La caccia al cinghiale, come potete ben intuire, è la mia preferita. La pratico da quando ero ragazzo ed ormai ho superato, ahimè, i quaranta anni di licenza di caccia. In questi ultimi venti anni, la caccia al cinghiale è diventata anche il mio lavoro, e ogni stagione venatoria giro per tutto il Paese per conoscere sempre nuove squadre. In questi anni, potete credermi, ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori, cinghiali feriti e mai più ritrovati, evidenti tracce di sangue senza che sia possibile capire dove è fuggito l’animale, cinghiali abbattuti sul posto riprendersi dopo pochi minuti, per rialzarsi e fuggire nel fitto della macchia. Sembra dunque che il cinghiale sia dotato di una forza misteriosa, in grado di farlo fuggire anche se ferito in maniera mortale.
In realtà tutto ha una spiegazione molto più logica: prendiamo ad esempio l’ultimo caso esaminato nel precedente paragrafo, l’animale fulminato sul posto che si rialza e fugge lasciando il cacciatore non attento stupefatto e con un palmo di naso. In realtà questo comportamento del cinghiale è perfettamente conosciuto dagli esperti come colpo all’apofisi. Le vertebre del collo del cinghiale hanno una appendice superiore. Se questa viene colpita, lo shock dell’impatto fa svenire l’animale, che tuttavia, ferito in area non vitale, si riprende velocemente per scappare a tutta birra. Dunque, niente forza misteriosa che fa resuscitare i cinghiali, solo un colpo piazzato malamente... In questo articolo una utile tabella riassume le reazioni principali del cinghiale all’impatto di un colpo di arma da fuoco.
Come potete vedere è possibile, osservando le reazioni, capire quale è la parte colpita. Il cinghiale è un buon incassatore e l’adrenalina in circolo causata dai cani da seguita di certo contribuisce a farlo correre anche se ferito mortalmente.
Tuttavia, se il colpo è andato a segno in area vitale, la corsa forsennata terminerà presto e l’animale potrà essere ritrovato con facilità, soprattutto se si dispone di un cane adatto alla ricerca dei capi feriti. Il cacciatore degno di questo nome dovrà sempre fare di tutto per recuperare un capo ferito. È una regola ferrea applicata dai selecontrollori; nelle squadre tuttavia è un po’ diverso: in alcune sono presenti, oltre ai cani da seguita, anche cani da sangue con relativi conduttori, in altre, purtroppo, si prova semplicemente, durante la battuta, e mettere uno o due segugi sulla traccia di sangue fresca, con relativi deludenti risultati. Insomma, in questo campo tante squadre hanno ancora tanto da imparare. Ho notato, accompagnandomi spesso con un conduttore di cane da sangue, che un cinghiale colpito può andare più o meno lontano seguendo dei criteri quali la stazza o il peso, dal quale si può ipotizzare l’età, il tipo di ferita ricevuta, la situazione dell’animale al momento del tiro (isolato e tranquillo, inseguito dai segugi, da solo o in compagnia). Le possibili varianti sono molto elevate, tuttavia, con l’esperienza ci si può già fare un’idea.
Quando è possibile occorre parlare con il cacciatore che ha ferito il cinghiale: dal suo racconto potremo farci una prima idea sul peso del cinghiale e dunque sulla sua classe di età. Stabilire l’età del cinghiale è molto importante poiché influenza il suo comportamento nella fuga dopo il tiro, che sia o meno inseguito dai segugi. Interrogando il cacciatore si può inoltre sapere se il cinghiale era solo oppure insieme ad altri, anche se può accadere che un cinghiale solo, una volta ferito, cerchi la compagnia del branco.
La gravità della ferita
Gli indizi che si possono trovare sul luogo del ferimento talvolta sono in grado di dare un’idea abbastanza precisa del tipo di ferita, certezza che può successivamente trovare conferma durante la ricerca dell’animale esaminando i vari indizi, come la perdita ed il colore del sangue, le tracce lasciate dall’animale o la lunghezza del tragitto di fuga. Per un cacciatore esperto è facile vedere come il cinghiale salta i fossi, se è titubante o al contrario se fugge velocemente e saldo sulle gambe, se perde del sangue, se cerca l’acqua. In ogni caso, se il cinghiale si ferma prima di aver percorso 500 metri è un buon testimone di come il colpo sia andato a segno. Al contrario, un cinghiale ferito in parti non vitali, anche se sul luogo del ferimento c’è tanto sangue, può anche percorrere cinque chilometri prima di fermarsi. In questo caso la presenza di un cane da traccia di sangue è indispensabile, anche se le probabilità di ritrovarlo sono in verità alquanto ridotte.
Il caso del grosso cinghiale
Esaminiamo ora un grosso cinghiale (da 70 kg a 100 chili) colpito mortalmente ma che non si ferma sul posto. In linea generale un cinghiale di questa stazza attinto da un colpo in area mortale non piazzato perfettamente si trova, da 6 a 24 ore dopo, entro 2.000 metri dal luogo del suo ferimento. In genere è già morto oppure
in stato comatoso e non è in grado di contrastare il fermo del cane da sangue.
