Il fucile express nacque nella seconda metà del XIX secolo, creato da quello stesso James Purdey che sarebbe diventato uno dei più famosi armaioli dell’Impero Britannico. Era un’arma concepita per sparare un proiettile di grosso calibro ad alta velocità, inteso per la caccia grossa.
Il nome deriva dal termine “treno espresso” che in quei tempi, in cui aerei e auto erano ancora ben di là da venire e un buon purosangue era l’epitome della velocità, era il mezzo più veloce al mondo.
La polvere infume non era ancora stata inventata e le cartucce dell’epoca erano caricate con imponenti dosi di polvere nera per ottenere le velocità elevate necessarie al considerevole potere d’arresto desiderato.
Questi fucili erano pensati per un uso da distanza assai breve, per la caccia agli animali più pericolosi che popolavano le savane africane e le giungle del sud est asiatico: dovevano essere veloci non solo in termini di velocità del proiettile, ma anche in termini di puntabilità e doppiabilità del colpo, casomai il primo proiettile si fosse dimostrato insufficiente o non avesse colto nel segno.
Per questo motivo venne valutato che la miglior configurazione possibile fosse quella a due canne giustapposte: era (comparativamente) leggera, facile da usare per chiunque avesse familiarità con le comuni doppiette da caccia e si era dimostrata per oltre un secolo la soluzione migliore per quanto attiene la puntabilità nel tiro istintivo e nel doppiare il colpo.
Pedersoli ha da molti anni un express a catalogo: il Kodiak Mk III.
Si tratta di un’arma temibile, capace di una potenza notevole ed è un’ottima arma da caccia non fosse per un singolo aspetto: ha un bilanciamento assai appruato e, di conseguenza, è un po’ lenta nel brandeggio.
La soluzione a questo problema è stata assai semplice, ma molto efficace: consiste nell’accorciare le canne da 725 mm a 615 mm, rimuovendo circa mezzo chilo di metallo là dove “pesa di più”: in volata.
Da un punto di vista balistico non è un gran sacrificio mentre, per quanto concerne il brandeggio, la differenza è radicale. Laddove il Kodiak Mk III è parecchio pesante in avanti, il Mk VI cade perfettamente in mano e punta con grande naturalezza e facilità.
Disponibile nei calibri .50, .54 e .58, sicuramente è un’arma dal notevole potere d’arresto.
La versione da noi provata è fornita di mirino fisso a grano d’orzo e di due fogliette posteriori abbattibili e interamente regolabili, per una più rapida acquisizione del bersaglio.
Le fogliette sono molto robuste e sono studiate per essere azzerate e poi bloccate. L’arma è molto ben fatta, le canne hanno una profonda brunitura color antracite mentre gli acciarini e i cani sono tartarugati con colori di buon contrasto. Il calcio è in noce europeo, completato da una finitura ad olio satinata.
Sotto le due massicce canne trova alloggio il calcatoio realizzato in legno di venatura dritta, come dovrebbe essere. Personalmente, anche se appare solido e decisamente ben fatto, ne limiterei l’uso a funzione puramente estetica, sostituendolo per l’impiego a caccia con una bacchetta in alluminio o carbonio, dotate di un fascino decisamente inferiore, ma molto più robuste.
Gli acciarini appaiono assai ben costruiti, con uno scatto pulito e un suono solido e preciso quando il cane giunge alla posizione d’armamento.
Ciascun acciarino è azionato dal proprio grilletto, come è appropriato per un’arma di questo tipo, che dovrebbe fornire una ridondanza completa del sistema di sparo, giusto perchè non si sa mai…
Non avevo l’attrezzatura necessaria a misurare con precisione il peso di scatto, ma il “ditometro” me lo indica come sostanzioso. Lo scatto è tuttavia molto pulito, privo di grattamenti e incertezze. Uno scatto piuttosto pesante è certamente una scelta prudente su un’arma di tale potenza, destinata a essere utilizzata in momenti concitati; d’altra parte, se lo scatto è valido, un peso elevato non inficia la precisione.
L’arma è stata provata con proiettili conici ed ogivali, rispettivamente del peso di 450 e 550 grani, abbondantemente lubrificati con l’apposito grasso per polvere nera Pedersoli e caricati sopra a una dose di ben 100 grani di polvere Svizzera N.3 (che poi sarebbe una FFg nell’usuale notazione).
Premendo il grilletto gli esiti sono alquanto spettacolari: una colossale eruzione di fumo e fiamme dalla volata, accompagnata da un boato che è un vero e proprio tuono.
Si ha l’impressione di tener puntato verso il bersaglio un vulcano in eruzione. Nonostante la carica piena "da caccia", il rinculo è più una vigorosa spinta all’indietro che non il calcio di mulo a cui ci hanno abituati le armi di grosso calibro; i tiri di prova sono stati fatti con l'arma imbracciata, alla distanza di circa 50 metri, senza appoggio.
La versione del Kodiak da noi provata non era dotata di un calciolo in gomma, ma di un uno in metallo.
Nel complesso, si tratta di un’arma tutt’altro che spiacevole da utilizzare. Il Kodiak ovviamente non è stato pensato per lunghe sessioni di tiro al bancone, ma non fa ballare lo shake al cervello nella nostra testa, né lascia lividi sulla spalla, come capita con certi fucili moderni tirando anche pochi colpi.
Con la sua puntabilità istintiva e l’ottima balistica, questo fucile è certamente adatto a cacciare una quantità di prede diverse di taglia medio-grande in ogni angolo del mondo, proprio come facevano i suoi antenati nei tempi andati.