Nello spazio infinito delle macchie italiane si sono annidati per secoli un esiguo numero di cinghiali. Uno sparuto reggimento di minacciose bestie feroci classificate tra le più pericolose per le antiche comunità romaniche e ancor prima etrusche. Irsuti e sciabolati bestioni insidiavano case e raccolti e costringevano gli uomini a battute di caccia che sembravano più delle campagne a difesa dei confini. Dalla lotta per la sopravvivenza alla cattura per approvvigionamento, fino ai giorni nostri abbiamo dato la caccia al cinghiale, fin dall’alba dei tempi a migliaia di anni nella storia dell’umanità, uomini e cinghiali hanno sempre combattuto una “guerra venatoria” senza respiro.
Da quell’epoca le cose sono molto cambiate: gli uomini si sono dotati di strumenti molto più performanti per la caccia e la difesa, i cinghiali sono diventati più numerosi e la frequenza con la quale si avvistavano nei boschi e la grande qualità delle carni che fornivano ne hanno trasformato la mitologia da animale pericoloso a grande risorsa per la comunità stessa. La diffusione di questa specie è stata piuttosto localizzata fino a un secolo fa e la forte espansione dell’ultimo periodo ha richiamato frotte di cacciatori a praticare questa caccia in modo sempre più specializzato e focalizzato.
L’azione venatoria, tuttavia, è sempre stata la parte finale di una lunga preparazione. Il percorso di avvicinamento alla sciolta, che avrebbe portato allo scovo e alla spinta degli animali verso le poste, è una fase delicata e riservata a pochi esperti di questo mestiere. I cinghiali sono animali che spesso si spostano di chilometri (fino a 80 in casi estremi) dall’area nella quale pascolano per nutrirsi a quella in cui trovano un riparo sicuro dove allestrarsi. Nasce dunque la figura del tracciatore, o meglio, si specializzano alcuni cacciatori che conoscono profondamente il territorio e le abitudini degli animali. Sono gli eredi di quegli esploratori che cercavano nei boschi i segni di presenza o di passaggio dei cinghiali e fornivano quelle indispensabili informazioni al resto della brigata su dove poter intervenire per scovare i cinghiali. Il tracciatore e la tracciatura sono un capitolo dal fascino unico nella caccia al cinghiale, un’arte che oggi rischiano di perdere a causa di molteplici fattori.
Perché rischiamo di perdere l’arte della tracciatura
La conformazione boschiva e l’azione dell’uomo sul territorio crea le condizione perché i ripari per gli animali siano ridotti rispetto al passato.
Il cinghiale è un animale che, malgrado passino generazioni, sceglie solitamente gli stessi luoghi per trovare ricovare. Le famose mestre, o rimesse, sono aree del bosco particolarmente vocate, che se non subiscono particolari interventi di bonifica, restano per questo tipo di animali un riparo sicuro. Vuoi per l’esposizione, il senso di protezione, il buio creato da rovi e ginestre che li ripara dalla luce del giorno, vuoi per quello che sentono istintivamente nel sottosuolo, le rimesse in una battuta sono sempre il luogo più sicuro in cui andare a “bussare alla porta dei cinghiali”.
L’abbondanza di animali, ormai molto avvezzi alla presenza dell’uomo e divenuti pertanto abituali frequentatori di aree di caccia, rende meno difficoltosa l’individuazione della loro presenza (spesso manifestata anche in orari insoliti come il pomeriggio).
Le pratiche di foraggiamento dissuasivo hanno insegnato agli uomini metodi di perlustrazione del territorio più focalizzati e il recupero di segnali oltremodo evidenti.
Alcune aree di caccia sono molto impervie e i terreni sono piuttosto avari di segnali, in altre la presenza di prati e campi di basso foraggio che circondano piccoli calanchi ricoperti di roveti e spineti non lascia molti dubbi sul luogo in cui dovremo cercare di stanare le nostre prede.
Queste e altre circostanze allontana sempre di più il bisogno di tracciare gli animali. L’arte della tracciatura è una meticolosa e attenda procedura di esplorazione del territorio che mira a individuare il transito, la presenza e la permanenza dei cinghiali sul territorio. Spesso si cammina per ore, si circumnavigano aree boschive estese, si liberano sul territorio più esperti, uomini che frequentano l’area anche durante la settimana e che, laddove non avessero già individuato i cinghiali, sono in grado di percepire quei cambiamenti anche minimi al territorio che segnalano l’improvviso ingresso dei cinghiali in cacciata. Sono uomini di cui potersi e doversi fidare, persone di valore e sacrificio che riporteranno gli esiti dell’esplorazione più tardi al ritrovo.
Quali sono le tracce che cercheranno?
Le orme innanzi tutto, che evidenziano 2 aspetti fondamentali: la freschezza della traccia e quindi la presenza del cinghiale in tempi molto eventi rispetto alla nostra indagine e la direzione che il cinghiale ha preso allontanandosi da un insoglio o da un’area di pascolo per raggiungere il proprio riparo.
