Avrà un senso, cercare di inventare ogni volta la ruota? Sicuramente no. Ciò che è già stato fatto non deve essere reinventato ma studiato, per migliorare le prestazioni ed eliminare progressivamente i difetti. Anche ciò che è stato fatto male impartisce comunque delle lezioni. Si va a vedere perché non funziona, si analizzano i punti critici, si fa tesoro dell’esperienza altrui per evitarli. In particolare in un settore, quello dell’armamento leggero, in cui i principi di base sono stati definiti da tempo. Nel secondo dopoguerra, di concettualmente nuovo si è visto ben poco. Se togliamo le innovazioni sui materiali, la meccanica non ha riservato sorprese particolari.
È per questo motivo che le fabbriche d’armi importanti hanno una raccolta tecnica. E il motivo per cui ce l’ha il PMAL di Terni, che è nato come stabilimento per la produzione di armi. Un luogo particolare, Terni, in cui si è studiato e progettato, si sono fatti test, si sono realizzate le modifiche e le varianti, sono conservati prototipi. Un luogo in cui è possibile ricostruire la storia ed esaminare la meccanica, parlando liberamente di armi tra studiosi, senza essere considerati eccentrici o cospiratori. Un luogo civile in cui persone di identico sentire possono ragionare liberamente tra di loro, apprezzare un lavoro ben fatto o un’idea innovativa, senza sentirsi ghettizzati. Un’istituzione antica e funzionante che l’Esercito può mostrare con legittimo e ben fondato orgoglio. Non dimentichiamoci mai che il soldato italiano, nelle zone di operazioni in cui è impegnato, gode di grande rispetto e altissimo prestigio.
Al solito, sono certi italiani e certa stampa ad accorgersene in ritardo o a fingere di non sapere. I comandi Nato, che sono competenti in materia, lo hanno capito da tempo. Incidentalmente, fin dalle sue origini come stabilimento militare il PMAL dimostra come l’esercito, se non stretto da lacci e lacciuoli, possa essere efficiente. Tanto che l’opera fu realizzata in soli cinque anni, che non partono dalla posa della prima pietra ma iniziano dalla comunicazione del Comune di Terni ai proprietari dei terreni.
Correva l’anno 1870, e in quella comunicazione si diceva che Ufficiali dello Stato Maggiore sarebbero venuti a ispezionare i terreni per stabilire se fossero adatti e convenienti per l’installazione di uno Stabilimento militare. Lo erano e la realizzazione, all’epoca, fu all’avanguardia rispetto alle tecnologie coeve. Lo conferma lo spaccato dello stabilimento nella sua prima versione, ancor oggi esposto all’ingresso della Direzione, che mostra i capannoni disposti perpendicolarmente a un canale, tuttora esistente, che forniva l’energia idraulica per l’azionamento delle macchine.
All’interno del PMAL è contenuta, come si diceva, la raccolta tecnica delle armi. Consta di una sala piuttosto ampia con vetrine sui quattro lati e al centro e di due altre stanze sovraffollate, in cui sono raccolte attrezzature per la produzione e il controllo del fucile ’91, artiglierie leggere, mortai, Vetterli e tutta una serie di armi interessanti compresa una Lercker. Le stanze sono sovraffollate per due buoni motivi. Il primo è che dal 1870 a oggi la raccolta tecnica si è sempre ampliata. L’altro è che non si tratta di un museo, che deve avere caratteristiche espositive particolari. C’è, naturalmente, molta storia nella raccolta. E molta sapienza. Esemplare, per contenuti e per eleganza formale, la monografia di Aldebrano Micheli sul fucile Vetterli. Ma per gli scopi per cui quella raccolta è stata allestita non occorre che le armi siano in esposizione; è sufficiente che siano raggiungibili da chi ne ha bisogno per studio.
Gli aspetti museali sarebbe giusto che ci fossero, ma non competono all’Esercito anche per via dell’eterogeneità dei fini: storici nel caso del museo, tecnici per il PMAL.
Tutto, nella raccolta tecnica ‒ ampliata attraverso le armi confiscate che si è riusciti legittimamente ad acquisire ‒ ha una giustificazione razionale. Persino le daghe naziste, che sembrerebbero avere un valore solo storico.
Vi siete dimenticati che gli allievi dell’Accademia hanno lo spadino? Oggi non è prodotto dall’Esercito, ma domani potrebbe esserlo. Alla stessa stregua, hanno un significato certe armi prodotte dopo la Prima guerra mondiale, studiate per essere usate con una mano sola. Non è, semplicemente, la soluzione per consentire di girare armati anche a coloro che fossero stati mutilati durante la Grande Guerra. Vi sono situazioni in cui poter usare la pistola con una sola mano ha un’assoluta validità anche oggi, come dimostra un accessorio israeliano per la Glock che consente di mettere il colpo in canna con una sola mano. In questo caso, è un nottolino sporgente che va appoggiato sulla cintura dei pantaloni. Una soluzione diversa, ma il problema è identico.
