Rovereto, città della pace. Rovereto, sede del più importante Museo della Guerra in Italia. Un ossimoro, in apparenza, una contraddizione in termini. Se è difficile dare un senso alla definizione di “città della pace” che vede Rovereto affiancata a molte altre cittadine italiane, è molto più facile intuire come mai proprio in questa località si sia formato un museo che non fatica a confrontarsi con altre importanti realtà internazionali. Un museo che offre un’esposizione interessantissima per l’appassionato di armi ma anche un importante contributo alla documentazione della storia nazionale.
Grazie alla sua posizione strategica sulla Vallagarina, una via di comunicazione naturale tra la Mitteleuropa e il Nord Italia, a Rovereto fu costruita già nel XIV secolo una rocca dagli allora signori di Castelbarco. In epoca successiva, al tempo della dominazione di Venezia sulla città Lagarina, sui ruderi della preesistente rocca fu edificato un castello pentagonale, monumento di architettura militare dotato di pozzo d’assedio, una robusta cinta muraria, un fossato difensivo, tre torrioni e bastioni muniti di cannoniere.
Perduta dai veneziani nel 1509, Rovereto finì agli Asburgo che la tennero fino alla fine della Grande Guerra. Ma il ritorno all’Italia non fu incruento.
Situata sulla linea del fronte, a baluardo del confine in una zona che vide le truppe confrontarsi e riportare alterne affermazioni, la città fu evacuata e soggetta a continui attacchi, in particolare da parte dell’artiglieria italiana che iniziò a bombardarla nel maggio 1915. Come riportano le cronache, delle 870 case della città solo 2 superarono indenni il conflitto. Lo stesso castello, adattato a caserma, polveriera e magazzino dagli austriaci, fu pesantemente colpito e furono necessari importanti restauri per riportarlo alle condizioni originali.
Questa terra, culla dell’irredentismo trentino che ha prodotto personaggi del calibro di Cesare Battisti, una volta recuperata nei confini nazionali è divenuta simbolo di redenzione e luogo della memoria, anche grazie all’impegno di un gruppo di cittadini che nel 1919 decise di fondare un museo per preservare il ricordo del conflitto appena concluso e sviluppare una sorta di “pellegrinaggio della memoria”.
Il museo fu inaugurato da Vittorio Emanuele III il 12 ottobre 1921. A distanza di soli tre anni, un altro ottobre segnerà una tappa importante nella storia recente d’Italia, con la marcia su Roma di Mussolini e l’inizio di una nuova era. Un’era in cui le radici nazionali e il sacrificio che ispirò le gesta dei martiri per la patria saranno prese ad esempio nel vano tentativo di costruire l’uomo nuovo fascista. Da questa situazione prese nuova linfa il museo che vide accrescere la sua importanza e la quantità e la varietà dei reperti conservati.
I primi spazi espongono una storia delle armi corte tra Sei e Ottocento e, proseguendo nella visita, si susseguono sale dedicate allo sviluppo delle mitragliatrici, al moschetto mod. 91, alla Seconda guerra mondiale degli italiani con un bellʼexcursus sulle campagne che portarono alla nascita dell’Impero per poi continuare con le campagne di Russia, Francia e Grecia, la guerra sui mari e nell’aria, la nascita della Repubblica Sociale, il dramma della prigionia, l’occupazione tedesca e la lotta partigiana.
Le sale più importanti sono dedicate alla Grande Guerra, a ricordo degli oltre 650.000 italiani caduti sul fronte italo-austriaco. Accanto alle armi della guerra, a uniformi e mostrine, decorazioni, locandine di propaganda, decreti, materiali e cimeli appartenuti a comandanti che scrissero importanti pagine di storia militare (in primis Andrea Graziani e quel Guglielmo Pecori Giraldi che comandò la prima armata dal 1916) non mancano gli oggetti della vita quotidiana della guerra di trincea come lettere, scaldini, cartoline e ferri sanitari. Una sala è dedicata all’impresa della squadriglia aerea La Serenissima che, con Gabriele D’Annunzio seduto in uno SVA5, il 9 agosto 1918 raggiunse Vienna lasciando cadere una pioggia di volantini inneggianti alla libertà e rientrò indenne in Italia dopo un volo senza scalo di un migliaio di chilometri.
Una sala, dedicata all’evoluzione della tecnologia dell’arma da fuoco, permette anche a chi è meno esperto di percepire quanto il progresso meccanico e chimico abbia influito nell’evoluzione della storia delle armi e dei combattimenti. Proseguendo, è disponibile un’importante collezione di armi antiche (circa 750 i pezzi posseduti dal museo) che precede le sale espressamente dedicate ai trentini.
La prima di questa sezione è intitolata agli irredentisti Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, volontari nell’esercito italiano, processati e giustiziati dagli austriaci. Le salette a loro dedicate rappresentano la miglior testimonianza delle azioni che contribuirono a completare quel processo di unificazione dell’Italia iniziato con le guerre d’Indipendenza. Un’altra sala è invece dedicata a quei trentini che, sudditi dell’impero austro-ungarico, furono inviati nel 1914 sul fronte orientale, in Galizia. La loro partecipazione alle sanguinose battaglie che si combatterono in quel teatro di guerra rende il loro sacrificio eroico anche a distanza di anni. Infine l’ala dedicata al 1918, l’anno della riorganizzazione dell’esercito dopo la disfatta di Caporetto, della battaglia per sostenere il morale dei combattenti, del maggior sforzo bellico e industriale, infine della vittoria.
