Maurizio Maltese non potrebbe essere più diverso dallo stereotipo del maestro di arti marziali inflessibile e autoritario che tanti immaginano. Nel corso della sua lunga carriera Maltese ha fatto della capacità comunicativa e della semplicità nel proporre i suoi concetti il suo punto di forza, diventando uno dei più stimati formatori di istruttori in Italia. A suo agio con diverse forme di comunicazione (è anche un bravissimo musicista), dopo aver studiato e fatto conoscere in Italia le arti marziali filippine e indonesiane, negli ultimi anni Maltese si è concentrato sulla ricerca e l’insegnamento della Scherma Jonica, un patrimonio di tecniche di combattimento sviluppatosi nell’arco di secoli nell’area della Magna Grecia. Gli abbiamo chiesto di raccontare ai lettori di all4shooters qualche dettaglio in più sul suo percorso…
La nostra storia inizia in Enotria, la terra del vino
L’area meridionale del nostro Paese, che si affaccia sul mare Jonio, è stata la culla della civiltà nei tempi antichi. Stiamo parlando di una zona che coinvolge parte della Sicilia, tutto il lato Jonico della Calabria, una piccola parte della Basilicata e in parte la Puglia. Sulla costa opposta troviamo l’Albania e la Grecia. Un tempo quest’area era la Magna Grecia che ha ospitato filosofi dello stampo di Pitagora e atleti formidabili come il pugile e lottatore Milone, imbattuto per diverse edizioni delle Olimpiadi. Questa zona ricca di tradizioni di usi e costumi, conosciuti solo a pochi studiosi, rivela oggi, pian piano, il suo glorioso passato.
La Calabria, per esempio, era conosciuta dai Greci come la terra degli Enotri, ovvero di coloro che allevavano la vite per fare il vino.
Secondo alcuni storici il re degli Enotri si chiamava Italo ed estese il suo nome dapprima ai suoi sudditi e poi a tutto il sud finché, successivamente, si diffuse all’attuale penisola e alle isole. Secondo altri, il termine Italia deriva da viteliu. Perdendo col tempo la V all’inizio del termine, si giunse a coniare l’appellativo Italia. Si trattava sempre di un nome che i Greci attribuivano alla gente che abitava nei pressi dell’odierna Catanzaro. I viteliu erano infatti coloro che adoravano il vitello.
In ogni caso la città in cui sono nato ha dato l’origine al nome Italia.
Parliamo di arti marziali: per il grande pubblico sono sinonimo di Giappone e Cina, ma dove sono nate davvero?
La storia, edulcorata da romanzi e soprattutto dai film, ci ha fatto credere per anni che le arti marziali fossero un patrimonio esclusivo del Paese del Sol levante. I Samurai, il Judo, il karatè, l’Aikido, il kendo, ecc… sembravano rappresentare le arti marziali per eccellenza. Piano piano, negli anni Settanta proruppero come uno tsunami le arti marziali cinesi. Sempre grazie alla cinematografia, le palestre si riempirono di aspiranti monaci di Shaolin part time. I tempi divennero sempre più rapidi e frenetici, arrivarono al seguito le arti tailandesi, quelle vietnamite, quelle coreane, eccetera.
Ma la vera novità fu rappresentata dalla comparsa sulla scena delle arti marziali filippine. Si trattava di arti sviluppatesi nell’arcipelago del sud est asiatico, diverse da tutte le altre.
In cosa consisteva questa differenza?
Presto detto. Le arti marziali filippine sono l’esempio migliore e ben riuscito di mescolanza tra quelle orientali e quelle occidentali. La diffusione capillare delle arti marziali filippine sul pianeta si deve anche al noto marzialista e attore Bruce Lee, i cui allievi, come il grande Dan Inosanto, erano anche rappresentanti delle discipline filippine note come Kali, Arnis o Escrima.
Gli Europei e in particolare gli Italiani ebbero modo di trovare le radici di un glorioso passato marziale che faceva dei nostri connazionali i migliori guerrieri del Rinascimento.