Un curioso pezzo di storia è testimoniato da una Luger P08 con doppia data. Ci ricorda che dopo il trattato di Versailles la Germania non poteva avere pistole con canna più lunga di 10 cm. Una disposizione priva di significati tecnici, ma c’era. Benché la P08 fosse perfettamente in regola, alcuni cittadini tedeschi vollero far punzonare la propria arma con la data del 1920 come dichiarazione di conformità alle condizioni del trattato.
La raccolta è un’opera immane, trattandosi evidentemente di una collezione che non potrà mai essere completa. Le testimonianze vanno da un fucile a miccia a una FN P90, passando per carabine di ogni genere, pistole semiautomatiche e automatiche (la Lercker), pistole mitragliatrici, fucili mitragliatori, revolver, armi bianche. È un peccato che non siano esposti i calibri verificatori che ancor oggi il PMAL progetta e costruisce.
L’Esercito ha qualche comprensibile riluttanza a esibire le armi che siano ancor oggi in uso, ivi inclusi gli strumenti verificatori che consentono di verificarne l’efficienza. Ma facendo domanda con un sufficiente preavviso è possibile accedere anche a esse, almeno per gli studiosi e la stampa specializzata.
Tuttavia quelle armi non rientrano nella normale esposizione, pur essendo presenti e acquisite.
Per tutte le altre, anche quando c’è una vasta raccolta di armi dello stesso tipo e dello stesso produttore, c’è sempre un motivo perché ci sia.
Perché, ad esempio, tenere tutti i modelli dei revolver Smith&Wesson? Per motivi di studio, naturalmente. Per indicare le differenze maggiori, i primi modelli a telaio snodato erano incernierati in alto, dietro il tamburo.
I modelli successivi, incernierati in basso davanti al tamburo, avevano una meccanica affascinante per l’appassionato, ma che richiedeva cure da orologiaio. Anche i modelli più moderni riservano motivi di studio. Per esempio, si è passati dalla stella fissata con spine a quella asimmetrica. C’è stata, ovviamente, una riduzione dei costi, ma la stella asimmetrica non è registrabile. Se qualcuno deve progettare una nuova arma, in questo passaggio ci sono motivi di studio. La riduzione dei costi compensa la non possibilità di accuratizzazione?
Per chi fa armi militari, quindi con una manutenzione istituzionale, la domanda non è peregrina.
Si potrebbe continuare, sempre nel settore dei revolver di una sola marca, con molte altre differenze. Talvolta evidenti e talaltra sottili fino a essere quasi impalpabili, per il profano. Ma chi si accosta alla raccolta tecnica per motivi di studio profano non è, mentre chi vi si accosta per verificare alcuni elementi che sta inserendo nella progettazione di un’arma nuova è persona indubbiamente competente.
In certi casi, due volte competente, come accade a chi proviene dal Corpo Ingegneri ma ha frequentato anche la Scuola di Guerra. Il bordino rosso intorno alle stellette del Colonnello comandante è eloquente, in proposito. Adesso la Scuola di Guerra non si chiama più così, ma il risultato non cambia. Al più, sarà cambiata l’importanza attribuita a materie come la psicologia e la logistica. Sempre più importante, quest’ultima, visto che un esercito moderno dipende in modo critico dai rifornimenti.
Tentare di descrivere in dettaglio la raccolta tecnica sarebbe impresa immane fino ai limiti dell’impossibile. Ci sono semplicemente troppe armi, ciascuna con specifiche particolarità che ne hanno motivato l’acquisizione.
La buona notizia è che la raccolta è visitabile, ovviamente facendo domanda con sufficiente anticipo.
Eccellente notizia, per due motivi. Infatti, consente all’Esercito di esibire e al pubblico di apprezzare il patrimonio tecnico e culturale accumulato in tanti anni di storia.
Inoltre e soprattutto porta dei giovani a considerare le armi per quello che realmente sono: una testimonianza dell’ingegno umano. La raccolta merita comunque una visita. L’Esercito è ampiamente disponibile, pur essendo questa attività qualcosa che non esime dai compiti funzionali ma vi si sovrappone. E la cortesia verso gli ospiti è quella tradizionale dei militari, da sempre attenti alla forma oltre che alla sostanza.