Infantry Muskets. I fucili da Fanteria nelle Guerre Napoleoniche

Infantry Muskets
Moschetti. Nel 2007 sono stati utilizzati durante una rievocazione a Pfalzgrafenstein, naturalmente scarichi. A sinistra un membro del reggimento della fanteria dell’assedio di Colberg osservato da un ufficiale della cavalleria britannica
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2007, marcia verso Kaub. Nella foto un membro della fanteria dell’assedio di Colberg con in spalla il moschetto a baionetta fissa. Per l’hobby della rievocazione storica le riproduzioni di queste armi di ordinanza sono indispensabili, e i partecipanti noti come “hobbisti” vogliono sapere quali erano effettivamente le prestazioni dei loro moschetti

A ogni hobby sono associati luoghi comuni pressoché immutabili, lo stesso vale per il tiro al bersaglio. Nel nostro caso è l’immagine che ogni novellino della polvere e del piombo in un certo qual modo si dissolva con la prima nuvola di fumo: per centrare il bersaglio è necessaria una canna rigata, poiché la stessa conferisce al proiettile una rigatura e quindi una traiettoria stabilizzata e calcolabile. I moschetti a pietra focaia a canna liscia sono sempre la vittima prescelta, quando si vuole fare un esempio di scarsa precisione di tiro. 

Utilizzati per oltre 250 anni da tutti gli eserciti del mondo e indissolubilmente legati alla storia della fanteria di linea, queste armi erano a canna liscia per consentire un più rapido (e grazie alle cartucce prefabbricate in carta anche più comodo) caricamento rispetto alle armi a canna rigata note come fucili. In questi le palle si dovevano veramente guidare per ottenere un posizionamento saldo e quindi di precisione. La camiciatura delle palle semplificava la procedura ma mai come in un moschetto.

Inoltre alle loro palle mancava il sottocalibro, in modo che, anche in una canna sporca, la palla di piombo potesse pur sempre essere facilmente inserita per metà corsa. La mancanza di precisione nelle salve non costituiva una problematica importante. Detto alla buona, le cose funzionavano all’insegna del motto: molto aiuta molto. Salve a meno di 100 passi si risolvevano comunque in uno sterminio delle truppe nemiche. 

Spesso, durante le battaglie, gli attacchi della cavalleria gettavano scompiglio anche tra le fila di fanti più serrate, quindi i militari non si preoccupavano quasi per nulla degli organi di mira per i moschetti: erano dotati di mirino ma senza alcuna tacca di mira, escludendo i fucili della fanteria prussiana, i cosiddetti Nothardt’schen. 

Sulla precisione

La situazione cambia se si vuole sparare con il moschetto un solo colpo mirato. Non ci sono dubbi sul fatto che una tale arma, con i suoi proiettili sottodimensionati, non potrebbe mai colpire il bersaglio con la stessa precisione di un fucile da caccia tedesco o del suo “clone” statunitense, l’American Long Rifle. Con questi fucili è possibile sparare in maniera eccellente. I membri delle unità di caccia tedesche, dopo l’addestramento base, erano in grado di colpire, secondo quanto riportato dallo storico militare Wilhelm von Ploennies nel 1862, “da 80 a 100 passi le mani, da 150 passi la testa, da 200 passi il torace di un uomo”. 

Secondo gli esperti più anziani, i fucili piazzavano il 50% dei colpi a 100 m di distanza in una circonferenza di circa 20 cm. Prestazioni non certo prodigiose: durante le gare di tiro col fucile, le guardie forestali americane sparavano le loro munizioni a grande distanza anche a bersagli piccoli quanto la testa di un tacchino, distanze sulle quali molti degli odierni tiratori non distinguerebbero nemmeno il bersaglio.