La scherma, infatti, nasce in Italia. Con questo termine indichiamo non l’attività sportiva che oggi vediamo alle Olimpiadi ma una completa arte marziale, tanto quanto lo erano quelle che ci sono arrivate dall’Oriente. I nomi, le movenze, gli abiti, l’uso della spada e della daga (espressione marziale tutta italica) richiamavano il nostro passato.
Del resto, non poteva essere altrimenti: le nostre popolazioni hanno combattuto numerose guerre prima, durante e dopo l’Impero Romano. L’arte marziale italiana si è forgiata sul campo in tante occasioni, più di quante ne abbiano avute alcuni popoli orientali. I film raccontano solo ciò che è esotico. La disciplina marziale nel nostro Paese non si è mai interrotta poiché l’uso, per esempio, del coltello rappresentava per il popolo ciò che la spada era per il nobile. Il bastone poi era il mezzo attraverso il quale ci si difendeva e ancora oggi lo si usa per proteggere il gregge dall’assalto di animali o persone. Le scuole di addestramento ci sono state e alcune sono sopravvissute in segreto, perché ferocemente represse in quanto palestre di formazione pericolose per un esercito regolare come quello piemontese che, all’indomani dell’unità d’Italia, corse a reprimere il fenomeno del brigantaggio. Dove non arrivarono il fucile o la spada, arrivò la Chiesa, reprimendo un patrimonio marziale di inestimabile valore.
Che cosa si impara nei corsi di Scherma Jonica?
Si impara ad impugnare il coltello, a scegliere l’arma più adeguata al proprio temperamento, a conoscere le diverse lame e le loro intrinseche proprietà. Tuttavia, durante le lezioni si usa il fusto un bastoncino cilindrico che simula l’arma bianca.
Solo più avanti si impugnerà una replica in metallo e solo gli esperti (ovviamente con la massima attenzione) usano un coltello vero, in grado di ferire sia di punta che di taglio. Le lezioni possono essere singole (un allievo) o di gruppo. Si apprende come portare colpi di punta e di taglio e i movimenti dei piedi (footwork) chiamati in italiano passeggio.
Si studia come colpire muovendosi nelle diverse direzioni: avanzando, arretrando, ruotando su sé stessi, ecc… L’allievo apprende come far passare l’arma da una mano all’altra allo scopo di sorprendere l’avversario o per evitare un attacco di calcio. L’arma corta viene maneggiata sia con l’impugnatura diritta che con l’impugnatura rovesciata spesso detta alla galeotta in quanto adatta al combattimento negli angusti spazi di una cella.
I calabresi hanno poi una predilezione per il corpo a corpo quindi per il combattimento ravvicinato al punto da entrare in una sorta di lotta mortale con l’avversario, che può essere afferrato, strattonato, spinto, tirato o proiettato al suolo.
I compagni del coltello: giacca, cappello, cintura e...
Nel corso degli anni l’inventiva dei maestri d’arme ha elaborato numerosi ausili per accompagnare puntate e fendenti.
Prima fra tutti la giacca. Probabilmente a imitazione della cappa con la quale si paravano i colpi di spada. La giacca o la mantella (in passato più frequentemente indossata) era accessorio fondamentale in ogni duello. Essa viene usata completamente distesa al fine di occultare i colpi pronti a scattare come mortale puntura di vipera, oppure come “manicotto” avvolta intorno al braccio per parare i colpi dell’avversario. È contemplato anche il lancio della giacca sul volto dell’altro, allo scopo di occultarne la visione o di ostacolarne i movimenti per quei secondi necessari a sferrare l’attacco. Alcuni hanno voluto vedere in questa astuzia, la sopravvivenza della tecnica gladiatoria del reziario che lanciava la rete sull’avversario. Ipotesi da non scartare in quanto il nostro meridione è stato il vivaio per numerose scuole gladiatorie. Si pensi che gli abitanti della Calabria appoggiarono la rivolta di Spartacus.
