I libri di storia ci dicono che ad El Alamein nell’ottobre del 1942 le truppe dell’Asse, ormai prive di rifornimenti di carburante e munizioni, dovettero arrestarsi e poi ripiegare quando erano a soli 80 km da Alessandria di Egitto, ma molti ignorano che fu la battaglia della Linea di Mareth, combattuta diversi mesi dopo alle porte di Tunisi, il capitolo finale della avventura italo-tedesca in Nord Africa. All4shooters è andato a visitare per voi il piccolo museo nato a ridosso dei bunker.
La ritirata
Il 4 novembre 1942 Rommel, resosi ormai conto, che la battaglia di El Alamein sta volgendo al peggio per le truppe dell’Asse, che ormai dispongono solo di pochi panzer e scarseggiano sia di munizioni che di benzina, contravvenendo alle disposizioni di Hitler, dà l’ordine di sganciamento.
Inizia così per il corpo di spedizione italo-tedesco una lunghissima ritirata attraverso l’Egitto e poi tutta la Libia, che se per l’Afrikakorps, dotata comunque ancora di notevoli mezzi di trasporto, ha i toni di un ripiegamento ordinato, per i reparti italiani, spesso appiedati, sarà una terribile odissea che nel migliore dei casi finirà in un campo di prigionia inglese in Sud Africa.
Questo serpentone di uomini e mezzi incalzato dagli inglesi dell’VIII Armata di Bernard Montgomery, non certo un brillante stratega, ma che ha a disposizione uomini freschi, armi, munizioni e carburante a volontà, non si arresterà che in una sperduta località del sud tunisino, distante migliaia di chilometri da El Alamein: Mareth.
La Linea difensiva di Mareth
Qui negli anni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale i francesi avevano costruito un un sistema di fortificazioni, lungo 35 km, che andavano dalla città costiera di Médenine fino alle colline di Matmata, timorosi di un’eventuale invasione proveniente dalla Libia italiana. Con la resa della Francia nel 1940, la colonia francese della Tunisia formalmente dipendente dal governo fantoccio di Vichy cadde sotto controllo italo-tedesco.
Con lo sbarco del 1941 del DAK (il Deutsches Afrikakorps) a Tunisi e le brillanti offensive del generale Erwin Rommel, si era troppo precipitosamente deciso di demolire tale linea difensiva ritenuta ormai inutile. Ma dopo la sconfitta ad El-Alamein il quartier generale italo-tedesco in Nord Africa dette immediatamente ordine di interrompere le demolizioni delle casematte e dei bunker che vennero anzi rinforzati con ulteriori reticolati e nidi di mitragliatrici.
Ci si rendeva conto che ben presto l’intera fiumana di uomini e mezzi in ritirata si sarebbe fermata proprio lì, unico sbarramento possibile per non far cadere Tunisi, l’ultimo porto in Nord Africa ancora in mano alle truppe dell’Asse. Caduta Tunisi non solo tedeschi e italiani avrebbero dovuto evacuare definitivamente il Nord Africa, ma si sarebbero portati gli alleati in casa, distando la Sicilia dalla Tunisia poche ore di navigazione. La linea di Mareth che venne ben presto soprannominata dai combattenti “La Maginot del deserto", aveva la sua spina dorsale nella zona costiera pianeggiante a ridosso di Gabès, dove erano stati costruiti una trentina di bunker a difesa delle principali vie di comunicazioni li confluenti.
Uno dei cardini della resistenza era poi costituito dal buon posizionamento della artiglieria italo-tedesca, che pur potendo contare su un numero minore di pezzi godeva però di un dislocamento più favorevole rispetto a quello nemico.
La battaglia
Rommel dopo aver condotto il grosso delle truppe contro l’inesperto II Corpo Statunitense, sbarcato in Marocco e che ora stava entrando in Tunisia da nord, sbaragliandolo nella battaglia del passo di Kasserine, raggiunse il generale Giovanni Messe, comandante della 1ª Armata italiana a cui era stata demandata, con le restanti forze, la difesa della linea in sua assenza. Il 6 marzo 1943, con gli americani intenti a riorganizzarsi, Rommel, nonostante la netta inferiorità numerica (150 carri armati contro i circa 450 britannici), sferrò un attacco lungo la parte sud della linea per colpire stavolta gli inglesi (Operazione Capri).
