Ci fu un tempo in cui la starna era l’uccello principe delle campagne italiane. Prima del fagiano, prima della gran moda beccacciaia, prima dell’era delle macchine. Lei, la pernice grigia, originaria delle steppe tartare, all’alba dei tempi aveva seguito l’uomo agricoltore man mano che questi disboscava e dissodava i terreni per impiantarci la propria economia rurale. Fatta di semplicità e sussistenza. Fatta di cura della terra e dei suoi frutti. Con lui la starna era prosperata, trovando poi in Italia uno dei suoi luoghi d’elezione, soprattutto a causa della biodiversità intrinseca, che in quasi nessun luogo al mondo è così spinta come in quello che un tempo si diceva Bel Paese.
No, non è per caso se “la meglio” cinofilia venatoria del mondo – razza per razza – proprio in Italia ha avuto sua dimora. Una dimora che è divenuta reggia, sovrani della quale erano i migliori cani a livello planetario, perché in grado di meritarsi galloni e poi stellette e quindi corona nelle migliori palestre del mondo – i calanchi e le colline italiani – confrontandosi col più classico dei selvatici del cane da ferma, sul quale sono stati poi stilati tutti gli standard che ancora oggi si utilizzano: la starna!
Starne e cinofilia
Trialer e starna: un binomio inscindibile! Starne e cinofilia: una storia di passioni nel vento che dall’800 sino al dopoguerra e decenni successivi, si faceva leggenda nel nome della caccia quella vera. Poi di colpo, la fine. Repentina, quasi inaspettata, come un tradimento. Due, tre anni che cambiarono tutto in maniera sconvolgente. Dove c’erano sempre 10/12 brigate, d’improvviso se ne trovarono 3 o 4, poi una o due, poi più niente. Con solo pochi esperti che venivan detti “menagramo” che avevano capito da subito quel che si presentava come destino inesorabile. Avvisaglie, ne erano stati l’esodo dalle campagne (per la vita di città), i casolari abbandonati, le ruspe che spianavano le siepi, i trattori che ruggendo violavano i campi un tempo vari e differenti per farli tutti uguali.
Certo, anche il piombo e forse troppo. Ma sopra ogni cosa, si stava distruggendo l’ambiente delle starne. E dove non c’è più habitat specifico, le specie non diminuiscono, si estinguono!
Dice: ok, erano sparite le starne, ma gli starnisti? E i grandi cani da starne? Poco da dire, si fecero tutti emigrati verso terre nuove e cieli nuovi, dove ancora le sirene della “modernità” non erano arrivate, per ritrovar le starne, cioè se stessi.
Video: le starne e l'ambiente
Le starne in Europa
È storia recente quella dei vari progetti fra ATC, provincie e regioni effettuati a più riprese per reintrodurre la starna in Italia, tutti falliti miseramente!
Basta recarsi in Croazia – e per la precisione in Dalmazia, nello zaratino (dove non a caso assieme alla Serbia si corrono le più importanti field trials a livello planetario) – per capire perché. Un’occhiata ai luoghi, ai territori, alle campagne rivela tutto. Se arrivi via mare da Ancona, ti ci vogliono 5 minuti in direzione Zemunik per vedere la campagna, ed è una rivelazione. Se invece scendi dalla Lika, lo avevi già capito da un pezzo, dopo ore ed ore di natura tutt’attorno solamente.
Case sparse, lontane anche chilometri l’una dall’altra, e abitate per lo più da agricoltori con i vari orti di sussistenza familiare. Una serie pressoché infinita, a perdita d’occhio, di incolti, boschetti, siepi, laghetti e pozze d’acqua, e poi ancora orti, coltivazioni a mano o con vecchi trattori a ruote arrancanti su piccoli appezzamenti di terreni, e quindi ulivi e alberi da frutto, e poi ancora incolti da pecore e capre intervallati da piccoli vigneti e via così. Il tutto, fra quinte di colline vergini, mare ovunque e bastioni montani. Insomma, la casa delle starne. Che infatti ci sono ancora (tante) come ci sono sempre state, salvo la parentesi di un triennio che le aveva fatte da una parte oggetto di pressione venatoria che la specie ormai – coi cacciatori di oggi, le cartucce e i fucili di oggi, e soprattutto i cani di oggi – praticamente non è in grado tollerare, e dall’altra vittime di stagioni troppo siccitose. È stato sufficiente richiudere la caccia, e un paio di primavere piovose ed estati clementi, e i contingenti sono ritornati subito numerosi. Senza “piani di salvezza”, senza “istituzioni di professoroni” ad interessarsi (di cosa?). Due stagioni senza fare niente che non fosse lasciarle libere le starne di fare ciò che fanno da millenni in un habitat favorevole al loro trofismo specifico: prosperare! E le starne di Zara sono tornate quelle di sempre, per una ragione e solo quella: a Zara c’è il loro ambiente!
E dove c’è l’ambiente, ci sono gli animali. Punto. Un ambiente che quando parliamo di starne, è quel contesto naturale curato e preservato dal contadino quello vero.
Serve a nulla infatti seminare anche il seme più buono che puoi sull’asfalto o sul cemento!
Ci vuole il terreno quello vero, trattato e curato da chi lo ama e lo conosce, che poi la natura il suo corso lo fa da sé. Siccome poi ci vuole quel quid di sapienza antica e poi rurale, che da sempre si cura di prelevare il minimo degli interessi serbando sempre il capitale. Tutto il resto, è fuffa. Anzi, truffa.
Volete quindi reintrodurre la starna? Lo volete per davvero?
E allora, prima di tutto, bisogna che si reintroduca il contadino! Lui, con la sua scienza semplice e verace. Lui, col suo amore per la terra che si traduce in cura e civiltà. Le starne, arriveranno quasi da sole