Il secondo accessorio è il cappello. Sia che si tratti del cappello tradizionale con le larghe falde, usato per ripararsi dal caldo e dal freddo, sia che si tratti della più conosciuta coppola; il cappello veniva usato per distrarre l’avversario lanciandolo negli occhi per aver sul tempo di estrarre l’arma dalla tasca, oppure per colpire in accordo con la lama o ancora come guanto per parare i colpi, diminuendo il rischio del taglio durante l’azione.
Il terzo accessorio è il foulard. Nel passato i contadini e i pecorai portavano il foulard (da noi semplicemente chiamato fazzoletto) allacciato attorno al collo. Al momento opportuno veniva usato in tandem col coltello per distrarre l’altro durante le azioni di attacco o difesa. Non ci deve meravigliare perché se osservate le armi tradizionali cinesi, spade, alabarde, lance, sono tutte adornate di pennacchi e fronzoli il cui scopo era identico.
Il quarto accessorio è particolarmente importante: si tratta della cintura. Attrezzo che rivela una straordinaria efficacia come frusta soprattutto quando dall’atro capo c’è una fibbia pesante e magari tagliente. La cintura si rivela un ottimo strumento di difesa contro un avversario armato di coltello quando si è a “Lancillotto” ovvero disarmati.
L’accessorio più importante è però senza dubbio il secondo coltello. Pratica poco conosciuta in quanto ritenuta spesso disonorevole nel duello e quindi praticata in segreto ed usata solo all’occorrenza al riparo da sguardi indiscreti.
Interessante è lo studio dell’improvvisate il maestro sfidava l’allievo all’improvviso e nei posti più disparati, egli doveva dimostrare di saper usare quanto c’era intorno a lui per aiutarsi nel sostenere la sfida. La bottiglia di vino, un piatto, la sedia, erano gli strumenti più adatti e andavano affermati senza pensarci troppo.
Coloro i quali vivevano una vita pericolosa uscivano di casa “acconzzati” ovvero addobbati, preparati. Un fazzoletto legato a mo’ di fagotto al cui interno potevano esserci monete o sassolini (quelli di mare erano i più adatti).
Un pezzo di carta (spesso si usava la schedina) piena di sabbia, borotalco o tabacco (ottenuto sbriciolando una sigaretta) o meglio ancora peperoncino in polvere, questi venivano lanciati o soffiati in faccia all’altro.
Quando si era consapevoli di andare incontro al pericolo si potevano anche annodare le maniche del maglione al cui interno si mettevano due pesanti sassi, uno per manica, e usare l’indumento a sorpresa come un maglio contro l’avversario.
Non c’è bisogno di essere Ninja per capire che la necessità ha sempre aguzzato l’ingegno dell’uomo.
Il bastone, l’arma del popolo
L’altro strumento fondamentale del popolo era il bastone. Lo usavano i pastori sia per necessità, che come passatempo mentre il gregge brucava, i carrettieri per difendersi da “assalti alla diligenza”; gli artigiani e i bottegai per raffreddare i clienti calorosi. Per tale motivo non esiste una lunghezza standard dell’arma, ogni categoria ne prediligeva uno diverso in forma, peso e lunghezza. Non si tratta neppure di una prerogativa dell’area jonica, il bastone bene o male lo usavano tutti, dalle alpi alle piramidi ed oltre. Tuttavia, l’impiego di uno strumento difensivo non crea di per sé una scuola. La scuola è caratterizzata da un programma preciso che, anche se non redatto in forma scritta, esiste e si tramanda. Non solo, esso cresce con l’esperienza dei maestri di nuova generazione.
I pastori, per esempio, usano spesso un bastone lungo che fanno roteare magistralmente sopra la testa per calare sul capo dell’altro in verticale, in diagonale o persino di punta imitando il movimento che i pizzaioli usano per infornare.
Altri adoperano un bastone più corto i cui movimenti ricordano quello del coltello: “Il bastone ed il coltello sono fratelli, uno insegna all’altro i suoi segreti” dicono gli anziani.
