Alauda arvensis è il nome scientifico dell’allodola, che fa parte dell’ordine dei passeriformi e della famiglia degli alaudidi. Nonostante le sue piccole dimensioni, non supera infatti i 20 mm di lunghezza e un peso di 40 g è uno dei migratori che da sempre vede numerosi appassionati, coinvolti da una caccia e un tiro mai scontati. Non sarà infatti il mitico beccaccino, ma cacciata allo schizzo, specie se smaliziata può rivelarsi un ostico rivale per buoni tiratori e un ottimo banco di prova per neofiti.
Di abitudini terricole, l’allodola trascorre la sua vita mimetizzata dal suo piumaggio bianco-giallastro negli spazi aperti caratterizzati da vegetazione non troppo alta e fitta in cui può muoversi al pascolo e nutrirsi principalmente di vegetali, ma anche insetti nelle stagioni più calde. L’importante è che i terreni non risultino troppo umidi.
In Italia, sebbene con popolazioni che nulla hanno più a che vedere con quelle degli anni passati, risulta stanziale nel centro-sud e nelle isole, ma la maggior parte dei selvatici transita in doppio passo a ottobre-novembre verso sud e in marzo aprile verso nord.
L’allodola è infatti originaria delle regioni settentrionali dell’Europa e dell’Asia, dalle quali si è diffusa poi verso sud fino all’Africa settentrionale.
Date le sue abitudini, la specie ha risentito moltissimo la meccanizzazione dell’agricoltura, l’antropizzazione che ha sottratto i prati e gli incolti, l’uso dei pesticidi, tutto ciò che ha poco a che vedere con l’attività venatoria, la quale invece continua proficua e divertente nei luoghi in cui questi processi vanno a rilento.
L’allodola ha saputo comunque adattarsi alla trasformazione del paesaggio da parte dell’uomo, preferendo soprattutto le colture cerealicole, ma anche arati e colture prative.
La forma classica di caccia all’allodola è da appostamento, spesso temporaneo con richiami vivi, cantori e zimbelli tra cui un tempo si annoveravano anche rapaci come la civetta ora proibiti. Non sono ancora chiare le cause dell’indole spiccatamente curiosa di questo selvatico. Verso i rapaci probabilmente l’avvicinarsi del branco costituisce un sistema di difesa, ma suscitano un’attrazione fatale anche molti altri oggetti fra cui i famosi specchietti nelle giornate di sole oppure pelli di animali in movimento. Oggi i rapaci vengono sostituiti da animali finti, oppure giostre con esemplari imbalsamati; riproduzioni che tuttavia si dimostrano efficaci.
In questa caccia basta allestire una tesa relativamente semplice nei pressi dei campi in cui sostano o transitano le allodole lungo nelle linee di affilo ai valichi.
Il periodo migliore va della metà di settembre fino ai primi di novembre. Un telo mimetico non troppo alto che non ostacoli la visuale ed il tiro e la batteria dei richiami o la giostra disposta a poca distanza dalla postazione saranno sufficienti.
Anche l’abbigliamento mimetico da parte del cacciatore sarà di aiuto in ambienti aperti e spesso spogli in cui non si hanno grandi possibilità di camuffamento.
Come qualsiasi altra caccia basata sull’uso dei richiami ha per caratteristica il tiro abbordabile effettuato spesso a distanze accessibili su selvatici che specie alle prime battute planeranno dolcemente sulla tesa.
Tuttavia quando il rombo delle fucilate diventerà un pericolo noto le allodole volteggeranno a distanze sempre maggiori e saranno sempre più difficili da convincere ad avvicinarsi.
Solo i tiratori calmi e precisi che non si lasceranno trarre in inganno dalle numerose evoluzioni aeree dei selvatici potranno raccogliere soddisfazioni. L’apertura alare di questo selvatico è notevole rispetto alle sue dimensioni corporee e ciò consente un volo veloce e sicuro con battiti d’ala intermittenti, sfruttando spesso anche la spinta del vento.
Notevole è tuttavia la differenza tra il volo in migrazione piuttosto lento e regolare, rispetto a quello invece di esemplari stanziali che si alzano da terra oppure che si portano a distanza da un pericolo.
La forma di caccia alle allodole però più sportiva ed entusiasmante almeno al parere di chi scrive, è quella vagante al frullo o allo schizzo che dir si voglia.
Le occasioni saranno certamente minori, ma non si potrà dire lo stesso per le soddisfazioni nei tiri.
Procedendo a piedi da soli nei campi in assoluto silenzio ci si troverà davanti ai selvatici che improvvisamente schizzeranno via dal terreno con volo velocissimo e irregolare, specie nelle giornate uggiose tanto da ricordare il frullo dei beccaccini.