Se colpito al cuore il cinghiale percorrerà al massimo 400-500 metri prima di fermarsi. Se colpito al fegato percorrerà all’incirca dai 400 ai 700 metri, dai 1500 ai 2000 metri per una palla al collo, ai reni, ai polmoni o all’addome, tutti colpi mortali ma che non sono in grado di fermare il cinghiale sul posto.
Inoltre, se il cinghiale colpito è inseguito da dei cani da seguita, questi, attirati dal sangue sul luogo del ferimento, possono abbaiare a fermo, confondendo sia i cacciatori che i cani che man mano sopraggiungono. E così, ogni tanto, dei cinghiali colpiti riescono a fuggire e non vengono più cercati e vengono così lasciati morire, magari a poche centinaia di metri dal luogo dove sono stati feriti.
Il caso del piccolo cinghiale
I cinghiali più piccoli, quindi più giovani, reagiscono in maniera diversa a quella precedentemente descritta. Se colpiti, cercano subito un rifugio, li puoi trovare in un cespuglio in mezzo ad un prato quando a soli cento metri di distanza vi è una fitta ed impenetrabile macchia di rovi. Altri, compiendo un’inversione a U, cercano di rientrare sul luogo dello scovo, nella speranza vana di ritrovare il branco. Se per caso riesce a ritrovarlo, vuol dire che la sua ferita non è gravissima, e l’animale cerca di restare nel branco, seguendone gli spostamenti.
Se il cinghiale è di piccola taglia (meno di 20 chilogrammi), in genere non riesce a percorrere più di 500 metri dal luogo del ferimento. Spesso i cacciatori riferiscono di aver colpito il piccolo cinghiale per aver visto una reazione al colpo, ma non bisogna dimenticare che i giovani sono molto emotivi e paurosi, per cui possono aver scartato non per essere stati feriti, ma per reazione allo sparo: semplice paura.
Gli indizi di ferita
Andiamo ora ad esaminare quali sono le tracce che il sangue che la ferita lascia sul luogo del colpo andato a segno. Il cacciatore esperto, esaminando il terreno, è in grado di ipotizzare con un certo grado di certezza la parte del cinghiale che è stata colpita e prevederne la lunghezza del suo percorso di fuga.
- Pelo più o meno lungo, sangue rosso vivo e molto abbondante. È un colpo ai muscoli. Generalmente il cinghiale corre via, con buone possibilità di seminare i cani in seguita. Ha buone probabilità di sopravvivere alla ferita.
- Quando il pelo è corto con presenza di ossa e di frammenti di denti, sangue rosso vivo sul posto. Questo è il colpo al grugno: il cinghiale corre via e non sarà mai più ritrovato.
- Il pelo è quello della spalla, di lunghezza media, il sangue è rosso vivo, talvolta schiumoso, abbondante. È la palla al cuore, con distanza di fuga ridotta (100-200 mt).
- Presenza delle lunghe setole della criniera dorsale, sangue rosso vivo, poco abbondante. È il tiro all’apofisi, ferita non mortale. Il cinghiale sviene e si riprende in pochi minuti e fugge alla massima velocità, per fermarsi anche dopo diversi chilometri.
- Il sangue è rosso scuro, poco abbondante, cade a terra goccia a goccia, il pelo è di lunghezza media. È un colpo ai reni, mortale a medio termine, con distanza di fuga variabile secondo la taglia del cinghiale.
- Il pelo è di lunghezza media, il sangue è chiaro e schiumoso. Se la palla ha attraversato completamente l’animale, si trovano pezzi di polmone. È il colpo ai polmoni, che provoca una grande emorragia, con distanze di fuga ridotte (max 500 metri).
- Il sangue è rosso molto scuro, il pelo di media lunghezza. Nel sangue si possono trovare parti di fegato. È il tiro al fegato, l’animale morirà nel giro di poche ore.
- Il pelo è lungo, il sangue chiaro e poco abbondante, ci sono tracce di cibo in fase di digestione. È un colpo all’addome, sempre mortale, ma con distanze di fuga talvolta elevate.
- Il sangue è rosso chiaro, abbondante e schiumoso, con peli molto corti. È un colpo alla gola, se le vene vengono recise, il sangue, rosso vivo, diventa via via più abbondante. La distanza di fuga sarà di conseguenza ridotta.
La reazione del cinghiale in base al punto in cui viene colpito.
Conclusioni
È evidente come la presenza di un cane per la ricerca dei capi feriti sia divenuta una esigenza ormai inderogabile anche e soprattutto per quelle squadre di braccata/battuta che ancora ne sono prive. L’etica venatoria ed il rispetto della selvaggina devono essere sempre rispettati da tutti, selecontrollori o iscritti ad una squadra.
A parole questi sono valori condivisi da tutti ed allora faccio una semplice domanda: perché il cane da traccia di sangue a qualcuno dà ancora così fastidio?