Grazie alle intercettazioni e alla decodifica dei messaggi tedeschi Montgomery poté però allestire una eccellente difesa. I carri dell'Asse si ritrovarono quindi a sbarramento una divisione neozelandese con diversi cannoni anticarro che neutralizzarono 52 carri nemici. Perdite gravissime per gli italo-tedeschi, se unite al fatto che solo qualche giorno prima in un attacco più a nord il "gruppo Tiger" si era impantanato in un acquitrino perdendo 17 su 19 di questi preziosissimi cari.
Il 7 marzo Rommel lasciava il fronte e rientrava in Germania per motivi di salute; la Volpe del deserto non avrebbe più messo piede in Africa. Il comando del DAK fu assunto da von Arnim che in accordo con Messe decise di far rimanere le truppe nelle posizioni fortificate, lasciando inevitabilmente l’iniziativa a Montgomery che infatti non si fece attendere.
Un primo attacco per saggiare le difese dell’Asse venne lanciato il 19 marzo (Operazione Pugilist) preceduto da un pesante bombardamento di ammorbidimento delle linee nemiche ma la 50ª Divisione di Fanteria britannica supportata dal 50° Royal Tank Regiment, dopo un iniziale sfondamento della linea presso Zarat, venne arrestata e ricacciata indietro il 22 marzo dalla 15ª Divisione Panzer tedesca accorsa a tappare la falla.
All’alto comando inglese fu allora chiaro che per sfondare la Linea di Mareth bisognava aggirarla da ovest occupando El Hamma. La 2ª Divisione neozelandese, supportata dalla 8ª Brigata carri e da brigate francesi, nel contesto dell’operazione Supercharge II, furono quindi inviate verso tale località; ben presto individuate queste forze vennero attaccate lateralmente da 21ª Divisione corazzata e 164ª Divisione di fanteria leggera (tedesche) e da minori unità (italiane).
La battuta di arresto dei neozelandesi permise a Von Arnim di ritirare in ordine le sue truppe verso l'altopiano roccioso di Akarit, dove fece arretrare anche l’intera I Armata italiana, non subendo perdite né di uomini né materiali. Ma la posizione sull'Akarit non poteva essere difesa ad oltranza. Von Arnim oltretutto spostò i panzer a nord per prevenire un probabile attacco del generale americano Patton, lasciando al generale Messe solo alcuni semicingolati di supporto.
Nonostante tutto gli inglesi furono bloccati fino a quando le truppe dell’Asse decisero un nuovo ripiegamento tattico per accorciare il fronte su Enfidaville, dove, come sulla Linea di Mareth, le ripide alture restringono la fascia costiera, favorendo così chi deve difendere quelle posizioni. Il nuovo fronte era lungo circa 215 chilometri ed andava da Capo Serrat ad Enfidaville appunto.
Nel frattempo però, le forze corazzate americane e quelle britanniche si ricongiungevano sulla strada per Gabès, chiudendo gli italo-tedeschi in una sacca. La superiorità in termini di uomini e mezzi degli alleati divenne ancora più schiacciante: 1500 carri contro i soli 50 nemici; nei cieli la RAF dominava, i pochi velivoli della Luftwaffe ancora presenti erano spesso costretti a terra per mancanza di carburante.
Il 19 aprile statunitensi e inglesi lanciarono simultaneamente due attacchi. Tre divisioni di fanteria di Montgomery assaltarono la posizione di Enfidaville, ma subirono grosse perdite perché al solito il generale Messe impiegò al massimo l’artiglieria a sua disposizione e, pur a corto di munizionamento, riuscì a respingere gli inglesi.
