratta di tragedie in cui un coniuge (quasi sempre il marito) ha ucciso l’altro, per poi togliersi la vita. In uno dei casi il figlio ha ucciso il padre malato di Alzheimer prima di sparare a una vicina di tentare il suicidio, in un altro è stato il padre a uccidere il figlio disabile e la moglie. In tutti questi casi il copione è stato identico, uno dei due coniugi è gravemente malato e l’altro, per motivi che non possiamo comprendere, decide che la soluzione al problema sia l’omicidio/suicidio. Sicuramente il fatto di possedere un’arma ha contribuito all’insano gesto, ma siamo altrettanto sicuri che, se in casa non ci fosse stata una pistola, le cose sarebbero andate diversamente? E siamo sicuri che la causa principale di queste morti siano le armi e non una politica dell'assistenza sociale da rivedere?

Indipendentemente da questo, le possibilità statistiche di essere vittima di un’arma detenuta legalmente o meno in Italia sono in realtà estremamente basse. Gli omicidi, a prescindere dal fatto che siano commessi con armi detenute legalmente o meno, sono calati dai 526 nel 2012 a 330 nel 2024

Forse ci si dovrebbe scandalizzare di più per il fatto che nel 2023 sono morte sul lavoro 1467 persone e che il dato sia in costante crescita (nel 2022 le vittime del lavoro furono 1208).

Per concludere, vogliamo ricordare che i Paesi europei con la maggior quantità di armi detenute dai cittadini sono la Svizzera e Finlandia, nazioni sicuramente esemplari per quanto riguarda il livello di democrazia, di integrazione e dal bassissimo tasso di criminalità. Altrettanto non si può dire della Gran Bretagna, oggi il paese europeo dove la legge sulle armi è più severa. Qui la messa al bando quasi totale delle armi da fuoco ha avuto come conseguenza un incremento del tasso di criminalità immediato e pressoché costante, con uno spaventoso aumento delle aggressioni con coltelli o altri oggetti taglienti (oltre 15mila nel 2019/2020). Che il problema, in fondo, siano le persone e non le armi? Parliamone, magari la prossima volta.