I proverbi non sono altro che frasi ritenute adatte per rappresentare al meglio il concetto che uno vuole esprimere. In questo caso direi: l’erba del vicino è sempre più verde.
Mi riferisco al fatto che il pensare comune ci porta a considerare i territori di altre nazioni, migliori dei nostri sotto il profilo della presenza di selvaggina. Ovviamente un fondo di verità esiste sempre, ma ora e a mio modesto parere è tempo di distinguo, ma anche di riflessioni scevre da luoghi comuni o da interpretazioni del tutto personali che magari partono da opportunismi non sempre attinenti al contesto venatorio.
Facciamo alcune riflessioni sui motivi, beninteso del tutto legittimi, che spingono alcuni cacciatori ad andare a caccia fuori dai confini nazionali
Faccio una doverosa premessa che è quella di non essere mai andato a cacciare fuori dai confini italiani. Questo in parte per limiti economici, ma soprattutto per una convinzione tutta mia che può sembrare anche presuntuosa, ossia perché non ne ho mai avvertito l’esigenza. Ho sempre ritenuto soddisfacenti i risultati venatori ottenuti, dapprima nelle montagne impervie della Sardegna a caccia di bellissime e regali pernici autoctone, ma anche di cinghiali piccoli come furetti e scaltri come volpi, per poi proseguire in Toscana sempre a cinghiali in quel di Abbadia San Salvatore comune limitrofo al Parco dell’Amiata. Andando oltre, a fagiani sia quelli veri, fintanto che si trovano, e poi a quelli - perché no - pronta caccia, laddove presenti in quanto frutto di immissioni pre-apertura o di rinforzo stagionale. Per finire a caccia di orecchione nell’entroterra Viterbese, intervallando se la stagione lo permetteva, a piacevoli scartucciate alla migratoria in prevalenza tordi e merli e, perché no, anche a qualche sporadica beccaccia.
Ciò non toglie che nella mia cerchia di amici o conoscenti ci siamo persone le quali a intervalli più o meno regolari e in base alle dritte di vedette sul posto, preferivano avventurarsi in territori stranieri (Romania, Ungheria, tutta la ex Jugoslavia, ecc.) ma anche in Egitto come ad esempio l’oasi di Al Fayyum (ora interdetta alla caccia ) laddove più che carnieri, avvenivano eccessi che io personalmente non ho mai concepito e che ritengo in qualche modo un boomerang per la nostra categoria. Il tutto poteva trovare una sua giustificazione nel motto: io pago e quindi è giusto che prendo.
Già questo a suo tempo era sufficiente per sminuire il concetto venatorio declassando in subordine, l’etica venatoria quale ars venandi, riconducendola a mero opportunismo ludico-turistico. Il vero cacciatore dovrebbe avere altri e più nobili obiettivi, ossia di andare sempre alla ricerca di un qualcosa di emozionante e della massima potenza, che riesce ad esaltare il binomio cacciatore/cane quasi a fare scorta di adrenalina pura da consumare a lento rilascio nei periodi di magra stagionale. Non voglio addentrarmi oltre in questi argomenti che finirebbero per essere lesivi dell’intera categoria anche se come detto, questo segmento è veramente limitato a una piccola parte di cacciatori.
Lo sviluppo del turismo venatorio come alternativa di caccia nei nostri confini ha un suo rilevante bacino di utenza. Vediamo alcuni aspetti salienti della questione.
Dietro il cosiddetto turismo venatorio ci sono aziende serie e persone adeguatamente preparate che oggi, andando in contro tendenza rispetto al passato, offrono pacchetti assortiti dove la caccia è solo una componente anche se importante ma ulteriormente arricchita da svaghi locali soprattutto in quei posti che possono offrire valide alternative per conoscere usi e costumi ma anche la cultura in genere dei popoli con i quali entra in contatto.
Non si può comunque generalizzare, perché ad esempio alcuni cacciatori vanno all’estero, facendo anche sacrifici economici, per praticare forme di caccia che in Italia stanno scomparendo, come ad esempio quella agli acquatici vuoi per mancanza di territori adeguati, di selvaggina, ma anche per le solite regolamentazioni italiane le quali precludono la caccia agli anatidi nel periodo fino ai primi di Marzo come invece avveniva ormai circa 20/30 anni fa.
Ci sono anche i dresseur che sfruttano i territori esteri e le normative più blande, per preparare soggetti di una certa caratura, rendendoli pronti a gare di livello nazionale come la Grande Cerca o perché no Internazionali come la Coppa del Mondo. Per queste persone il viaggio diventa lavoro e su questo qualsiasi critica diventa automaticamente inopportuna e priva di alcun fondamento.
Un altro settore in auge e ampiamente compreso è quello della caccia agli ungulati (cervo, daino, capriolo ecc.) i cui trofei sono sempre ambiti da cacciatori che non hanno paura di affrontare spese rilevanti pur di portare a casa un animale degno di giustificare spese e disagio.