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Reenactor della guerra d’indipendenza al di sopra del Reno. Fanteria brandeburghese e membri della fanteria dell’assedio di Colberg

Al contrario, per i moschetti ciò significava che, in caso di colpo singolo mirato, un bersaglio mobile delle dimensioni di una persona sarebbe stato ampiamente al sicuro al massimo a distanze metriche a tre cifre. E oltre i 200 m il fortunato, di norma, sopravviveva tranquillamente. Quando i militari prussiani introdussero il tiro al bersaglio, i migliori tiratori dovevano talvolta sparare anche da 300 passi (225 m), “per dare alla gente un’idea”, così riporta il trattato di Bagensky & Klaatsch pubblicato nel 1817, “dello scarso effetto a grande distanza, e con ciò preservarla dal commettere l’errore di sparare da lontano”. 

Testimone in prima persona di numerose battaglie, e facendo riferimento a studi più antichi, lo storico specializzato in armi, Thierbach ampliò il concetto nel 1886: “Si poteva supporre che, in media, su 500 pallottole sparate, una sola raggiungesse il bersaglio. Piobert affermava addirittura che di 10.000 pallottole una soltanto centrava il bersaglio e secondo Berenhorst essere colpiti da una pallottola di pistola sarebbe stata un vera sfortuna, alla quale si era destinati già dalla nascita”.

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Il Fucile Prussian 1809 prodotto dalla Pedersoli è la riproduzione del moschetto a pietra focaia prussiano M1809: lungo 1435 mm, canna di 1045 mm, calibro 75, 4 kg di peso. L’arma è dotata di 3 fascette di tenuta canna in ottone, la canna è liscia, il calcio in noce è oliato

Questa è tuttavia solo una faccia della medaglia. D’altro canto, i soldati della fanteria impiegati come tiratori (schermagliatori), quindi non soltanto membri delle unità di caccia armati di fucili, con i loro moschetti sparavano in maniera abbastanza precisa. Lo facevano sdraiati o in piedi e fuori copertura, ma centravano il bersaglio. Descrizioni di battaglie risalenti al tempo della rivoluzione americana e all’epoca napoleonica riportano che gli schermagliatori colpivano gli ufficiali nemici con tiri ben mirati. 

Nel 1810 Scharnhorst scrisse che con tre palle di moschetto si poteva colpire un bersaglio in maniera altrettanto precisa quanto con un solo proiettile di fucile. Si può quindi supporre che la maggior parte del piombo sparato abbia centrato un bersaglio umano. Resta da chiarire quale grado di precisione di tiro si possa raggiungere con un moschetto. 

La risposta prevede due aspetti: da un lato ciò che la letteratura riporta e dall’altro l’esito del test sul campo realizzato con una riproduzione Pedersoli dell’arma prussiana M1809. Iniziamo con uno sguardo alla letteratura: nei trattati specialistici, come quello standard di Gerard von Scharnhorsts apparso nel 1813 “Über die Wirkung des Feuergewehrs”, si trovano dati precisi, organizzati in tabelle secondo modelli di ordinanza internazionali. 

I prussiani con i loro moschetti di provata efficienza in media centravano il bersaglio con 138 palle su 200 a una distanza di 100 piedi (circa 75 m). A una distanza doppia la cifra si abbassava a 95, quasi la metà del piombo sparato. Tuttavia questo dice molto poco sulle prestazioni della stessa arma, poiché si trattava di prove di tiro a bersagli fissi (bersaglio alto 6 piedi e largo 100, quindi circa 1,80x30 m). 

Un po’ più precisi sono i dati che si possono ricavare dal disegno dimostrativo nel libro pubblicato da un anonimo nel 1862 “Wehr-und Schiesswesen”. Nel documento è riportata la metà dei tiri migliori come segue:

- 50 m: circonferenza 50 cm

- 100 m:circonferenza 110 cm

- 150 m: circonferenza 195 cm

- 200 m: circonferenza 320 cm

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Gerhard Johann David von Scharnhorst (1755-1813) nel 1813 scrisse “Über die Wirkung des Feuergewehrs” un libro fondamentale non solo per i militari prussiani; chi è interessato all’efficienza dei moschetti non può certo ignorarlo. A prescindere da ciò, la metodologia applicata nei test da Scharnhorsts è ancora oggi affascinante. Oltre ai suoi meriti in ambito di tecnica militare, tecnica di tiro, balistica e artiglieria il merito storico di Scharnhorsts sta soprattutto nel suo ruolo di riformatore prussiano, anche nella riorganizzazione di base dell’esercito

