Li aspettiamo puntualmente, eppure ecco che quando arrivano davvero ci sorprendono ed emozionano come fosse la prima volta, tutto qui il fascino eterno dei migratori e della caccia tutta, sempre ciclica eppure mai uguale, neanche per un momento.
Nei tramonti tiepidi di fine aprile, i canti di quaglie e i voli repentini delle tortore vorremmo non smettessero mai di riempirci i sensi. In quegli attimi si ricomincia a sognare e rivivere avventure trascorse con cani ed amici, o da compiere, a domandarsi se saranno uguali o migliori nei luoghi cari che ognuno sa e conserva.
Ad affascinare e stupire ancora un volta è la forza della natura, che permette anche ad un piccolo volatile come la quaglia di compiere un viaggio lungo e pericoloso per giungere fino a noi. Il più piccolo dei galliformi infatti nonostante il suo corpo tozzo e tondegiante, dalle forme non proprio aerodinamiche, riesce comunque a trascorrere giorni in volo sul mare prima di approdare sui nostri lidi.
Già nell’era terziaria (10-15 milioni di anni fa) gli uccelli si spostavano alla ricerca di climi più favorevoli, ma “solamente” 10.000 anni fa, con le glaciazioni, le migrazioni incominciarono a svolgersi come quelle di oggi, da nord a sud e viceversa.
Gli antichi erano molto incuriositi da questo fenomeno tanto che arrivarono ad interpretare il volo degli uccelli per pronosticare imprese militari e questioni politiche. Il filosofo greco Aristotele fu uno dei primi ad occuparsi delle migrazioni in senso scientifico, ma non possedendo mezzi per arrivare a spiegazioni attendibili si convinse che ad esempio i codirossi, assenti in inverno in Europa, si trasformassero in pettirossi, diffusi e molto comuni nella stagione fredda...
Oggi sappiamo che il motivo principale per cui gli uccelli affrontano la lunga fatica e i rischi della migrazione, è l’assoluta necessità di procurarsi il cibo e di abbandonare luoghi diventati troppo freddi o caldi, dove potrebbe diventare più difficoltoso cibarsi. I selvatici migratori sono infatti prevalentemente "euritermi", cioè indifferenti a variazioni di temperatura; ma questa facoltà oscilla entro limiti ristretti che variano da specie a specie. La migrazione oltre a permettere di raggiungere luoghi più ricchi di cibo, consente ai migratori di mantenersi in un habitat con temperatura a livelli ottimali. Questa è la ragione per cui sui territori italiani, alcune specie si osservano nei mesi invernali, come le beccacce, mentre altri i cosiddetti "estatini", fra cui tortore, quaglie, rondini, arrivano nei periodi più caldi.
Oltre ai cambiamenti stagionali e climatici che da soli non basterebbero a spiegare il fenomeno migratorio, ci sono importanti modificazioni fisiologiche che avvengono in ogni ogni animale migrante e che determinano l'impulso a trasferirsi nel nuovo habitat. Ad esempio negli uccelli la muta del piumaggio legata all'incremento delle ore di luce, coincide anche con l'ingrossameto delle ghiandole genitali che si preparano al periodo riproduttivo.
Ma che cosa guida la migrazione?
Esiste un preciso rapporto fra le migrazioni e gli astri, dalle stelle in particolare, i migratori sono in grado di ottenere molte informazioni sulle direzioni, una vera e propria mappa astrale viene seguita, come accade per l'uomo nella navigazione in mare. Questo spiega la predilezione di molte specie per il volo notturno. Da escludere secondo gli ornitologi qualsiasi tipo di orientamento "a vista". Gli studiosi sostengono invece l'esistenza di una sorta di "bussola" magnetica interna legata alla percezione del magnetismo terrestre.
Gli animali riconoscerebbero, grazie ad uno spiccato senso geografico, solamente il profilo dei territori sorvolati e questa facoltà, unita agli altri mezzi di orientamento citati, permetterebbe di riconoscere attraverso precisi punti locali di riferimento, la via da seguire.
Sarebbe sempre l’istinto ad indicare ai migratori quanto e dove sostare prima di raggiungere la meta. Ogni specie ha la propria strategia: alcuni piccoli uccellini del peso di pochi grammi compiono viaggi di migliaia di chilometri senza mai sostare, altre specie impiegano mesi per compiere la migrazione che è intervallata da lunghe e numerose soste.
Fino a qualche decennio fa questo periodo di arrivo dei flussi migratori, coincideva con le cacce primaverili. Oltre ai fucili, ognuno si ingegnava come poteva attraverso reti e richiami per la cattura delle quaglie in arrivo lungo le coste.
I carnieri, anche di tortore, erano importanti ma si trattava praticamente della cattura di adulti che giungevano nella nostra penisola per riprodursi, quindi equivalente alla soppressione di future nidiate. A mio parere una pratica folle. Oggi fortunatamente proibita, le uniche reti rimaste, sono quelle degli osservatori faunistici che svolgono l'importante compito di inanellare i selvatici catturati per studiarne i comportamenti e valutarne gli spostamenti, oltre alla buona salute delle specie. In base alla lettura delle ali è infatti possibile risalire all'età degli individui catturati e di stabilire quindi la percentuale delle giovani popolazioni.
In italia, come tristemente noto, si passa spesso però dalla totale anarchia, o mancata gestione, per dirla in termini tecnici, ad un altrettanto irrazionale proibizionismo, ed è così che siamo arrivati ai nostri attuali calendari venatori. Per gli estatini abbiamo delle date di apertura che rendono le cacce a questi selvatici ormai quasi un ricordo, per tutti i motivi scientifici sopra citati legati ad istinti migratori con impulsi stagionali improrogabili. Così la caccia alla tortora, sfida impareggiabile del vero tiratore al volo, così come la caccia alla quaglia, maestra di vita venatoria di cani e cacciatori, sono diventate in settembre chimere da inseguire col fiato sospeso fino al giorno della fatidica apertura. Nelle annate dal clima clemente si può comunque ancora raccogliere qualche bella giornata fatta sicuramente dalla qualità dei selvatici e non dalla quantità. Ma di questo avremo modo di parlare più avanti. Per ora, godiamoci gli arrivi.