La caccia individuale al cinghiale non fa parte delle tradizioni venatorie italiane.
Qualcuno potrà ricordare la tecnica della caccia “al balzello”, ma di caccia non si trattava, quanto di bracconaggio e di caccia di sussistenza: si trattava di attendere a notte fonda o all’alba il passaggio del cinghiale su uno “stradello” nel bosco, nella speranza di portare a casa un buon quantitativo di proteine. Intento giustificabile e messo attivamente in pratica, con intenti comprensibili, ma con qualche dubbio ascrivibile nell’elenco delle cacce tradizionali italiane.
Perché, sia ben chiaro, per me in Italia la caccia tradizionale al cinghiale si fa in forma collettiva, con l’indispensabile aiuto dei cani da seguita.
Detto questo, negli ultimi anni, complice l’espansione incontrollata della specie Sus scrofa su tutto il territorio italiano, altre forme di caccia hanno iniziato a diffondersi, includendo le attività individuali tra le tecniche venatorie praticabili e praticate nel nostro Paese.
Ha iniziato la Toscana, più di due anni fa, con il famigerato “piano Remaschi”, che ha aperto la strada alle forme di caccia individuali praticate in maniera indiscriminata. Il concetto, di per sé, non è sbagliato: il cinghiale, in certe aree sensibili (coltivazioni, zone ad alto scorrimento stradale, aree periurbane) non deve esserci.
Però, da qui ad autorizzare stragi senza alcun limite ce ne passa. Pensate, notizia di questi giorni, la Regione Lombardia ha deciso che sarà possibile praticare la caccia “di selezione” al cinghiale anche con i visori notturni: insomma una mattanza 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno. Senza che vengano impiegati i segugi, ignorando l’esperienza dei cacciatori e in barba a tutte le mie e le nostre tradizioni.
Nel frattempo, il cinghiale prospera, anche grazie ai provvedimenti di Stato e Regioni, ed il malcontento tra i cinghialai cresce. Io penso che, in ogni caso, il cinghiale non dovrebbe frequentare le periferie urbane, né danneggiare colture, né tantomeno attraversare strade di asfalto. Ed essendo in pratica impossibile organizzare battute in mezzo alle case o nei campi di mais è giocoforza obbligatorio adottare tecniche di prelievo meno invasive e più sicure, come la caccia all’aspetto o quella alla cerca.
Vedo tanti cinghialai arrabbiarsi, invocare la caccia tradizionale con i segugi (che è la caccia che prediligo), affermare che chi fa le azioni di controllo è un bracconiere, però io non capisco una cosa: io per cacciare il cinghiale sono abituato ad alzarmi presto, scarpinare magari anche per un’ora e ritrovarmi in mezzo al bosco ad aspettar canizze. E solo qui la mia squadra riesce a scovare, se siamo fortunati, i cinghiali.
Io non ho problemi a comprendere che in certe aree del territorio il cinghiale non debba starci, e chiunque abbia fatto un incidente d’auto investendo un simpatico “Sus scrofa” può comprendermi. Inoltre, in pianura, nelle coltivazioni di mais, i cinghiali devono essere semplicemente eradicati.
Così almeno la penso io.
Detto questo, se i cinghiali vengono eliminati di giorno o di notte, a me poco importa, poiché è logico che il Sus scrofa debba solo vivere e proliferare nel fitto della macchia e non certo nelle periferie, nei campi di pianura o nei pressi delle strade asfaltate. Per cui non ho nessuna remora, io cinghialaio di squadra, a confessarvi che a me la caccia di selezione, anche al cinghiale, piace e la pratico, perché secondo me tutte le tecniche di caccia hanno pari dignità. Ogni metodo di caccia ha la sua ragione di esistere, però a condizione di rispettare l’etica e di ottenere dei risultati significativi. Pertanto chi pratica le cacce individuali che hanno lo scopo di diminuire le popolazioni in maniera selettiva, deve tirare ai giovani e rispettare la femmina capobranco, cosa che non sempre viene seguita. Qualcuno mira alla maggior quantità di carne prelevabile e poco importa se a farne le spese sono le madri con prole.
Fatto questo doveroso preambolo, mi occuperò delle armi che vengono impiegate nelle cacce individuali: armi che anzitutto devono essere precise, poiché nella caccia alla cerca ed in quella all’aspetto si tira a grande distanza.
Ormai i 300 metri come distanza di ingaggio sono nella norma, grazie alla grande evoluzione tecnica delle armi, delle munizioni e delle ottiche. Ed anche al fatto che i cacciatori che praticano queste tecniche venatorie, al contrario di tantissimi dei cinghialai delle squadre, frequentano i poligoni di tiro ed apprendono le corrette procedure per padroneggiare la loro arma, tanto da poter effettuare tiri anche alle grandi distanze.
Le carabine bolt action
Le carabine ad otturatore girevole-scorrevole, o bolt action come le chiamano i popoli anglofoni, sono la categoria più diffusa per la caccia di selezione. Il mercato offre una gamma vastissima, con prezzi che possono variare da circa 500 euro a salire, per arrivare a cifre che si avvicinano ed in alcuni casi superano i 10.000 euro.
Non sempre il prezzo è legato alle prestazioni effettive. Senza voler entrare troppo nello specifico, poiché non è mia intenzione fare un catalogo merceologico, sul mercato possiamo trovare bolt action di basso costo, come ad esempio le carabine CZ o quelle entry level Remington o ancora le Tikka, che a livello di precisione ed affidabilità non hanno nulla da invidiare ad armi di ben altro livello.
