Auspicabile ma non perseguibile. L’estinzione totale del rischio durante le battute di caccia non è realizzabile. Di fatto, le attività dell’uomo non sono fatte per potersi affrancare totalmente dal loro “peccato”, tale per cui possiamo e dobbiamo attivarci per ridurre il rischio, consapevoli che l’evento inatteso fa parte dello svolgimento di queste attività.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo introdotto nella caccia al cinghiale una serie lunga e puntuale di dispositivi e provvedimenti finalizzati a ridurre il rischio di incidenti, mitigare gli infortuni e aumentare la capacità di intervento in situazioni difficili.
Lato sicurezza, oggi la caccia è uno dei contesti che più di altri adotta pratiche e accorgimenti tra i più radicali. Eppure non riusciamo ancora a estromettere dalla caccia quel coefficiente di rischio insito nelle attività umane a ogni livello.
È per lo più la nostra emozionalità, proprio quel primordiale e passionale istinto che spesso annebbia la mente e spegne la ragione a farci incappare in errori e incidenti a volte anche fatali.
Una macchina non sbaglia, una macchina ripete in modo eccellente e sempre uguale a se stesso comportamenti e atteggiamenti che non lasciano spazio al dubbio né all’imprevisto. Eppure, anche nell’ambito della tecnica e dell’informatica, c’è un seppur piccolissimo margine di errore, dovuto a malfunzionamenti o a guasti del sistema, sono probabilità infinitesimali, eppure anche il mondo della precisione è soggetto a sbagli. Immaginiamo come sia immensamente più semplice trarre in errore un essere emotivo, psicologicamente fragile, tipicamente distratto, che trascina con sé, molto spesso, pesanti vincoli mentali che lo legano alla propria quotidianità lavorativa o familiare; zavorre che rallentano i riflessi, paure che offuscano la mente, passioni che spesso traboccano in gesti improvvisi e poco meditati. Non ci sono profili migliori di altri, non ci sono cacciatori a cui “non succederà mai questa cosa”, non esiste uomo che possa scampare alla sua “umanità”. Dobbiamo pertanto trovare la forza di ripetere fino all’automazione comportamenti, atteggiamenti, reazioni, consone all’ambiente e allo spazio, tali per cui possano entrare cosi in profondità nella nostra coscienza, da diventarne parte integrante e di fatto: l’unico modo con cui approcciare all’esercizio della caccia.
Scrivo, mentre un giovane amico è disteso su un letto d’ospedale, in una condizione che i medici dicono irreversibile, dopo che un incidente di caccia ha cambiato in un attimo il corso della sua vita.
Incidenti a caccia: spostarsi dalla posta
Dai tanti racconti e resoconti ascoltati in questi anni, c’è un fattore che mi sembra di percepire a comune denominatore di questi drammatici eventi: spostarsi dalla propria posta. Sembra una regola ovvia, una dinamica che non ammette errori, eppure il cinghiale che sfugge alla posta accanto o con furbizia conquista la fuga infilandosi in quell’unico pertugio rimasto nascosto alla nostra vista, è un piatto troppo goloso da lasciarlo andare via. Ci trascina come fossimo legati a lui in corse disperate cercando, o meglio illudendoci, di recuperare terreno sulle sue forti zampe mentre sfila via veloce verso lidi lontani. La mente e il cuore gorgogliano di un subbuglio improvviso, le emozioni ci pervadono scaldando le vene, gli occhi si riempiono solo ed esclusivamente di quel “bersaglio”. In un attimo sentiamo accavallarsi e intrecciarsi istinti venatori, ricerca di performance, voglia di emergere e avere successo, desiderio di non deludere i colleghi, impegno nel dare soddisfazione al lavoro di cani e canai, compimento della propria missione di cacciatore, rispetto delle regole del gioco che sembrano, ma non è vero, non ammettere che una posta possa guardare un cinghiale sfilare senza ritenere opportuno sparare a quel selvatico. In quei momenti molto spesso manca la calma, manca la respirazione che soffoca stretta nei polmoni che faticano a tenere il ritmo del cuore affannato, manca a volte la giusta attenzione e la capacità di leggere la seguita dei cani che ci lascerebbe più preparati e allerta, manca, la maggior parte delle volte, la semplice fortuna, quel concatenarsi di eventi che ci tiene spesso in modo fin troppo fragile, appesi al filo sottile della vita. Succede anche che il nostro collega urli all’adunata e richiami tutti all’inseguimento di un cinghiale che gli è sfuggito, senza rendersi conto, suo malgrado, che sta sollecitando tutti i suoi vicini a spostarsi dal proprio piccolo regno e compiere un’azione dal contenuto di pericolosità elevatissimo. In questi contesti scompaiono le raccomandazioni, l’abbigliamento ad alta visibilità diventa una macchia impercettibile, gli avvisi per radio non filtrano più dalle orecchie che sono anch’esse soffocate dall’ossigeno che preme contro le pareti dei timpani rendendo tutto cosi chiuso e soffocato.
Inutile indugiare sulle corrette precauzioni e sulle sacrosante prescrizioni da rispettare, davanti alla fuga di un animale che fa esplodere le emozioni e accende la passione come un motore travolgente non c’è corso di sicurezza che tenga. In prima istanza e più di ogni altra cosa la differenza la fa la capacità di conservare la calma e continuare a leggere lo scenario. Mentre le nozioni si apprendono studiando, la calma e la disciplina si apprendono meditando, respirando, processando lentamente e con attenzione il contesto e le circostanze. La freddezza e la “presenza” che alcuni ottimi tiratori dimostrano è frutto di un percorso di apprendimento molto più interiore di quanto non si immagini. Nell’era della caccia collettiva, in cui il cinghiale raduna decine di persone con armi a lunga gittata attorno a spazi ristretti, abbiamo capito che l’esercizio più importante è proprio quello di restare presenti “al momento”, non lasciare mai il contesto per volare con la mente altrove, essere dei piccoli “soldati” disciplinati, forti, ancor prima che nell’atto dello sparo, in quello della quiete e della serenità. La caccia è un luogo di libertà, di spensieratezza, capisco che sia sempre più difficile per noi tutti lasciare i pensieri al di fuori della battuta, specie se si è spesso rilegati in un punto fisso ad aspettare per ore di sentire un cane abbaiare da lontano. La mente corre e insegue tanti pensieri, ma dobbiamo sforzarci di restare lì, di restare “sul posto”, con la tesa e con le gambe, perché quando si presenterà la nostra preda potremo inalare un respiro, abbassare la carabina, valutare l’angolo e la pulizia del tiro, decidere di sparare o sollevare serenamente la canna, guardare il cinghiale in fuga e rinunciare allo sparo. Alla fine della giornata, la furbizia del cinghiale varrà un’altra bella risata tra amici, da raccogliere come tante altre nel libro dei ricordi più belli di questa disciplina.