Tuttavia mancano dettagli sul modello dell’arma, la posizione di tiro e l’addestramento dei tiratori, che devono comunque aver sparato in posizione eretta a mano libera, poiché per la fanteria dell’epoca la posizione seduta o addirittura sdraiata era insolita e poco pratica. Hans-Dieter Götz studiò il modo ideale in cui i soldati prussiani potessero migliorare le prestazioni di tiro: “Come prestazione minima […] sono stati richiesti tre centri per tre tiri a 50 passi (37,5 m) in una circonferenza di 62 cm di diametro. Riceverà un premio colui il quale da 150 m riuscirà a piazzare almeno un centro con tre tiri nel bersaglio da 1,20x1,80 m”. 

Il tiro a segno era però ben lungi dal “perfezionarsi come arte”. Secondo il trattato “Instruktion zum Schiebenschiessen”, pubblicato nel 1816 a Berlino, i soldati sparavano quattro colpi all’anno al bersaglio da 120x180 alla distanza di 50 m e dieci dalla posizione a 100 m. Ogni 8 tiri dovevano cimentarsi da 200 e 300 m; le dimensioni del bersaglio in questo caso erano di 180x240 cm. Se però si vuole analizzare la capacità dei moschetti di colpire il bersaglio, si deve conoscere l’aspetto del caricamento.

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Attrezzi per la cartucce fatte in casa: il cordino e il blocchetto di legno appuntito per la legatura, il Winder a testa a coppa per appoggiare la palla di piombo. 1 mostra il bossolo preparato per la legatura, 2 il bossolo legato. Nel 3 la carta in eccesso è stata tagliata, il 4 mostra la parte anteriore appiattita
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Piegatura del bossolo: il 5 è il bossolo dopo il caricamento con la polvere. Viene piegato appena sopra la carica, l’eccesso di carta viene appiattito poco prima. Pizzicare a fondo sulla piegatura con una pinza. La “piegatura alla francese” in tre atti: piegare sopra verso sinistra; pizzicare sopra verso destra; pizzicare all’indietro. Pronta: pressare nuovamente a fondo i bordi con una pinza e la cartuccia resterà chiusa

Cartucce per l’M1809

Al suo interno si trovavano 9,6 g di polvere e una palla di piombo da 27,5 g con diametro da 16,74 mm. Con un calibro (= diametro interno della canna) di 18,57 mm si otteneva quindi il seguente gioco: 18,57 meno 16,74 mm = 1,83 mm. Per la spinta però non sono disponibili 9,6 g di polvere, perché anche lo scodellino veniva riempito dall’interno dal focone a cono rovesciato. La sua capacità è di circa 20 grani, quindi circa 1,3 g. I restanti 8,3 g (= 128 grani) sparavano la palla nominalmente a 377 m/s, cioè un’energia pari a 1954 Joule e una spinta di 10,37 kgm/s. Un grano di polvere prussiana conferiva, quindi, circa 15,3 Joule di energia di spostamento.

Il calcolo però qui si complica, perché i contemporanei del Feldmaresciallo Blücher trafficavano con unità di misura diverse rispetto a oggi. Il consiglio di Scharnhorsts di utilizzare “2/3 di un loth (17,500 g) di polvere solo in caso di polvere di buona qualità e armi nuove” può essere utile a coloro che sono in grado di determinare la giusta quantità in grammi/grani. Cosa questa che invece confonde molti e molto rapidamente, perché, secondo le conversioni basate sulle convenzioni regionali, in passato un loth prussiano (anche lot,=14,606 g) pesava meno di uno assiano (=16,67 g) o anche di uno austriaco (17,5 g). 

