La lepre fa parte dei mammiferi lagomorfi appartenente alla famiglia Leporidi, della quale costituisce il genere più numeroso e rappresentato nel mondo. In Italia, il genere è rappresentato da quattro specie con differenti areali, in parte sovrapposti:
- La lepre comune (Lepus europaeus) è la specie con la più vasta distribuzione. Presente in tutto il territorio nazionale, tranne Sardegna e Sicilia.
- La lepre italica o lepre appenninica (Lepus corsicanus) era in passato diffusa in Sicilia e nel territorio della penisola (Italia centrale e meridionale). Attualmente ha un areale molto frammentato nella penisola, mentre copre l'intero territorio della Sicilia.
- La lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus) è presente in un areale continuo in tutto il territorio della Sardegna e in alcune isole minori (Asinara, La Maddalena, Isola di San Pietro, Isola di Sant'Antioco).
- La lepre bianca (Lepus timidus) è infine distribuita su tutto l'Arco Alpino.
Caratteristiche della lepre
In tutte le varianti la caratteristica comune è data dal fatto che la lepre è fatta per correre.
Il corpo è slanciato, funzionale, costruito per la corsa; petto stretto, gambe anteriori corte e posteriori più lunghe e potenti.
Anche le abitudini difensive e comportamentali sono un fattore comune.
Si sposta nelle ore crepuscolari e notturne, durante il giorno rimane solitamente immobile nel suo covo che spesso è una depressione del terreno simile ad una fossa, o sotto uno spuntone di roccia poco esposto nel caso della lepre variabile.
Resta immobile all'approssimarsi del pericolo per poi abbandonare il covo con balzo improvviso quando la minaccia è oramai vicina, e cercherà di dileguarsi con cambi repentini di direzione, balzi e strategiche soste che mettono a dura prova anche il lavoro dei segugi più bravi.
È proprio questo il tipo di caccia più diffuso dove i cani vengono condotti sui luoghi di pastura e una volta trovata la traccia della lepre inizia l'accostamento fino al covo per costringerla ad abbandonarlo; questo è il momento più utile al tiro del conduttore, dopo servirà tanta fortuna oltre alla necessaria perizia.
Caccia alla lepre
Esiste anche la caccia in battuta praticata solo da cacciatori che procedono nei terreni aperti ma viene praticata soprattutto nei paesi anglosassoni o nell’est europeo.
In Italia la caccia alla lepre che rende massimo onore al selvatico per definizione è quella fatta con il segugio le cui caratteristiche principali devono essere moderazione, ostinazione ed equilibrio affinché la battuta di caccia si possa svolgere nel modo più composto possibile consentendo di regolare l’azione e la reazione a qualsiasi situazione e quindi in prospettiva consentire una condotta proficua al fine dello scovo e della meritata conquista del selvatico.
Una caccia sicuramente emozionante fatta di attese, pazienza, silenzi e poi improvvisi e sostenuti latrati e infinite seguite dove il connubio cane-cacciatore riveste un ruolo importante e incisivo.
È in questo contesto che un buon canettiere dimostra di essere in grado di leggere la voce del proprio cane distinguendo di volta in volta le varie voci, consapevoli che tutti i segugi urlano, tutti i segugi scagnano, ma solo i fuori classe lo fanno in maniera sapiente. Attraverso una voce usata nel migliore dei modi il conduttore che sa ascoltare potrà avere sempre in mano la situazione e fare quindi la differenza.
Il mese migliore per la caccia alla lepre è sicuramente novembre: ciò non solo per il clima più fresco che facilita l’olfattazione del cane, ma anche perché a fine stagione è più facile che a restare in vita siano le lepri più astute, le più interessanti da insidiare, quelle che sono riuscite a sfuggire alle prime settimane di caccia, in cui la pressione venatoria è più alta ed il numero di selvatici maggiore.
Il nocciolo duro della questione rimane però la gestione della lepre.
