Devastante, atroce, crudele, ferocemente naturale l’azione chirurgica e coordinata di un branco di lupi in azione. Forti quella “sana ferocia” di cui conosciamo bene il senso e l’origine, che difendiamo e nobilitiamo come cacciatori perché parte di un mondo lontano anni luce da quello cinematografico di una natura inerme e coccolona.
Una natura che vive delle proprie regole, che al suo interno stabilisce gerarchie inappellabili e spezza ogni sentimentalismo a beneficio della sopravvivenza. Questa bestia cosi orgogliosa e nobile, cosi fiera nello sguardo e severa, fredda al punto di risvegliare nell’uomo il terrore ancestrale con cui i nostri avi hanno dovuto combattere per assicurarsi un posto nell’ecosistema. Un animale che se avessimo perso, anni fa, quando la sua presenza era minacciata, avremmo rimpianto e celebrato come una parte della nostra cultura venatoria e rurale, il nemico dei pascoli per eccellenza, il mostro delle fiabe, l’epico diavolo delle prime fiabe di infanzia intrise, buon per la nostra giovane educazione, di sangue e morte, nella giusta misura, con il giusto peso del dramma, senza scongiurare gli eventi e con un esito felice, ma fortemente sofferto.
Il lupo è il centro del nostro immaginario, un protagonista oggi poco desiderato, dei boschi e delle campagne, con apparizioni sempre più frequenti e non ancora doverosamente allarmate, alle periferie delle cittadine più grandi. Si, ne conosciamo l’animo e l’emozione che genera in noi, il pericolo che rappresenta, ora che il numero della popolazione è tornato, grazie all’uomo, adeguato alla propria sopravvivenza. Ora che la fauna selvatica, abbondante tra i cinghiali, caprioli e daini, garantisce una fonte inesauribile di proteine, ora che le campagne sono sempre più difficili da proteggere e ancor più, ora che la mescola ibrida di specie lupo e “specie cane randagio” ha prodotto un ibrido meno schivo, meno sospettoso e sempre più incline a cercare a ridosso delle attività umane il proprio sostentamento.
Conosciamo bene noi cacciatori cosa sia il lupo e cosa sia diventato. Celebre per essere un fantasma, transitare nel bosco trascinandosi in seguita anche interi eserciti di cani, resistere pacificamente al fermo per decine di minuti, per poi digrignare ai segugi e mostrare il volto di demonio zittendo improvvisamente i cani nello stupore di tutti. Non si lascia vedere, non si allontana dal proprio territori, non abbandona nemmeno per un attimo le colonie di cinghiali ricche di porchetti di cui cibarsi a piacimento giorno dopo giorno con prelievi mirati e approvvigionamenti come si usa a un self service.
La minaccia costante dei lupi
Una minaccia costante che come una mannaia affila delicatamente il collo di noi segugisti, testa con avvisaglie la resistenza del cuore dei canai, si accosta alle mute lasciandosi annusare, quasi a voler abituare i cani al suo fetore perché possano essere più facilmente tratti in inganno la volta successiva. Non è una fantasia, è una delle attendibili strategia degne di uno dei cacciatori più antichi, più subdoli e organizzati e soprattutto, più pazienti. Il lupo non si avventa sulle prede prima di aver meticolosamente studiato l’ambiente, soppesato i rischi e valutato i pericoli, analizzato scrupolosamente il terreno di caccia e compreso la tattica migliore per arrivare al proprio obbiettivo. Non è un animale comune, non è “puro istinto”, è la celebrazione di un intelligenza la cui acutezza e capacità di elaborazione lascia sempre impietriti. E quando si muove, quando il branco sceglie di entrare in azione, lo fa con una percentuale di successo impressionante, raramente fallisce, raramente ne esce sconfitto. I nostri cani, impegnati nelle battute al cinghiale, sono a rischio. Un rischio che nella vita cruda della natura che si manifesta nella sua forma più antica e vera va messo in conto, certo, eppure un rischio dal quale, per lo stesso principio di secolarità, dovremmo cominciare a poterci tutelare e difendere. I cani che in questi primi giorni di caccia sono stati letteralmente strappati alla seguita dalle fauci fameliche dei lupi, hanno mostrato i tratti di un cambio di strategie figlie di un rapido e puntuale adeguamento alle nuove condizioni: ambientali, climatiche, culturali dell’uomo.
Quello che in aree come il parmense accade in questi giorni è straziante. Il dolore insopportabile, lesivo, insanabile, per un nemico che come un’ombra ormai diurna, copre come una manna di morte i cani e li sbrana, scarnifica, demolisce con una rara violenza. Una violenza che, a giudicare dalle immagini sempre più frequenti, non appartiene nemmeno al lupo, al vero lupo, abituato a selezionare le proprie prede, trascinarle lontano, cibarsene con avidità e parsimonia fino all’ultimo boccone per non lasciare brandelli sprecati in luoghi in cui dovrebbe essere abituato a lesinare i propri sforzi e sopportare la fame. In queste aggressioni c’è dell’altro, c’è una tecnica più canina che lupoide, una tecnica propria dei cani che aggrediscono altri cani quando questi si trovano in minoranza e difficoltà.
Sono poco frequenti le ferite al collo, punto prediletto di qualsiasi predatore di alto lignaggio, e sempre più frequenti quelle sulle parti posteriori, segno di imboscate vigliacche. Segnali, forse, di una decadenza della stirpe che come spesso accade nel nostro paese, ha beneficiato di una larga e potente protezione in questi anni ma che non ha né previsto, né organizzato, una corretta gestione e una profonda tutela della razza stessa del “lupo”. L’uomo è parte del contesto naturale, da esso dipende e la sua azione deve svolgersi in questo spazio con parsimonia, con sostenibilità e con processi sempre più validati da processi scientifici. Cosi la natura sarà una fonte inesauribile di risorse rinnovabili e l’uomo uno strumento regolatore utile alla natura per consolidare quei processi di controllo e selezione della flora e della fauna che impiegherebbe decine di anni a compiere da sola. Il lupo oggi non è più una specie in via di estinzione, la specie va riclassificata tra quelle il cui numero e la cui insistenza sui territori va immediatamente valutata e iscritta in un piano di gestione.
Ne va della tutela della razza stessa, degli allevatori che tornano dopo secoli, loro malgrado senza strumenti e autorità, a combattere contro uno spettro che sembrava debellato, ne va del dolore immenso e incolmabile di un giovane canaio che assiste alo scempio ingeneroso del proprio cane trucidato, sbudellato e nemmeno considerato degna portata del pasto di una razza nobile. Il lupo è un fantasma, ripetiamocelo sempre, lungi dall’avvicinare uomini e cani durante il giorno, lungi dall’accostare città e insediamenti rurali, furbo nel rubare l’agnello al pastore, ma onesto e dignitoso nella caccia. Questa è un’altra razza, un imbastardimento fuori controllo che va iscritto tra le specie non autoctone e nocive del nostro sistema ambientale.