La qualità della carne degli animali selvatici è ampiamente riconosciuta, soprattutto grazie ai valori nutrizionali di questi alimenti magri e ricchi di proteine e ferro. Non può infatti esserci paragone fra l’alimentazione e la vita condotta da un animale libero in natura, rispetto a carni ottenute da animali allevati in modo intensivo.
Il contenuto in grassi della selvaggina si aggira mediamente tra il due e il quattro per cento, ben al di sotto del tasso del 30-40% dei salumi, della carne di manzo e di ovini, delle uova e di vari formaggi.
Parliamo quindi di carni molto proteiche e povere di colesterolo. Tuttavia, occorre molta attenzione nel manipolare le spoglie di un selvatico, parliamo qui di ungulati prelevati a caccia; perché anche in caso di cattura di animali perfettamente sani, la metodica di abbattimento, i tempi di recupero e di preparazione della carcassa, possono peggiorare e in alcuni casi anche compromettere la qualità delle carni.
La formazione del cacciatore ha un ruolo fondamentale, le spoglie degli animali prelevati ritornano infatti ad essere una risorsa e chi pratica l’attività venatoria è consapevole del fatto che l’igiene delle carni inizia prima dello sparo, con l’avvistamento, la scelta del selvatico e del metodo di caccia.
La conoscenza del normale comportamento di una determinata specie animale (etologia) è prezioso ausilio per una scrupolosa e responsabile osservazione del capo prescelto e per un pronto riconoscimento di manifestazioni abnormi.
Il cacciatore è l’unica persona che ha l’opportunità di osservare l’animale ancora in vita, ed è quindi la sola figura in grado di poter effettuare un’operazione di selezione. In un animale in mediocre stato di salute sono chiaramente visibili le protuberanze delle scapole, del bacino e delle vertebre. Una serie di patologie croniche, così come ferite, ma anche scarsità di cibo e in alcuni soggetti il periodo del calore possono essere all’origine del dimagrimento.
Nella prima fase della caccia ci si limita essenzialmente a registrare le evidenze, per poi procedere con un’accurata ispezione successiva all’abbattimento.
Sono diversi i punti chiave da tenere in considerazione e variano appunto, dalla tecnica di caccia, alle munizioni utilizzate, le parti del corpo raggiunte dal colpo, i tempi per il recupero e la temperatura ambientale.
Ci sono infatti già grandi differenze tra le carni di un selvatico abbattuto in stato di quiete con la caccia all’aspetto, rispetto ad un selvatico stressato da una fuga, con acido lattico in circolo o colpito in modo non preciso (spanciato) e recuperato dopo diverso tempo. I tempi di recupero del selvatico sono un aspetto fondamentale, tutto deve avvenire nel minore tempo possibile.
In seguito alla morte dell’animale, iniziano subito i processi naturali di maturazione che aumentano la qualità e conservabilità delle carni.
Dopo il primo stato di rigidità e raffreddamento, il rigor mortis, inizia la frollatura, il processo in cui gli enzimi permettono un’acidificazione della carne che contrasta la proliferazione batterica.
Il processo si compie totalmente in un tempo che va dai 3 ai 7 giorni, ad una temperatura ideale di 4° C e può variare e richiedere più tempo, in base alla grandezza del selvatico.
Solo a frollatura ultimata si può procedere con il congelamento delle parti, altrimenti se fatto in tempi prematuri, può bloccare la maturazione delle carni e comprometterne il sapore e la qualità.
L’eviscerazione dei selvatici è un passaggio cruciale che spesso, per gli ambienti difficili in cui si caccia o la mole dei selvatici, viene svolta direttamente sul luogo dell’abbattimento. L’attenzione deve essere qui massima, perché se si vanno a sporcare le carni con i contenuti delle interiora, si rischia spesso la contaminazione da parte di batteri, lieviti o muffe che porteranno alla putrefazione delle parti aggredite.
Le condizioni ambientali in cui si volgono queste prime operazioni influiscono molto, alte temperature ed umidità sono deleterie, in quanto favoriscono la vita dei batteri, quindi dopo lo svisceramento e la pulizia della carcassa appesa con acqua pulita, è necessario non solo lo sgocciolamento, ma anche l’asciugatura con un panno pulito.
Quando questo comporta molte difficoltà sul posto di caccia, in quanto ci si dovrà arrangiare con un albero per appendere il selvatico oppure in mancanza di acqua potabile, occorre raggiungere velocemente un luogo scelto per la macellazione.
L’acqua per lavare la carcassa e rimuovere eventuali residui, dovrà essere utilizzata esclusivamente per l’interno dell’animale, mai bagnare il mantello, che inevitabilmente conterrà dei batteri nel pelo, e una volta bagnato, entreranno in contatto con la carne.
L’attrezzatura necessaria per queste prime operazione è: un coltello a lama fissa; guanti protettivi; necessario per pulire il coltello; salviette monouso; acqua, solo se potabile; telo monouso o un telo in PVC lavabile in cui avvolgere la carcassa per il trasporto.
Nel tagliare la pelle è necessario inserire la punta del coltello tra la cute e il piano muscolare, e scollarla dall’’esterno verso l’interno per evitare imbrattamenti del coltello e del muscolo con peli e altro materiale.
La cute va arrotolata verso l’esterno per evitare sempre contaminazioni avendo cura di procedere dall’alto verso il basso.
Dopo il dissanguamento, che è utile a favorire il raffreddamento della carcassa, evitare la contaminazione da parte del sangue e migliorare la conservazione; alcune parti è bene che vengano rimosse completamente, come l’intestino, soprattutto nell’ultimo tratto rettale che spesso contiene ancora delle feci che potrebbero imbrattare le carni.
L’azione batterica inizia infatti subito dopo la morte dell’animale e nel caso in cui avvenisse la colonizzazione della cavità addominale e di conseguenza delle masse muscolari, con la comparsa di riconoscibili chiazze verdi, l’intero selvatico è da considerarsi inutilizzabile.
In soggetti feriti, o colpiti da più colpi, questi processi iniziano subito dopo la lacerazione intestinale, per questo la scelta della munizione risulta un fattore determinante.
In sostanza sono poche ma fondamentali le attenzioni che un cacciatore deve osservare a livello tecnico e igienico-sanitario, per poter offrire delle carni dalle ottime qualità inalterate e garantite. D’altronde sono queste le peculiarità e le conoscenze che fanno della nostra figura un consapevole conoscitore e gestore del territorio e delle sue preziose risorse.