Una sezione del museo è ospitata nelle gallerie scavate ai piedi del castello, nei locali che furono ricavati durante l’ultima guerra come rifugio antiaereo. Si tratta di quella parte dedicata alle artiglierie della grande guerra, di cui il museo dispone di importanti esemplari. Qui trovano spazio una quarantina di pezzi – bombarde, mortai, obici e cannoni – di vario calibro e nazionalità. Frutto di quella corsa agli armamenti che si avvaleva dei rapidissimi progressi in campo siderurgico e chimico, l’artiglieria fu uno strumento micidiale nel corso del primo conflitto mondiale, specie in un mondo che ancora non prestava rispetto per le popolazioni civili. Oltre agli attacchi alla baionetta, ai gas asfissianti e alla folle strategia della guerra di trincea, le artiglierie furono tra i protagonisti del conflitto e contribuirono a comporre quei nove milioni di morti e quelle terribili devastazioni che costituirono il bilancio finale dello scontro tra le potenze europee.
Al di là dell’iniziativa dei cittadini di Rovereto che diedero lo spunto per la nascita del museo, la reale consistenza delle esposizioni è andata formandosi grazie all’abbondanza di materiale bellico abbandonato in zona al termine del conflitto. Ritiratisi gli eserciti, sui campi di battaglia rimasero tanti materiali la cui bonifica fu affidata ai “recuperanti” quando ancora la zona era interdetta per motivi di sicurezza.
Successivamente, i teatri di battaglia hanno richiamato e continuano ad ammaliare tanti appassionati di storia e i cultori del collezionismo, che in queste terre hanno ancora la possibilità di scoprire reperti bellici. Accanto alle testimonianze del fronte, il museo si è avvantaggiato nella strutturazione delle proprie collezioni anche di lasciti e donazioni effettuati da privati. Quando le autorità percepiscono che i pezzi sequestrati posseggono una rilevanza storica, tendono a versarli al museo, che in questo modo accumula una collezione vastissima di pezzi moderni e contemporanei.
L’enorme quantità di materiale non in mostra viene conservata in sicurezza in oltre 2.000 metri quadri di magazzini. Una risorsa che potrebbe contribuire all’allestimento di tante altre esposizioni; il museo, con un magazzino tanto ampio e spazi espositivi non sufficientemente spaziosi, è costretto seppur a malincuore a effettuare delle scelte riduttive per il materiale da esporre, privilegiando una certa organica commistione piuttosto che una iper specializzazione che lo renderebbe fruibile solo a pochi.
Nonostante le armi oggi godano di un appeal tanto negativo, il museo riesce ad attrarre molti visitatori. Ogni anno si contano oltre 40.000 presenze con un’importante fetta di scolaresche, per le quali sono state approntate, in perfetto stile americano, proposte didattiche che spaziano da laboratori per le classi di ogni ordine e grado a percorsi nel territorio. Capaci di attrarre molti visitatori sono anche le mostre temporanee. Il museo, che è un’istituzione non lucrativa di utilità sociale, mantiene un archivio storico che conserva documenti sulle due guerre mondiali e i conflitti coloniali, un archivio fotografico forte di oltre 35.000 immagini, una biblioteca di carattere storico-militare con un patrimonio di oltre 27.000 pezzi. Il museo ha infine un’attività editoriale molto animata; con i suoi tipi escono lavori di studio delle collezioni possedute e di storia della guerra con un’attenzione a nuove prospettive critiche.
L’irredentismo italiano. Generato dal carattere incompiuto del Risorgimento italiano, l’irredentismo si è caratterizzato come un movimento politico antiaustriaco che rivendicava all’Italia il possesso di vaste regioni appartenenti all’impero asburgico. Questa aspirazione al completamento dell’unità nazionale si è espressa già sul finire dell’Ottocento e ha trovato compimento nei primi decenni del XX secolo, quando le spinte irredentiste e il desiderio di annessione di aree sottoposte allo stato straniero sono state un motore che ha parzialmente contributo allo scoppio della Grande Guerra. Accanto alla figura di Cesare Battisti, il più noto tra i patrioti che combatterono per riconquistare il Trentino all’Italia, c’è quella forse meno nota di Fabio Filzi, che nella Rovereto ancora austriaca maturò il desiderio di impegnarsi per la causa dell’indipendenza dalla dominazione austriaca. Cittadino asburgico a causa della sua nascita in Istria, Filzi fu un uomo d’azione che, disertato nel 1914 l’esercito austriaco dopo essere stato considerato indegno a causa dei suoi “sentimenti antipatriottici”, si arruolò nell’esercito italiano, sottotenente presso il 6° Reggimento Alpini, allo scoppio delle ostilità con l’Impero.
Inviato in prima linea su sua richiesta nel maggio 1916, fu catturato dagli austriaci sulla vetta del Monte Corno il successivo 10 luglio insieme a Cesare Battisti. Identificato nonostante il nome di guerra, Filzi fu condannato alla morte per impiccagione per alto tradimento. La sentenza fu eseguita il 12 luglio nella fossa del Castello del Buon Consiglio di Trento. La stessa sorte destinata a Cesare Battisti e a Damiano Chiesa, altro eroico irredentista trentino.
Il Museo della Guerra conserva buona parte dei documenti e dei cimeli di Filzi.
Il Museo è situato nel centro storico di Rovereto, nel Castello Veneto. Rovereto può essere raggiunta sia in auto tramite la A22 del Brennero, uscita Rovereto Sud, che in treno. La stazione di Rovereto è lungo la direttrice Verona-Brennero; il museo dista circa 20 minuti di cammino dalla stazione ferroviaria.
Luogo: Museo Storico Italiano della Guerra, via Castelbarco 7, 38068 Rovereto (TN)
Telefono: 0464-438100