Il pastore trascorre i propri giorni e i propri mesi lontano da casa, all’aperto e con il suo coltello, diventato polivalente con l’uso che lo ha reso adatto ad ogni compito, deve fare ogni lavoro che si avvalga di una lama affilata.
Una lama che l’evoluzione nel tempo ha lasciato sempre uguale a se stessa, perché uguale è il compito da svolgere.
Dapprima fu Sa Corrina, antichissimo coltello antenato della Resolza di Pattada, con manico in corno di capra o di montone ma a lama fissa.
Sa Pattadesa, che ne discende in via diretta, ha la lama a foglia di mirto e un manico molto semplice, preferibilmente in corno di muflone.
La sua storia risale ai fratelli Mimmia, che a partire dalla prima metà dell’Ottocento, nella loro bottega di fabbri, producendo arresojas (dal latino rasoria, rasoi, intesi come oggetti molto affilati) generarono un coltello che è ora famoso nel mondo. Le forme originarie non erano né potevano essere standard.
La cultura dello spreco non esisteva e il fabbro lavorava con il materiale che aveva, adattando la lama al manico o viceversa.
Molte volte, per comporre una forma aggraziata quando magari il corno per il manico era troppo sottile, doveva fare modifiche che portavano, ogni volta, ad un coltello leggermente diverso dagli altri. Figuriamoci poi come poteva essere la lavorazione quando il fabbro produceva, nei ritagli di tempo, una manciata di coltelli da vendere al mercato: in quel caso lo spreco di tempo e di materiale non era ammesso per alcun motivo e bisognava adattare quello che c’era, senza curarsi della rigorosa uguaglianza tra gli esemplari prodotti.
L’unica cura del fabbro era la qualità, senza la quale avrebbe perso la clientela; l’aderenza della forma alla funzione era assicurata dalla lunga consuetudine e, in periodi in cui i trasporti erano lenti e le comunicazioni scarse, dalla vicinanza fisica all’utente dei propri prodotti.
La fedeltà all’archetipo non era data dalla pedissequa e millimetrica ripetizione delle forme e delle dimensioni ma dall’aderire all’uso.
Il coltello di Pattada infatti, prima ancora che una lama, identifica un uso, perché è un coltello da pastore e per l’esattezza un coltello da scanno.
In linea di massima le lame sarde da tasca appartengono a tre grandi gruppi: possono essere larghe da scuoio, strette da scanno o mozzate come le Lamette di Tempio Pausania o un preciso modello di Guspini.
Tra le lame da scanno, la forma della Resolza è così snella ed elegante che molti coltellinai custom l’hanno riproposta, magari con lama in acciaio damasco e manico d’avorio.
Dalla diffusione del modello sono nate molte sue riproduzioni per cui abbiamo, più o meno aderenti all’archetipo ma tutte pienamente identificabili, la Resolza di Maniago, quella di Scarperia e alcune tristissime imitazioni con manico in plastica.
L’attrezzo da scanno con lama stretta dovrebbe - ma anche reputati coltellinai custom se ne sono dimenticati - segnare tra la punta della lama e l’asse del manico un quasi impercettibile angolo di pochi gradi, sufficiente a far sì che nell’uso di punta la lama tenda ad aprirsi e non a richiudersi sulle dita del proprietario.
Qui quell’angolo non lo troviamo, ma trattandosi di un coltello ferrato e con blocco della lama in apertura è un peccato veniale, in quanto la funzione del tenere aperto il coltello quando lo si usa di punta è svolta dal liner lock.
Benché sa Resolza sia, come si è detto, il nome che in lingua sarda identifica il rasoio e per estensione si possa applicare a quasi tutti i ferri taglienti; l’apparentamento al rasoio rammenta che il coltello da usare deve essere sempre affilatissimo.
In particolare però il termine Resolza identifica quasi sempre il coltello di Pattada, che è il più noto e famoso per l’eleganza della forma.
La Resolza di Pattada non è un coltello ferrato: ha un distanziale di ferro che tiene separate alla corretta distanza le due metà del manico e che serve da punto d’appoggio per il dorso del tallone della lama in posizione di apertura; la ghiera di ottone è decorativa e protegge l’estremità del corno ma è l’estremità superiore del distanziale di ferro a svolgere la funzione che nei coltelli chiudibili più arcaici era svolta dal secondo chiodo.
Sfilata ed elegante, la Resolza di Spyderco utilizza per la lama l’acciaio Boehler N690, una lega al Cromo-Molibdeno ad alto Carbonio che consente una tempra a durezza elevata, con ottima tenuta del filo.
Questa una caratteristica irrinunciabile perché il coltello è dedicato ad una persona che per il suo lavoro può rimanere isolata per lungo tempo e costituisce il suo principale strumento.
L’arrotatura è piana e lo spessore della lama è di un ottavo di pollice ma l’attrezzo non appare massiccio, viste le dimensioni.
Il manico, per garantire la solidità dell’insieme ancorché manchi la ghiera di ottone che qui sarebbe incongrua, è G10.
A ben vedere, il prezzo non è caro anche se a prima vista i circa 289,95 dollari possono sembrare molti. In rete si trova a meno; ma visto che anche i coltelli Spyderco incominciano ad essere imitati dai soliti falsari sarà davvero il caso di fidarsi?