Ma quali sono i requisiti a cui una bolt action deve rispondere?
A mio avviso, trattandosi di carabine da impiegare anche a distanze intorno ai 300 metri, la precisione deve essere il requisito base, poiché non esiste peccato più grave che ferire malamente un animale, lasciandogli la possibilità, anche se colpito, di abbandonare il luogo del ferimento (il cosiddetto hanschutz), consentendogli di allontanarsi e magari entrare dentro un’area protetta, dove le operazioni di recupero possono essere difficili se non impossibili. È dunque indispensabile per il cacciatore che pratica questo tipo di caccia conoscere a fondo la propria carabina e frequentare spesso i poligoni di tiro, dove può imparare a colpire il bersaglio alle diverse distanze. Con un allenamento costante si possono ottenere eccellenti risultati ed imparare a compensare la caduta del proiettile alle diverse distanze. Faccio un esempio: non tutti possiedono ottiche dotare di torrette balistiche, che permettono, una volta conosciuta la distanza dal bersaglio, di portare automaticamente il reticolo al centro del bersaglio; se dunque ho la mia ottica senza torretta balistica, sono obbligato a tararla ad una determinata distanza. Io taro le mie carabine a 200 metri, poiché, usando calibri con traiettoria abbastanza tesa, posso mirare tranquillamente a 100 metri, e compensare mirando poco sopra il punto che desidero colpire quando il bersaglio è a 300 metri. Ma con certi calibri, cito ad esempio il 9,3x62, tanto di moda oggi, il discorso si fa un poco più complicato, poiché la traiettoria di questo calibro non è troppo rettilinea, fatto che impone al cacciatore una conoscenza approfondita della propria arma (in realtà io sconsiglio questo calibro per la selezione, ma molti cacciatori lo utilizzano e sembrano soddisfatti). La parola chiave è dunque “allenamento in poligono”.
Il secondo requisito è dunque la scelta del calibro, ed i miei preferiti per la caccia di selezione al cinghiale sono il 7x64 ed il 300 Winchester Magnum. Entrambi hanno una traiettoria abbastanza tesa, che si traduce a lato pratico che posso tirare a 100 metri ed a 200 senza compensare, e di tirare a 300 mirando circa 10 cm sopra il punto che desidero colpire.
Altro requisito è la perfetta conoscenza dell’anatomia del cinghiale: a 100 metri io tiro all’orecchio, ed il colpo è sempre mortale, mentre a 200 e 300 scelgo la spalla (bersaglio più grande e quindi minor certezza di ferire malamente l’animale). In questo caso, poiché nella spalla l’animale è molto coriaceo, si deve prestare molta attenzione anche al tipo di proiettile utilizzato, poiché ho bisogno di una palla che non si frantumi facilmente (le soft point sono a mio avviso da scartare a priori), che mantenga il più possibile la sua massa e che abbia una eccellente capacità di penetrazione. Dunque, munizioni “bonded” (con il nucleo in piombo saldato al mantello) e monolitiche sono le sole che credo possano essere utilizzate in questo tipo di caccia.
Fattore fondamentale è anche la scelta dell’ottica, che deve avere una eccellente luminosità anche in condizioni di scarsa luce ambientale, poiché in questi tipi di caccia, e soprattutto nella caccia all’aspetto, in genere si tira all’alba o al crepuscolo.
In linea generale è meglio investire nell’ottica rispetto alla carabina: come già detto esistono carabine economiche che sparano benissimo, mentre non esistono ottiche di bassa qualità che abbiano la stessa resa di quelle top di gamma.
Infine, se si pratica la caccia alla cerca, dove il cacciatore si muove per trovare gli animali, un fattore critico è il peso della carabina, fattore di nessuna rilevanza se invece si fa la caccia all’aspetto.
Le carabine “straight pull”
Negli ultimi due decenni le carabine ad armamento lineare (o straight pull) hanno sempre più successo. A fare da apripista è stata la Blaser, che probabilmente detiene la maggior fetta di mercato in questo settore. Modelli come la R93 (ora non più prodotta) e la R8 riscuotono grandissimo successo e non solo in Italia, tanto da aver indotto nell’ultimo decennio altre aziende a proporre modelli con otturatore straight pull. Cito a memoria Merkel (modello Helix), Browning (modello Maral), Chapuis (modello Rolls), Rössler (modello Titan 16).
Sostanzialmente le straight pull sono sovrapponibili alle bolt action in quanto hanno un ruolo simile.
Un vantaggio della straight pull è la velocità di ripetizione maggiore, fattore che consente di usare queste armi anche nella caccia in battuta, poiché permettono la veloce ripetizione del colpo.
I “kipplauf”
I cacciatori più esperti utilizzano anche i cosidetti kipplauf, carabine basculanti ad un solo colpo. Chi usa queste armi deve avere una tecnica di tiro molto avanzata, poiché si ha a disposizione solo un colpo. Sono armi molto precise, il cui pregio maggiore è la leggerezza. Sono dunque adatte soprattutto nella caccia alla cerca, dove il peso dell’arma è un fattore critico. I kipplauf, armi di tradizione austro-tedesca, riscuotono un discreto successo anche in Italia, specie tra i cacciatori alpini, ma comunque rappresentano una piccola nicchia di mercato, essendo armi da super specialisti. Nella caccia al cinghiale rivestono un ruolo modestissimo. Indispensabile il montaggio di un’ottica.