L’associazione doganale tedesca alla fine del 1850 cercò di uniformarle: 1/30 di Zoll o “Nuovo Pfunde” corrispondeva a 500 g; ciò equivaleva quasi esattamente al nuovo lot assiano. La ricostruzione è complicata anche dalla scelta della polvere. Nel caso della polvere prussiana, 3055 grani erano equivalenti a un chilogrammo, nel caso dei francesi ne servivano 13.000, fino ad arrivare ai famosi 12270 degli inglesi, dati provenienti dal 1850 circa. Non esistono dati certi per definire il sistema utilizzato nel 1800 per quantificare esattamente la polvere in grani. Quindi resta da capire in che misura le tipologie odierne corrispondano a quella utilizzata in antichità. 

Anche per quanto riguarda la carta con cui al tempo venivano realizzate le cartucce, la letteratura comune non è d’aiuto. Il foglio rettangolare o trapezoidale veniva arrotolato utilizzando un blocco di legno cilindrico (Winder), spesso veniva incollato e la palla di piombo legata doppia. In questo modo era bloccata saldamente nel bossolo e nessun grano di polvere si frapponeva tra la palla di piombo e il propellente (=polvere). Con tutte queste informazioni e limitazioni in testa, si è giunti alla creazione della cartuccia di prova per il Pedersoli Prussian 1809, cioè la copia dell’arma prussiana M1809. (A scopo comparativo i test sono stati eseguiti anche con cariche sciolte). 

Le cariche per i test dovevano essere idonee per l’arma sperimentale, una calibro 19,0 mm (.748”). Con le palle di piombo utilizzate, che pesano 31,3 g (483 grani) nel centro, si ha un gioco di 1,6 mm. Per ottenere la spinta originale, quindi il rinculo delle antiche cartucce prussiane, erano necessari 331 m/s. Il calcolo è il seguente: il valore dell’antica spinta 10,37 kgm/s diviso per il peso della palla 0,0313 kg darà la velocità desiderata. Le cariche sono quindi state adattate di conseguenza.

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Reenactor (assedio di Colberg) durante una rievocazione sull’isola Pfalzgrafenstein nel Reno

Sul mirino e sul grilletto

Prima di caricare per la prima volta la canna con polvere e piombo, dovrebbe essere chiaro il funzionamento dell’arma. Questo esemplare dalla produzione standard Pedersoli era dotato di un grilletto che, con circa 3500 g, era duro e leggermente raschiante allo scatto. Niente di strano. Tra gli originali si trovano scatti da 5000 g. 

Per tirare in maniera sicura, la mano deve avere una salda presa. La fase successiva che il principiante deve affrontare è quella del puntamento. “A prima vista” niente; infatti c’è solo un mirino in ottone ricavato sulla fascetta anteriore di tenuta della canna. Quindi l’occhio mira oltre la canna. 

A questo proposito Hartmut Mrosek nel protocollo dei test di tiro riporta: “Con l’M1809 si spara da 50 m verso un bersaglio approssimativo, quando si vedono i tre anelli della canna impilati e il mirino nasconde il bersaglio. Nel tiro a segno si cerca un punto di riferimento adatto per la punta del mirino. Apparentemente è molto poco accurato. Tuttavia, esercitandosi, è possibile mantenere i tiri dalla posizione dei 50 m in una circonferenza da 25 a 30 cm. 

I buoni tiratori ci riescono dalla posizione eretta a mani libere, senza appoggio. Per testare in maniera accurata le singole cariche, è stata montata sulla vite di coda anche una tacca di mira ausiliaria e il risultato ottenuto dai 50 m è stato migliorato di circa 50 mm. La distanza di tiro era tra 50 e 100 m; dalla posizione più vicina si è sparato in posizione seduta o eretta a mano libera, da distanze maggiori solo in posizione sdraiata.