Il bastone nell’area jonica ebbe un nuovo impulso durante le crociate in particolare la prima detta “dei pezzenti” o dei poveri. Non tutti possedevano il cavallo, l’armatura e la spada quindi si partiva, al seguito di Pietro l’Eremita per fervore religioso o per convenienza personale, armati di ciò che si aveva: mazze, accette, ma anche di nodosi bastoni. In particolare, i calabresi erano guidati dall’Arnolfo arcivescovo di Cosenza.
Scherma Jonica a mano nuda
Per riscoprire il corpo a corpo senza armi, il periodo aureo è quello della Magna Grecia. Nell’area jonica nacquero eccellenti pugili e lottatori. Sempre la stessa zona, in epoca romana, fornì gladiatori d’eccellenza. Quindi sappiamo che accanto al coltello e al bastone venivano praticati colpi e “prese”, così le chiamavano quando io ero piccolo e abitavo a Catanzaro.
Molto spesso, come successe in tutto il modo, le aree di combattimento (bastone, coltello, mani nude) si mescolarono influenzandosi a vicenda.
Che senso ha oggi praticare la Scherma Jonica?
La Scherma Jonica non è una rievocazione storica (non ho niente contro le bellissime rievocazioni) ma un’arte marziale completa ed efficace, quindi adattissima sia alla difesa personale, sia come attività che coinvolge in modo intelligente mente e corpo.
Come è stato possibile riscoprire questa antichissima disciplina?
Non è stato facile, anzi mi trovavo più favorito nelle ricerche quando incontravo maestri di arti marziali nella Jungla di Sumatra piuttosto che nell’impenetrabile Sud-Italia. Certo aver avuto un nonno grande esperto di schema mi ha aiutato ma non quanto si può immaginare o, per lo meno, quanto io osassi sperare. Mi ci sono voluti 40 anni per mettere insieme un programma organico ed efficiente. La conoscenza delle arti marziali soprattutto quelle del sud est asiatico, arnis de mano in primis, mi è servita molto. Altrettanto lo studio meticoloso di tutti i nostri trattati di scherma tradizionale, ma fondamentale è stato aver avuto la possibilità di intervistare gli eredi di una tradizione dimenticata e a lungo bistrattata. Si è trattato di un lungo corteggiamento, non mostrando fretta (cosa per me difficile) cercando di trovarsi al posto giusto al momento giusto. La fortuna in questo mi ha aiutato.
La Scherma Jonica è efficiente come sistema di difesa personale?
Tutte le arti marziali sia occidentali sia orientali sono adatte alla difesa personale e sono altrettanto efficaci. Tuttavia esse richiedono un lungo periodo di addestramento per riuscire a colmare la differenza fisica tra una persona di 60 chili e l’aggressore che ne pesa cento, tra una donna esile e uno stupratore col fisico da body builder, tra un anziano di 75 anni e un giovane scalmanato di venticinque, tra il singolo e la molteplicità degli aggressori per di più armati. A differenza dei film la realtà è sempre più nuda e cruda.
È possibile colmare questi divari?
Sì! Con la Scherma Jonica è possibile. Una donna che conosce i movimenti basilari della scherma Jonica sarà in grado di difendersi da qualsiasi tipo di avversario perché nell’uso difensivo del coltello non conta la forza ma l’abilità e la destrezza. Ciò vale per qualsiasi aggressione in cui la vittima è svantaggiata perché palesemente più debole oppure perché si trova in condizioni di inferiorità numerica. Si tenga presente che una volta appresi i movimenti di base qualsiasi oggetto può essere impiegato come se fosse un coltello, sempre seguendo schemi, tattiche e strategia della Scherma Jonica.
Per saperne di più potete contattare Maurizio Maltese tramite il suo sito web oppure la sua pagina Facebook. Nel suo canale di Youtube potrete vedere altri filmati sulla Scherma Jonica.