La pressione venatoria riveste un ruolo marginale nella diminuzione dei capi, grazie anche alla coscienza di tanti appassionati lepraioli, che ancor prima che se ne regolamentasse il prelievo, hanno saputo imporsi una gestione più attenta e proiettata nel lungo periodo.
Ci troviamo però al cospetto di un animale per certi versi fragile, esposto a diverse e falcidianti malattie. Di particolare rilievo è la deleteria esposizione alla E.B.H.S. (European Brown Hare Syndrome), una malattia epatica altamente contagiosa che colpisce i soggetti con età superiore ai due mesi e con un tasso di mortalità dal 30% al 90%. A questa si aggiunge la già conosciuta M.E.V. (Malattia epatico virale) e tutta una serie di patologie che hanno nel tempo contribuito alla prematura mortalità delle lepri anche in Italia.
La gestione della lepre
Anche la presenza dei predatori ha assunto un ruolo più incisivo.
L'aumento di rapaci e corvidi si è aggiunto a nuovi fenomeni predatori dati da animali prima assenti o non particolarmente diffusi.
In questo contesto la diminuita pressione venatoria verso la volpe ha prodotto un aumento a volte incontrollato di questo predatore a scapito dell'orecchiona.
In alcune realtà rurali più vicine ai centri abitati si è aggiunto anche il randagismo che ha contribuito ad allontanare alcune lepri dal loro habitat usuale e anche a disturbare il normale processo di riproduzione.
Un ruolo marginale ma pur sempre incisivo è dato poi dalla presenza di cinghiali e dei sempre più diffusi lupi.
La lepre è quindi un animale esposto a diverse contingenze negative ma in assoluto il problema più rilevante è in realtà collegato alla gestione del territorio e degli habitat più vocati ad ospitare questo mammifero, interessati da culture intensive, aumento delle dimensioni medie degli appezzamenti, e sviluppo delle monoculture ai quali si aggiungono la frammentazione stradale, l'eccessiva urbanizzazione, la quasi scomparsa delle siepi e di altre zone a vegetazione spontanea. Il tutto ha provocato una riduzione quali–quantitativa degli ecosistemi agrari a danno di un mammifero come la lepre ad essi strettamente collegato.
La soluzione è sicuramente il ripopolamento ma a patto che venga fatto con coscienza.
L'unico ripopolamento possibile è quello inteso come immissione di individui di una specie autoctona, presente nella località, ma con livelli di popolazione ridotti.
Grande riguardo quindi alle lepri di cattura locale, provenienti da Zone di ripopolamento e cattura (ZRC) e dai Centri di produzione della selvaggina allo stato naturale per le quali è stata evidenziata una maggiore sopravvivenza rispetto a lepri di altra origine.
Altra tipologia di provenienza delle lepri è l’allevamento diretto sul territorio e le iniziative di questa pratica traggono origine dal soddisfacimento della pressione venatoria e dall’affiancamento ad una filiera di importazione dall’estero non sempre auspicabile.
In entrambi i casi alcuni monitoraggi mirati hanno evidenziato che una preventiva fase di preambientamento (in allevamento) ed ambientamento (nei luoghi d’immissione) non hanno mostrato rilevanti differenze rispetto ad un’immissione diretta, segno inequivocabile di una certa capacità della lepre ad adattarsi ed entrare in simbiosi con i nuovi territori.
Ma ogni azione per potersi definire efficace non può essere fine a se stessa ma correlarsi con tutte le altre dinamiche atte alle finalità di miglioramento quantitativo e qualitativo della lepre.
Pertanto i ripopolamenti devono essere eseguiti di pari passo con i “miglioramenti ambientali consistenti in interventi di riutilizzo di terreni per coltivazioni agricole a minor impatto (ecocompatibili), oltre che il ripristino di quegli elementi (siepi, prati, boschetti. canali) tipici del paesaggio agricolo tradizionale. Si tratta di un processo non semplice e di lungo periodo ma è anche l'unico possibile se si vuole preservare uno fra i selvatici più veri e affascinanti per il cacciatore.
15.07.2017