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La cartella del fucile Prussiano 1809 con il cane, la pietra focaia e la martellina

Tutto molto rapido

Dopo che la prima polvere era stata infiammata, nell’aria si dissolveva anche un altro mito: la lunga pausa tra innesco e tiro. Nelle vecchie pellicole cinematografiche, dopo l’abbassamento del cane si solleva una nuvoletta e successivamente c’è una pausa che dura finché finalmente la nuvola non si dissolve, e poi parte il colpo. Di nuovo un’immagine che troppo spesso serve come spiegazione per la mancanza di precisione delle armi a pietra focaia. 

Tutte sciocchezze, con rispetto parlando: acciarini a focile ben registrati e con buone molle si innescano immediatamente. Così accade per i fucili agonistici e da caccia, come anche per le pistole da duello e i moschetti mantenuti in buone condizioni. Nel caso del Pedersoli è andata così: con la carica di accensione il tiro è esploso in maniera estremamente rapida e la detonazione è coincisa con la caduta del cane sulla batteria. Con le polveri JSP 1 o Wano P e Ch1/Ch2 come innesco si è rallentato leggermente; con la polvere d’innesco Wano P si poteva udire chiaramente la caduta del cane, ciò nonostante il tiro è avvenuto in un istante.

Con le cartucce di carta l’innesco e la combustione avvenivano un po’ più rapidamente rispetto alle odierne normali cariche sportive, ovvero nel caso delle armi caricate con componenti sciolti. Motivo: la polvere era proprio libera nella camera di scoppio della canna, perché il bossolo di carta stropicciato impediva una forte compressione della carica. Nel tiro a segno agonistico, la palla di piombo completamente incamiciata e salda in posizione comprime maggiormente la carica. Non per niente c’era la vite di coda brevettata di Briten Henry Nock con il suo filetto posto fuori dalla camera allo scopo di accelerare la combustione. Questa cavità impediva un’elevata compressione della polvere garantendo così una rapida combustione.

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Membro della milizia territoriale, principato di Brandeburgo. Questi soldati dovevano portare di tutto sulle loro armi efficienti, anche pezzi delle prede di guerra

Davanti esplode, dietro scalcia

A riguardo: un M1809 senza baionetta pesa 3940 g. La spinta era la stessa conferita dalla cartuccia originale, cioè 10,37 kgm/s. A confronto con una carabina 98k di circa 4 Kg in più di peso con proiettili sS (12,7 g, 755 m/s) con una spinta di 9,56 kgm/s, il vecchio fucile subisce chiaramente di più rispetto alla famigerata 98. 

A proposito di sofferenza, parliamo dello “schiaffo”. La botta arriva quando i gas prodotti dalla polvere, che fuoriescono a destra verso il focone, spingono l’arma a sinistra verso la guancia del tiratore. La riproduzione è dotata di un focone da 1,8 mm, più piccolo del foro di circa 2,61 mm del vecchio modello prussiano. Il foro più piccolo produce un effetto jet più contenuto rispetto a quello provocato dal foro gigantesco del vero M1809. 

La famigerata botta si è riscontrata solo con cariche molto pesanti: la cartuccia con la carica studiata ha fatto ricordare ai malcapitati l’eroe dei film western italiani Terence Hill e alla sua formula della “battuta di santa ragione”, tanto eccellenti sono stati i ceffoni che il Pedersoli assestava. Dovrebbe essere andata allo stesso modo anche ai soldati prussiani, i cui moschetti prevedevano un focone gigantesco alla Moby Dick.

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E quando non esplodono colpi non vengono portati o presentati, allora con i moschetti si può costruire una piramide. Qui abbellita con copricapo dei granatieri austriaci di Colloredo

E com’è andata? 

La prima dozzina di colpi dalla posizione a 50 m si è piazzata in una circonferenza da 50 a 30 cm. I successivi si sono chiaramente sparsi in un raggio più ampio. A quella distanza, in posizione eretta e a mano libera, come modesti tiratori di moschetto si potevano piazzare parecchi colpi in una circonferenza di 70 cm. L’80% dei centri si trovava in una circonferenza di 50 cm. Il risultato non cambiava sia che l’innesco fosse versato dalla fiaschetta sia dalla cartuccia. Un paio di grani in più o in meno nella carica non fanno la differenza. 