Le rumate, gli scavi che il cinghiale realizza sul terreno grattandolo il dorso del muso fino a incidere il fondo della terra e aprire le zolle con la muscolatura del collo alla ricerca di radici, vermi e larve.
Le fatte, generalmente indizi molto rassicuranti visto che sono spesso depositate a poca distanza dai luoghi di ricovero. E inoltre facili da analizzare se avessimo bisogno di capirne la freschezza.
L’insoglio, uno dei piaceri più cercati specie in stagioni calde, quando una buona cura del corpo rinfrescante e insetticida li porta a fare il bagno nelle vasche fangose che si accumulano nella macchie.
Gli scarichi sulle piante, se cosi voglio chiamarli. I punti in cui per grattarsi il cinghiale struscia la sua pesante mole. Anche in questo caso ci sono alberi o pietre che nell’arco degli anni si dimostrano gradite da generazioni di cinghiali. Alcuni alberi mostrano segni di logoramento del tronco fino alla perdita del 40/50% del suo diametro nel punto in cui i cinghiali insistono. Esattamente come una scalinata in marmo di un antico palazzo mostra segni evidenti di smistamento dovuta ai secoli di passaggio di persone e animali.
Il discernimento. La pioggia pulisce e rende semplice individuare tracce fresche, il sole cuoce la terra e rende quasi impossibile capire il transito. L’umidità spesso “rinverdisce” orme dei giorni precedenti e a volte, complice il terreno magari cretoso, risputa quel bagnato che a prima vista potrebbe far sembrare tracce vecchie, fresche della notte.
Le presenze. Dall’indagine il tracciatore sarà in grado di individuare anche il numero degli animali e dal tipo dell’unghiata nel terreno anche il sesso. Anche questi sono elementi necessari al fine di interpretare la cacciata e dare ai comandati il là per scegliere numero, tipologia di cani e canai da lanciare nel bosco, risparmiare energie per una battuta successiva, cadenzare le sciolte per evitare che la fuga di un cinghiale trascini tutti i cani insieme fuori battuta o scaricare tutta la potenza della squadra in solo colpo. Anche la presenza di selvatici indesiderati è un fatto da non trascurare. Se in un’area piuttosto ristretta trovano riparo 1 cinghiale e 5 caprioli, sarà compito dell’organizzazione cercare di sganciare un numero di cani inferiore al normale e con un piglio sicuro perché non siano distratti dagli altri selvatici. Aree ricche di tane di volpi e istrici saranno altre insidie da evitare, il coinvolgimento dei canai e la loro conoscenza dei segugi pronti ad entrare in azione nei loro carrelli saranno l resto.
Alcuni audaci segugisti praticano questa caccia in zone molto difficoltose, piene di rocce e passaggi impervi o con realtà boschive ad alto fusto senza sottobosco per ettari e ettari, in aree estese in cui i cinghiali trovano poco riparo e si allungano per chilometri prima di sostare definitivamente. Sono aree in cui, proprio per queste condizioni, il numero dei cinghiali non raggiunge certo quello di altre aree boschive del paese e la conquista della preda è veramente difficile. Entra in scena allora il cane, lo “strumento” più prezioso e infallibile a nostra disposizione. La tracciatura a corda, non sempre utile e non sempre consigliata, è invece una pratica necessaria e lodevole in questi luoghi. La capacità del segugio di individuare una passata fresca e di vocalizzare lungo il sentiero percorso dall’animale, conduce il cacciatore a individuare il covo e poter organizzare la cacciata senza margine di errore. È, tra tutte, la forma di tracciatura che richiede meno lettura del territorio e più capacità di addestramento, il cane che da voce non lascia dubbio alcuno e conoscendo il soggetto utilizzato, la sua raffinatezza nell’individuazione dell’usta, il ritmo e l’intensità della voce, il cambio di tono, riusciremo a leggere con chiarezza anche il “quando” il cinghiale è transitato da li.
Che sia con il cane o analizzando scrupolosamente i dettagli che il terreno ci lascia, la tracciatura è un’arte preziosa e affascinante. Un mestiere che non deve essere perso perché parte integrante della bellezza e dell’essenza della caccia. Avere la capacità di individuare il passaggio e la presenza di una preda e convogliare l’organizzazione della squadra su quell’informazione cosi piccola ma cosi preziosa, è una grande responsabilità ma anche una grande soddisfazione. spesso una sola unghiata incisa in modo quasi impercettibile sul passetto che risale dalla cessa è l’unico indizio su cui poter decidere di posare decine di poste al confine della zona e sganciare decine di cani a insidiare la bestia. Il tracciatore è un baluardo della squadra, non potrà mai essere infallibile, ma sarà sempre quello che al suo ritorno avrà le attenzioni di tutti e che porterà con sé una storia affascinante fatta di passaggi, segnali, presenza, numeri di animali e magari qualche esemplare particolarmente grosso che smuoverà l’immaginario di tutti e darà la carica a tutto il gruppo.