Gli americani invece presero d’assalto le posizioni della 5ª Panzerarmée che riuscì però a sganciarsi. Ma ormai le sorti della battaglia di Mareth e in generale della Guerra d’Africa erano segnate da quell’interdipendenza dei fronti, troppi, ai quali la macchina bellica tedesca doveva pensare, e quindi con una campagna di Russia, sempre più costosa in termini di uomini e mezzi, i rifornimenti per ribaltare i rapporti di forza con gli alleati non erano arrivati per El Alamein e non arrivarono per salvare Tunisi e non perdere l’Africa.
Il 5 maggio gli alleati dettero la spallata finale con l’Operazione Vulcano. Il fronte italo-tedesco crollò e solo due giorni dopo le avanguardie dell’11° Reggimento Ussari inglese entravano in una Tunisi ormai nel completo caos. Il 13 maggio il generale Messe firmò la capitolazione del I Corpo d’Armata italiano. Il giorno prima lo aveva fatto von Arnim per 5ª Panzerarmée tedesca.
Le conseguenze della caduta di Tunisi
La caduta di Tunisia segna la fine dei combattimenti nel nord Africa. Gli Alleati catturano oltre 275.000 prigionieri. Proprio dal Nord Africa, come base logistica, avrà inizio l'operazione Husky per la conquista della Sicilia, la conseguente caduta del governo fascista e la guerra civile in un Italia che rimarrà divisa politicamente e militarmente in due fino all’aprile del 1945: il Sud e il Centro sotto controllo alleato, il Nord sotto la Wehrmacht e la Repubblica di Salò.
Il museo
Il Museo della Linea di Mareth si trova sulla strada che da Medenine porta a Gabès. È un piccolo edificio che però ha la peculiarità di sorgere proprio su una delle alture che costituivano la linea difensiva; è infatti circondato da bunker e casematte. La terra tutto intorno è gialla e riarsa dal sole, l’ambiente è quello tipico presahariano. All’ingresso si trovano due cannoni anticarro da 40 mm italiani.
Nella sala principale alle pareti si trovano alcune fotografie d’epoca che illustrano lo sbarco dei soldati americani in Marocco, 8 novembre 1942, e l’arrivo all'aeroporto di El Aouina (9 novembre 1942) dei rinforzi tedeschi per la campagna di Tunisia, aviotrasportati da 40 Junkers da trasporto. Proseguendo nell’itinerario, in uno spazio distaccato si trova la sala di proiezioni cinematografiche, dove un documentario in varie lingue mostra immagini d’epoca relative alla Campagna d’Africa e alla Battaglia della Linea di Mareth.
Rientrando nel salone principale ci attendono quattro vetrine espositive che contengono uniformi, equipaggiamento e armamento italiano, inglese, francese, tedesco. In una quinta vetrina si può ammirare, perfettamente conservata, l’uniforme di un ufficiale del Deutsches Afrikakorps. In fondo, un diorama che ricostruisce il bunker di comando di Rommel. Ma è uscendo che il sito museale offre un vero e proprio spaccato di storia militare, come pochi altri musei militari sanno fare.
Ci si trova praticamente in uno dei posti nevralgici delle postazioni difensive di Mareth. Si cammina nelle trincee e si può entrare nei numerosi bunker e casematte presenti. Per visitare invece il bunker comando di Rommel, ricostruito dal diorama all’interno del museo e ripristinato solo da poco dall’Esercito Tunisino, bisogna arrivare alla località di Lazaiza e percorrere una pista sterrata per qualche chilometro.
È quindi necessario prendere una guida locale telefonando in anticipo al personale militare del sito museale. Il museo pur piccolo e mancante di una pagina internet, per qualche notizia c’è il sito del Ministero della Difesa Tunisino dal quale dipende, accoglie comunque tra i 6000 gli 8000 visitatori stranieri l’anno che potrebbero essere molti di più se fosse ben pubblicizzato. Riteniamo a dispetto delle sue poche sale espositive che la collocazione sul campo di battaglia lo renda veramente interessante da visitare.