Il caldo insidioso si è protratto ancora una volta ora il limite consentito all’estate e ha invaso, anche quest’anno, tutto il settembre e buona parte di un ottobre che ha perso pian piano la connotazione di mese invernale per acquisire la classificazione di mese balneare a tutti gli effetti.
Con le temperature così alte e le piogge che si alternano tra periodi di intensità estrema e completa assenza la caccia è una parte dell’anima che si ostina a voler dormire. Almeno per me. Guardare la natura che fatica a sollevarsi tra le crepe della terre arida, passeggiare per i campi alla ricerca di fatte di lepre o pallide tracce di ungulato respirando più polvere a ogni passo di quanto non faresti in una tormenta di sabbia.
Caccia e natura
Guardare alle pozze d’acqua prosciugate, i fossi che non tirano da mesi, è una scenario immobile, fermo, sofferente. Liberare i cani in questo paesaggio per vederli faticare nel dare voce su una pastura fresca, accennare un accostamento che sai già non riusciranno a risolvere, vederli assetati dopo un’ora di “passeggio”, mi lascia interdetto, mi chiedo se quelle ore passate lì fuori, non sarebbero potute essere ore trascorse in altro modo. Lo vedi, si percepisce che la natura è in difesa, chiusa, respira appena come se volesse conservare quelle poche riserve rimaste. Gli animali soffrono anch’essi, riducono le loro attività al sostentamento basale, il loro istinto perfino mi sembra in “stand by”. È una sensazione certo, una mia convinzione, sicuro; la natura non altera la propria genetica, eppure con quest’aria ancora così ferma e pesante è difficile sentire quell’ebbrezza e quel desiderio di sfida che ci spinge a correre per chilometri, affiancarci ai cani recuperando una passata per seguirla fino in capo al mondo. Allora preferisco quasi guardare i miei segugi nel canile, portarli a sgambare di quando in quando badando di non forzare troppo negli orari e nella durata dell’allenamento, facendo attenzione di liberarli sempre dove possano trovare acqua fresca e buona.
Rinuncio anche a scrivere, a raccontare, non trovando ispirazione alcuna in questa asfissiante stasi; provo a pescare lì dentro, cercare qualcosa da trascinare fuori e condividere con amici e compagni di caccia, ma nulla, affondo la mano, lo sguardo, i pensieri, ma non c’è emozione in questo, non c’è ispirazione. Inutile forzare, inutile insistere, spingere, costruire artifizi con immagini e racconti di circostanza, quando il padrone assoluto non è il cuore immerso nell’arte della caccia, ma il cervello ingegnere costretto nelle fauci della costruzione. Lui pianifica e confeziona fuochi fatui solo per non perdere in ritmo, fa i compiti a casa, solo per paura di perdere consenso.
Non mi interessa, non è questo che traggo dalla caccia, nella robusta linea che lega le tradizioni familiari alla visione del futuro, annoda a te i cani come fonte di vita e blinda dentro un forte un fuoco spontaneo che arde solo se alimentato dalla gioia e dalla libertà. Aspetto dunque, resto in attesa, paziente, come si confà ai cacciatori di una volta, agli agricoltori, agli allevatori, che guardano al proprio mondo e attendono che questo si mostri pronto tra i germogli di un raccolto, emerga dalle prime piogge, si affacci e si renda disponibile a te che ne hai bisogno.
Sembra assurdo; consultare il meteo e sperare di vedere le temperature crollare improvvisamente, sperare in 3 o 4 giornate di pioggia consecutive che ridiano vigore e forza all’ambiente, sperare in quel fresco pungente del mattino che rianima bestie e piante e ricrea quegli scenari sfidanti tra nebbie e umidità, quando chiudi gli occhi e con il naso annusi attorno l’odore della caccia. Sì perché la caccia ha un suo odore, un profumo fatto di aria filtrata dai muschi delle piante, aromatizzata dalle cortecce bagnate che rilasciano quel meraviglioso aroma di legno di catasta, il retrogusto è una base di terra bagnata e poltiglia fangosa, di fogliame rivoltato e pistato dal transito di branchi di cinghiali. Sotto sotto si fa strada quel sentore acre e pungente di piante che nella boscaglia non riesci a distinguere, mentre gli occhi, si anche loro, si nutrono di un’alba brumosa e fresca, che a giornate appare limpida e meravigliosamente dettagliata quando la tramontana arriva come una mano gentile a pulire anche il più piccolo impedimento alla vista. Oppure nebbiosa ed epica quando la bruma fitta è padrona delle valli e avvolge i campi e si leva morbida dai torrenti come se il mondo ribollisse da dentro e sbuffasse.
Ecco, sì, stamani è quel giorno, il cacciatore lo sente che l’aria è cambiata. L’immagine di quel vecchio barbuto sul dipinto in casa, con il cane al guinzaglio e la doppietta in spalla che guarda dalla finestra per controllare il tempo e l’aria, basta un respiro per capire che è l’ora di andare. I passi si distendono incerti nelle prime ore e i primi giorni sono un timido riscaldamento che prepara il corpo alla corsa. Si fatica più del dovuto, si gratta via l’angoscia delle prime cacciate come a togliersi di dosso la coltre di polvere posata tra una stagione e l’altra. Si rientra in scena, ed è giusto farlo con la timidezza e la calma che si usa per una nuova esperienza. La bellezza di una nuova “prima volta” ti lascia apprezzare pregi e difetti, schiude il valore del lavoro realizzato con i cani durante l’estate, si lascia scivolare come una veste che pian piano, domenica dopo domenica, ti lascia finalmente nudo, svestito delle incertezze e fiducioso.
È il momento di rimettersi in marcia quello, di riaprire lo scrigno che in questi mesi hai tenuto socchiuso per far uscire giusto le energie indispensabili a farti respirare e sopravvivere. Spalanca le porte, solleva il petto, apri gli occhi, la temperatura che scende innesca i fremiti sulla pelle, la senti ovunque, grado dopo grado segna i battiti cardiaci in rapida diminuzione di un’estate ingombrante che finalmente si sta spegnendo, è un’alba nuova oggi e la nuova stagione batte finalmente il suo primo colpo. Vola al di là dei calendari per trovare in ognuno di noi il momento in cui ci si risente finalmente messi al nostro posto, a cacciare il cinghiale.