Per quanto riguarda i test di tiro da una distanza doppia, effettuati con palle regolamentari da battaglia, caricate e incamiciate, si sono piazzati 11 centri in un rettangolo alto 60 mm e largo 1130 mm con tiri solo attraverso il mirino. Pertanto un ufficiale a cavallo avrebbe fatto sicuramente centro. 

La serie di test con cartucce di carta e scodellino caricato (sempre con puntamento attraverso mirino), ha prodotto gruppi di sei e di cinque di 690 e 640 mm con una canna precedentemente pulita. Il risultato è chiaro: un bersaglio umano sarebbe stato colpito. Dopo i colpi risultavano più sparsi. I primi dieci colpi si trovavano vicini a 1240 mm. 23 colpi su 24 erano anch’essi vicini a 1880 mm dopo una ripulitura intermedia e ciò significa che il bersaglio prussiano per i 200 passi (180x120 cm) sarebbe stato centrato con tutti i tiri tranne uno. Un buon tiratore si sarebbe guadagnato un alto tributo di sangue sparando su una colonna di fanteria nemica in piedi. 

I risultati non cambiano con la tacca di mira ausiliaria, comunque un inutile sacrificio sul campo per i militari di qualsiasi epoca. Però in questo modo si riduce molto l’effetto di dispersione del moschetto, raggiungendo un valore circa 3,7 volte maggiore rispetto a quello dei nostri fucili contemporanei: all’incirca un valore moderatamente adatto per i risultati di Gerhard von Scharnhorsts. Malgrado tutto, l’effettivo diametro della palla non deve aver giocato un ruolo di grande importanza ai fini militari. 

Questi sono i risultati delle prove con una palla di diametro veramente grande da 18,14 mm e una piccola di appena 16,1 mm. La grossa pillola non volava meglio della versione da 17,4 mm utilizzata massivamente, ma silurava lunghe serie di tiri. La palla piccola piazzava almeno cinque tiri in una circonferenza da 810 mm, anche se con tacca di mira ausiliaria: una colonna di fanteria sottoposta a un fuoco di questo tipo sarebbe caduta anche in questo caso.

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La battaglia di Bautzen del 1813 è uno degli scontri da cui storici come Julius Schön determinavano il rapporto tra colpi esplosi e soldati caduti

Conclusioni

Un tiratore addestrato con un moschetto ben regolato dalla distanza di 100 m poteva centrare tutti i tiri su un bersaglio da 180x180 cm e da 50 m in un rettangolo da 50x70 cm. Le prove dimostrano chiaramente che lo storico americano Harold L. Petersen aveva ben designato questo tipo di arma definendola “il potente moschetto”. Le prestazioni di tiro erano perfettamente sufficienti per le finalità dell’epoca. 

Naturalmente resta ancora la realtà del campo di battaglia: come studiato da Julius Schön già nel 1856, la fanteria francese nel 1813 nella Battaglia delle Nazioni a Lipsia esplose 12.000.000 di cartucce e 179.000 colpi di cannone, facendo perdere ai suoi avversari 45.000 uomini. Quindi circa 267 colpi della fanteria e 4 di cannone per caduto/ferito. 

Sei mesi prima, nella battaglia di Bautzen la fanteria russa e quella prussiana spararono 3.000.000 di cartucce colpendo 8.000 persone, cioè 375 cartucce per uomo. Se si aggiunge che anche baionette, sciabole e calci di fucile contribuirono al massacro, si può dedurre che, grazie al cielo, soltanto un tiro su un numero tra 500 e 1000 è stato fatale. Questo probabilmente perché le truppe spesso aprivano il fuoco da distanze superiori a 200 m e i soldati della fanteria non erano addestrati al tiro al bersaglio, cosa che non aveva nulla a che fare con le prestazioni dei moschetti.

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