Emilia Romagna, vietati ufficialmente i telefoni a caccia

No, il cellulare a caccia no. Il Tar di Bologna ha legittimato la decisione della Regione Emilia Romagna che sul proprio territorio vieta l’utilizzo di dispositivi mobili durante le uscite venatorie. Norma poco chiara e di dubbio fondamento: per questo la Federcaccia di Ravenna aveva presentato ricorso al Tribunale Amministrativo confidando in un accoglimento che avrebbe modificato il calendario venatorio regionale. E invece.

La sentenza: rigettato il ricorso della Fidc di Ravenna

Subito dopo l’approvazione del provvedimento che aveva scatenato le polemiche del mondo venatorio, l’assessore Simona Caselli aveva rilasciato una dichiarazione alla testata Voce di Romagna affermando che la Regione avrebbe fatto “chiarezza prima dell’inizio della prossima stagione di caccia andando a precisare all’interno del calendario venatorio regionale che il divieto riguarda esclusivamente l’uso improprio di questi strumenti, per esempio quando sono impiegati per il richiamo degli uccelli selvatici, e non certo per comunicazioni che attengono alla sfera privata delle persone”.

Ma la Federcaccia locale aveva voluto vederci più chiaro, sollevando dinanzi alla giustizia quattro eccezioni che avrebbero potuto cambiare la ratio della norma.

Uno: non si può ipotizzare un illecito amministrativo come usare il cellulare a caccia senza che ci sia una norma che lo preveda.

Due: il calendario venatorio può imporre divieti solo sulle specie cacciabili.

Tre: la Regione non ha motivato il provvedimento.

Quattro: non si capisce da dove nasca l'impedimento, perché il divieto di usare il telefono come richiamo per animali è già stabilito in altra norma.

Ma a quanto pare i giudici amministrativi la pensavano diversamente. Nella sentenza 00791 depositata in data 19 agosto 2016, il Tar ha stabilito che è vietato portare il telefono a caccia, se la Regione così decide. Le istituzioni possono infatti integrare le disposizioni generali con provvedimenti tecnici o specifici e i cellulari potrebbero “essere utilizzati dai cacciatori per agevolare la ricerca della fauna selvatica e per azioni di caccia congiunta. Anche quando è stata ammessa la caccia in forma collettiva al cinghiale, l'uso degli strumenti di comunicazione è stato consentito limitatamente al momento organizzativo dell'azione di caccia o per garantire l'incolumità delle persone, rimanendo comunque vietato durante l'esercizio della caccia”.

Con una specifica che però lascia aperto uno spiraglio: “il divieto non vuole limitare il diritto di comunicazione, non è imposto per qualsivoglia motivo, anche solo per riferire a un proprio familiare o amico un semplice ritardo, ma nel momento in cui il cacciatore sta esercitando la sua attività venatoria”. E ora va capito quali siano i limiti temporali dell’esercizio dell’attività venatoria.

Le reazioni: appello della Fidc al Consiglio di Stato

Il Resto del Carlino ha raccolto la dichiarazione di Dante Gianstefani, presidente dalla Fidc di Ravenna, che ribadisce come “portare il cellulare sia un diritto e una prassi che fa parte della nostra vita quotidiana”.

Insorge la Lega Nord, che sottolinea come dall’assessorato non arrivi “nessuna buona notizia”; i consiglieri regionali Massimiliano Pompignoli e Andrea Liverani promettono che continueranno “ad appoggiare i cacciatori nella loro battaglia, portando i loro pensieri e perplessità all’attenzione dell’ente finché non avranno ottenuto risposte e variazioni al calendario venatorio adeguate alle loro esigenze, tenuto conto anche delle opinabili recenti decisioni della giustizia amministrativa".

La Fidc di Ravenna ha già annunciato appello al Consiglio di Stato. Ma ormai pare evidente che la questione non è più tecnica, ma politica.

(esseti)