Ancora una volta, la splendida regina dei boschi non tradisce l’appellativo che il mondo venatorio le ha attribuito. Le sue doti di mimetizzazione, le sue capacità di eludere cani e cacciatori esperti, attraverso vere e proprie tattiche di depistaggio rendendola il più delle volte simile a un fantasma, fanno sì che chi approccia con pura passione alla Scolopax rusticola, ovvero la beccaccia, non può che esserne perdutamente innamorato e come il migliore degli amanti, rispettarla con l’etica che merita fino a ritenere l’incontro e la ferma del proprio cane, la gioia assoluta molto più che l’abbattimento stesso ai fini di un mero carniere.
Già di per sé la cittadina medioevale di Anghiari, in provincia di Arezzo, con i suoi 5.000 abitanti, le viuzze acciottolate che ne impreziosiscono il contesto, è più che sufficiente per allettare qualsiasi turista e indurlo a programmare una bella gita fuori porta. Se invece, e in aggiunta, il turista ha come me pure un interesse venatorio, allora Anghiari e il Mubec diventano una meta obbligata laddove il sapiente professor Paolo Pennacchini ha avuto l’arguto intuito di allestire in un luogo suggestivo, uno scrigno fatato degno della Regina.
Osservare le varie beccacce presenti nel sito, delle quali alcune rare come quella albina, apprezzare l’immenso sapere di questa persona che si stenta a considerare uno di noi, per le sue teorie sulla profonda conoscenza della specie e su quante informazioni scientifiche si possono ottenere dalla beccaccia fino all’osservazione delle sue interiora, non può che suscitare in ognuno dei visitatori, una riflessione di quanto divario c’è tra un comune cacciatore ed uno che invece ha l’interesse e gli stimoli per approfondire la conoscenza della sua selvaggina prediletta che sia beccaccia o altro.
In ogni rapporto di interazione tra le stesse persone ma anche tra persone e animali, diventa basilare il profondo sapere l’uno dell’altro in modo tale che l’incontro diventa poi come una partita a scacchi e questo uno specialista di caccia alla beccaccia, sa molto meglio di me cosa significhi per arrivare a risultati ambiti che sono poi ciò che ognuno di noi ritiene soddisfacenti per la sua indole venatoria.
Per similitudine faccio mia la considerazione di un amico esperto lepraiolo, il quale sostiene che per avere ottime chance di scovo e cattura della lepre, devi imparare a ragionare come lei. Mi viene da dire psicologia dell’animale laddove l’intelligenza di quest’ultimo e la beccaccia prevale su tante altre specie, mette a dura prova il lavoro degli ausiliari e del cacciatore. Ecco perché, sminuire tutto al solo carniere e magari approcciare a questa splendida creatura in forme di caccia non appropriate se non addirittura vietate, lascia basiti al pari della violenza su una bella donna che al contrario, andrebbe corteggiata con fiori e galanterie d’altri tempi.
Il Mubec, e per esso il professor Pennacchini, hanno insegnato a me springerista, quindi non specialista della caccia alla beccaccia - ma in ogni caso amante di tutto ciò che rappresenta un valore aggiunto anche nella formazione mentale di noi cacciatori e soprattutto delle nuove generazioni, che non esiste futuro venatorio senza una radicale presa di coscienza e che ciò, passa inevitabilmente attraverso un percorso di specializzazione del cacciatore frutto di una specifica formazione tecnico scientifica. Di fatto, già oggi assistiamo a un importante incremento della caccia di selezione e, riflettendoci bene, anch’essa rappresenta la meta di un apprendimento della biologia delle specie soggette a prelievo quindi, anche per la beccaccia (ma estenderei il concetto a tutta la selvaggina ed in particolare a quella migratoria colombacci ecc.) occorre elevare la considerazione di vedere in essa rappresentato un importante messaggero della specie e degli ambienti che la ospitano nelle sue diverse fasi stagionali e nelle diverse condizioni in generale.
Sappiamo tutti che il clima, l’alimentazione e tanti altri fattori naturali e non, contribuiscono alla conservazione della specie e ora tramite le sapienti ed esaurienti spiegazioni di Paolo Pennacchini, che si aggiungono a studi ormai consolidati, ho avuto la conferma che anche i comportamenti di noi cacciatori tutti indistintamente, possono fornire un importante contributo alla causa.
Ci sono momenti della vita in cui siamo chiamati a riflettere e a rivedere le nostre abitudini, spesso consolidate e quindi difficili da modificare, ma questa è la sfida per il futuro. Sforziamoci di essere cacciatori moderni: questa condizione la si raggiunge solo con l’assoluto rispetto della selvaggina insidiata elevandola al giusto merito di antagonista intelligente con particolari capacità di adottare vere e proprie strategie per riuscire a sottrarsi anche agli ausiliari/cacciatori altrettanto capaci e determinati.
Il vero appagamento di una bella giornata di caccia, come detto, non è quello di incarnierare più beccacce possibili, ma la somma goduria la si raggiunge comprendendone in anticipo le mosse che ti consentono di ragionare come fossi una di loro in comportamenti e contesti sempre diversi. La zona di caccia prescelta in funzione del periodo, le condizioni meteo della specifica giornata, la memoria storica di precedenti cacciate, insomma i tanti fattori da prendere in considerazione per mettere tutte le pedine al loro posto nello scacchiere.
Senza ombra di dubbio posso affermare che la visita al museo Mubec di Anghiari e una piacevole chiacchierata con il prof. Pennacchini, ideatore di questa meritoria iniziativa, mi hanno arricchito come cacciatore ed anche come uomo, visto che ritengo importante non fermarsi alla superficiale conoscenza delle cose, ma avere sempre l’interesse di andare fino in fondo.
Il Mubec è una meta per le tante persone che visitano Anghiari ed il target di chi ci va non è rappresentato dai soli cacciatori, bensì anche da persone normali che vi troveranno spiegazioni scientifiche e una competenza di assoluto livello. Questo, contribuisce a ridurre l’attrito nei confronti di mentalità prevenute perché - è inutile nasconderlo - l’idea comune è che il cacciatore sia un essere rozzo e assetato di prede e di sangue, al pari del Principe Vlad in quel della Transilvania.
Ovviamente così non è. Ogni occasione deve essere sfruttata per scrollarci di dosso questa ingiusta etichetta e ogni situazione è buona per farlo, con la dovuta convinzione e determinazione di chi vuole proteggere un bene prezioso come la caccia. Ecco, se posso dire la mia, il MUBEC rappresenta una valida occasione per manifestare una diversa fisionomia del cacciatore moderno. Un cacciatore non rozzo ma competente e profondo conoscitore della biologia e dei meccanismi naturali che regolano la caccia nei suoi vari aspetti.
Concludo con un caloroso e sentito ringraziamento lo debbo al prof. Pennacchini e un invito convinto ai seguaci di Diana, affinché mettano nella loro agenda, una visita al Mubec, magari in abbinamento a un piacevole fine settimana in quel di Arezzo e dintorni, laddove non mancheranno altri spunti di interesse turistico.
“La misura dell’intelligenza è la capacità di cambiare “
(Albert Einstein)
Viva la caccia e viva i cacciatori!