È innegabile che in un’eventuale “graduatoria di che cosa realmente faccia il grande cacciatore di beccacce” il fucile viene certamente agli ultimi posti. Prima ci sono la scienza dei costumi della rusticola, i luoghi meglio vocati alla sua sosta, i tempi e le tecniche di caccia, e soprattutto i “segreti” per ottenere cani che riescano a cacciarla come si deve. Dopo, molto dopo tutto questo, può iniziare ad avere un suo interesse anche l’“arma più consona” a tirarle… Eppure, mentre su quasi tutto i beccacciari di ogni latitudine concordano, quando al bar, nei circoli o in armeria qualcuno piglia a parlare del perfetto fucile da beccacce, subito l’interesse s’accende ed inizia un infiammato dibattito in cui ognuno vuol dire la sua; vediamo perché…
Sentite qua: “molti sportivi consigliano il fucile corto perché, dicono, è meno imbarazzante nel folto del bosco. Secondo il mio parere, pochi centimetri di più o di meno hanno poca importanza… (Sylvain)”.
Dunque, ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole; già da allora era piena diatriba nei confronti della perfetta configurazione dell’arma da beccacce. Sylvain riteneva che dovesse presentare tali caratteristiche: “Il fucile più appropriato al tiro, sia nel bosco che all’aperto, deve avere canne lunghe settantacinque centimetri”, e lo voleva in calibro 16 per poterci sparare dosi tra i 35 e i 40 grammi di piombo, contando non di meno su di un’arma dal peso il più contenuto possibile.
Oggi un “ferro” del genere a beccacce sarebbe una follia, tuttavia bisogna ammettere che allora, per quel che era il livello tecnologico dell’epoca, probabilmente di meglio non si poteva proprio fare. Verranno poi le cartucce vere e proprie, scompariranno i cani esterni, nel 1876 Greener perfezionerà le strozzature, vedremo sempre più migliorare la qualità degli acciai ed il ‘900 s’aprirà, per opera della più grande mente oplologica di tutti i tempi (J. M. Browning), con l’invenzione dell’arma semiautomatica.
Scorrendo a volo d’uccello alcuni dei più grandi trattati sulla beccaccia, ci accorgiamo come tutti – man mano che l’innovazione tecnologia forniva nuovi strumenti al cacciatore – nei confronti del fucile da beccacce avranno a dire la loro consacrando pagine e pagine all’argomento.
Garavini arriverà a consigliarlo in calibro 20, privilegiando tra tutte la dote della leggerezza, con conseguenti vantaggi di trasportabilità e velocità d’imbracciatura.
Pieroni punterà maggiormente la sua attenzione sulla facilità d’ingaggio che possono garantire fucili a canne corte e poco o nulla strozzate, prediligendo fra questi le "mozzette, i fucili francesi Darne, e gli automatici nazionali con canna cilindrica e lunga 65-68 cm”.
Celano, consigliando vivamente di non mettersi come i pazzi a cambiare sempre fucile, ma di usarne uno e sempre uno “cucito” su misura per ogni specifico cacciatore, lo vorrà equilibrato e funzionale, razionalmente concepito per un utilizzo a 360° per tutte le tipologie di tiro che questa caccia può presentare.
Tutto giusto! Tutto corretto e sacrosanto!
…E dunque, al riguardo, di problemi non dovrebbero esisterne affatto. Eppure ciò non è vero nemmeno parzialmente. Basta guardare quel che si pubblica; le misteriosamente diverse, e talvolta deliranti, opinioni di sedicenti “esperti” contemporanei; o magari più semplicemente la
mia casella di posta elettronica dove l’argomento principe dei miei amici lettori, specie i più giovani, è ancora e sempre lo stesso: “ma come posso fare per avere tra le mani un buon fucile da beccacce?”, per capire che regna ancora una confusione incredibile. Cosa tutto questo dimostri è dunque oltremodo evidente: non sarebbe male, finalmente, provare a fare un po’ d’ordine…
Come possiamo desumere dalle opinioni dei maestri di cui sopra dunque, l’arma beccacciara si è da sempre distinta dagli altri fucili per alcune caratteristiche di base: leggerezza (Sylvain e Garavini), efficacia del corpo balistico sulle brevi e medie distanze (Pieroni), calciatura fornita di lunghezza e valori di piega/vantaggio assolutamente ottimizzati per il tiro d’istinto (Celano).
E tutto ciò per tre specifiche ragioni che costituiscono l’essenza della caccia alla beccaccia:
1) è questa una caccia “bastarda”, forse la “peggiore” assieme a quella ai cotorni fra le cacce di movimento, che richiede lunghissime marce in ambienti naturali così estremi che, per clima e biotopi, talvolta è eufemistico definire semplicemente ostili;
2) vi si spara comunque poco, in condizioni quasi sempre al limite a causa degli ostacoli forniti dalla vegetazione;
3) il bersaglio che si tenta d’ingaggiare parte sovente da vicino, ma presenta non di meno un volo saettante ed elusivo capace di complicare in maniera significativa le possibilità di esito positivo di ogni fucilata.
Per tutto ciò le doti fondamentali della “nostra arma” dovranno dunque essere cinque in generale…:
1) leggerezza, per non affaticarci nel trasporto;
2) facilità di brandeggio, per la velocità d’esecuzione nei tiri improvvisi;
3) venuta in mira istintiva, per non farci perdere quel tempo che non si ha a cercare allineamenti occhio-beccaccia;
4) massima efficacia di canne e strozzature per il tiro ravvicinato, per facilitarci nell’ingaggio senza spaccare le prede colpite d’appresso;
5) robustezza e affidabilità, perché il fucile non sia mai un pensiero in questa caccia.
…Più una particolare ma che tutte le riassume: che sia un fucile espressamente per noi e solo per noi. “Il Nostro Fucile da Beccacce” insomma!