Il volo infatti quasi sempre viene spiccato contro vento per prendere rapidamente quota e compiere bruschi cambiamenti di direzione con sbandamenti e scivolamenti d’ala.
Alle prime fucilate anche qui si avrà l’impressione di aver vita facile sui selvatici non ancora smaliziati, che si involeranno a pochi metri di distanza; ma da qui a pochissimo si vedrà cambiare e aumentare drasticamente il range di tiro.
Talvolta gli uccelli picchiano repentinamente fino a quasi sfiorare il terreno, per poi riprendere quota a distanza dal cacciatore.
Le capacità del tiratore qui non avranno appigli, occorrerà sia destrezza nella stoccata su selvatici che potranno sorprendere davanti ai piedi o addirittura dietro alle spalle, aspettando il nostro passaggio per involarsi, sia tiri impostati sulle allodole ormai lontane o alte che saranno più facili da udire al canto che da vedere. Una piccola accortezza sempre valida sarà quella di procedere sempre dando le spalle al sole per non trovarsi spiazzati al momento decisivo.
Per l’estremo mimetismo e le ridotte dimensioni di questi selvatici sarà fondamentale nella caccia marcare in modo preciso i punti di caduta delle allodole abbattute ai fini del recupero.
Ci si potrà anche avvalere dell’ausilio di un cane da riporto, ad esempio uno spaniel che però dovrà mantenere un atteggiamento estremamente corretto e un collegamento assoluto con il conduttore durante la caccia per non mettere in volo anzi tempo selvatici già estremamente diffidenti e leggeri per natura.
I piaceri autentici del contatto e della contemplazione della natura vengono esaltati in questa caccia antica, specie se vissuta in solitudine e nella calma silenziosa di lunghe camminate.
Coloro che si dedicano costantemente a questa caccia sanno quanto sia importante la rotazione dei territori da battere nelle cacciate. I luoghi vocati e scelti dalle allodole sono sempre gli stessi, quindi per giungere a distanza utile e godere del piacere di belle mattinate con questi selvatici sarà bene non insistere. La sorpresa del frullo e quella piccola esplosione improvvisa di vita nei prati possono bastare ad appagare cacciatori in cerca non di grandi prede ma di sensazioni vere.
FUCILI E MUNIZIONI
Le diverse forme di caccia alle allodole presentano esigenze altrettanto varie. Nella caccia con i richiami che riescono ad avvicinare i volatili, un buon colpitore potrebbe sfruttare la maneggevolezza dei piccoli calibri come un calibro 28, ma sicuramente il calibro 20 può dare le massime soddisfazioni. La caccia vagante richiede solitamente un’arma diversa, a causa della distanza dei tiri che può divenire notevole.
I calibri 12 saranno preferibili, i 20 accettabili a patto che non si usino canne troppo corte. Le strozzature potranno variare dalle 3 per i calibri 12 alle 2 o 1 stella per i più piccoli.
Nella caccia da appostamento i semiautomatici potranno dare qualche occasione in più in caso di branchi di allodole in curata oppure da non sottovalutare anche il terzo colpo per finire e recuperare selvatici feriti che difficilmente potrebbero essere recuperabili.
Nella caccia vagante invece i sovrapposti o le doppiette godono il vantaggio oltre del migliore brandeggio, anche delle differenti strozzature e in caso di bigrillo anche della scelta di cartucce di diverso dosaggio.
Le cartucce solitamente impiegate nella caccia alle allodole sono di dosaggio minimo con la convinzione spesso erronea che un selvatico di così ridotte dimensioni abbia anche una scarsa resistenza alle ferite.
Chi ha esperienza in questa caccia sa che questa opinione può considerarsi ingannevole perché l’allodola in relazione alla sua mole dimostra una discreta vitalità e resistenza ai traumi. Se ferita lievemente vola lunga per sottrarsi alla cattura oppure alterna brevi frulli e pedinate davanti al cacciatore che rischia di perderla in qualche anfratto o cavità del terreno.
Occorre quindi scegliere una cartuccia in relazione alla caccia e quindi alla distanza dei tiri.
Nelle cacce di appostamento con un calibro 12 si potrà scendere anche a dosi di 28-30 grammi di piombo 22 per il calibro 20 preferibilmente del numero 11 o 12 senza contenitore che consentono rosate ampie e compatte.
Nella caccia al frullo, magari anche su selvatici smaliziati che si alzeranno con vento a favore al limite della portata, sarà bene non scendere sotto i 32 o anche 34 grammi di piombo in calibro 12 del numero 10 o 9 e nel calibro 20 cariche non inferiori a 26-28 grammi.
Qui di seconda canna il contenitore risulta necessario.