Potrei continuare fino all’infinito a fare esempi e a trovare anche le motivazioni che spingono alcuni cacciatori e frequentare suoli stranieri, ma non è questo il mio obiettivo perché ognuno è libero di spendere il suo denaro come meglio crede, di impegnare il suo tempo nel modo che più gli aggrada, a decidere cosa ritiene etico e cosa no. Io stesso, tra l’altro, non escludo a priori di fare una esperienza di questo genere, spinto dalla curiosità di provare sensazioni diverse in un contesto che potrei anche trovare famigliare vista la mia provenienza ed estrazione come cacciatore.
Ma è sempre vero che nelle altre Nazioni si trova selvaggina in abbondanza e di qualità indiscussa?
Ci sono nazioni e zone dove il tempo sembra essersi fermato, ed è proprio lì che la selvaggina mostra comportamenti diversi da come siamo abituati da noi. Mi riferisco soprattutto a beccacce, difficili da fermare e sempre all’erta. L’abbondanza non è sinonimo di catture facili, ma anche lo stesso concetto di abbondanza lascia il tempo che trova in quanto la selvaggina è poi un tutt’uno con l’habitat e quest’ultimo, in alcuni casi fa la differenza mettendo a dura prova cacciatori e ausiliari.
Volevo sono evidenziare come da quanto mi dicono i soliti amici esterofili, che anche là qualcosa è già cambiato e altro cambierà di certo, perché noi siamo solo precursori di dinamiche ambientali difficili da bloccare. La ridotta pressione venatoria unitamente a politiche più sensate, servono a preservare nel tempo scenari che oggi sembrano irreali tanto sono distanti da quelli nostrani.
Ad esempio, molta selvaggina soprattutto fagiani, starne, quaglie, lepri, sono ormai oggetto di allevamenti intensivi ed anche in paesi come Ungheria, Romania ecc. la pronta caccia si sta diffondendo a macchia d’olio. L’interesse economico ha messo radici anche lì e come ben sappiamo, la ricerca del profitto ad ogni costo, prevale su ogni altra cosa. Sta sempre a noi capire se stiamo affrontando selvaggina vera oppure di voliera però pagata come fosse selvatica solo perché cacciata in lande disabitate dove la presenza umana è scarsa. Ho amici che trent’anni fa cacciavano starne furbe e per niente facili da incarnierare. Amici che dormivano presso pseudo abitazioni di poveri pastori/contadini e che con loro condividevano pasti frugali, magari resi più appetibili da animali (agnelli, polli, capre) macellati per l’occasione come fosse un giorno di festa, in cambio di pochi spiccioli e perché no di stivali ormai consunti o scarponi a fine carriera. Oggi i pastori/contadini ci saranno ancora, magari non più poveri come prima. Le agenzie che organizzano i viaggi venatori mettono a disposizione baite, casali se non addirittura resort di lusso. Non si disdegnano nemmeno puntate ai casinò sia con accento che senza…
A Roma direbbero “sarta chi zompa” per dire che se ci sono cacciatori che se lo possono permettere e ciò è un loro appagamento venatorio, ben venga anche questa che resta sempre caccia e nella libertà di ciascuno di noi, ampiamente legittima.
Personalmente, ritengo che in Italia, e volendo spendere denaro che poi resterebbe nell’indotto economico nazionale, ci sono fior di Riserve organizzate in maniera professionale, tali da fornire anche al cacciatore più esigente e nelle varie forme di caccia, soddisfazioni pari a quelle estere senza dover macinare chilometri con carrelli a traino oppure, senza dover penare per il trasporto armi in aereo (dopo l’11 settembre, di fatto, una sfilza di limiti legati alla sicurezza) ma anche del rientro in patria della selvaggina, qualche volta requisita in aeroporto oppure lasciata sul luogo di caccia come è successo a degli amici che sono andati a caccia di colombacci in Irlanda.
Tutto ha una ragione e tutto ha un prezzo, tranne quello che hai nel tuo orto di casa e nel tuo territorio di caccia. L’erba del vicino è sempre più verde, ma anche la nostra se curata e annaffiata a dovere può essere se non uguale ma abbastanza simile a quella di tanti altri.
Il progresso e con esso il danno indotto all’ambiente e ai costumi degli abitanti delle varie nazioni, porterà inevitabilmente all’abbandono delle colture rurali e quindi, in questo caso la prima a soffrirne (un film già visto) sarà la selvaggina. Noi che in parte abbiamo toccato il fondo, possiamo solo che migliorare intervenendo con metodi moderni a rimodulare laddove possibile, un ecosistema il quale senza l’uomo/cacciatore non riuscirà mai a risollevare la china e a ritrovare quello spirito libero come solo le grandi passioni sono in grado di suscitare. Termino con un altro proverbio: aiutati che Dio ti aiuta.
“La vita è come il cioccolato, è l’amaro che fa apprezzare il dolce”
(Xavier Brébion)
Viva la caccia e viva i cacciatori!