Cacciare il fagiano per conservarlo

Cacciatore al tiro
Una gestione ambientale e venatoria razionale ed equilibrata nei confronti delle popolazioni di fagiano porterebbe a riproduzioni naturali e prelievi soddisfacenti della specie

A determinate condizioni, la caccia, come qualsiasi altra attività umana a carico di una risorsa naturale, non è assolutamente un’attività distruttiva. Per comprendere questo fondamentale concetto possiamo fare un esempio semplice e ben conosciuto: il taglio ceduo di un bosco. L’uomo da tempo ha scoperto che si può tagliare il bosco senza distruggerne le capacità rigeneratrici, garantendosi così la possibilità di usufruirne per un tempo illimitato. 

In altre parole, ha messo in atto una tecnica che consente di effettuare un taglio conservativo, ovvero un taglio che possa offrire quanta più legna possibile senza compromettere le capacità di rigenerazione del bosco stesso, in modo tale che, dopo un certo periodo di tempo, quello stesso bosco possa tornare di nuovo ad offrire una importante quantità di legna. 

Se dunque è possibile esercitare un prelievo conservativo a carico di un bosco senza distruggerlo, perché non dovrebbe essere possibile applicare lo stesso concetto al prelievo venatorio? Una razionale gestione venatoria nei confronti del fagiano dovrebbe essere attuata in modo tale che ciascuna popolazione potesse ogni anno offrire il massimo carniere possibile, senza che questo ne pregiudichi la sopravvivenza e la produttività negli anni successivi.

Un formidabile incassatore di piombo

Fagiano
L'impegno dei cacciatori dovrebbe essere duplice: volto a migliorare le condizioni ambientali del fagiano e a rispettarne il prelievo numerico in modo conservativo

Detto così la cosa può apparire di semplice e facile comprensione, ma in realtà, se guardiamo alla gestione venatoria del fagiano oggi in Italia, il concetto di prelievo venatorio conservativo è quanto di più lontano si possa immaginare. 

Di fatto è esattamente il contrario: il fagiano si presenta da sempre (non solo in Italia, si pensi, ad esempio, alla Gran Bretagna) come un formidabile incassatore di piombo: una specie che si può tranquillamente cacciare senza limiti. Il fagiano, come è noto, può essere infatti catturato con relativa facilità e poco dispendio di energie e sempre con relativa facilità si può allevare. Quindi per sostenere una caccia scriteriata e distruttiva è giocoforza ricorrere ai cosiddetti ripopolamenti, ovvero a quelle pratiche che consentono di ripristinare (si fa per dire) ogni anno un patrimonio di animali cacciabili. 

Allora, nei migliori dei casi, in inverno si immettono nel cosiddetto territorio libero fagiani catturati nelle Zone di Ripopolamento e Cattura. Ma siccome la produttività delle popolazioni selvatiche (laddove beninteso esistono) va diminuendo a vista d’occhio, in primo luogo a causa delle recenti trasformazioni ambientali ma anche della cattiva gestione faunistica, si deve fare ricorso ai soggetti allevati in cattività. E anche in questo caso si può fare una sorta di classifica: c’è chi i fagiani li immette in estate prima dell’apertura della caccia e chi durante la stagione venatoria. Le ragioni di questa differenza risiedono nel fatto che i fagiani allevati in cattività sono prede fin troppo facili per i predatori (volpi, gatti, cani eccetera) e quindi è giocoforza immetterli poche ore (se non minuti) prima di una degradante “fucilazione”.

I ripopolamenti sono davvero indispensabili?

Ma tutti questi ripopolamenti sono davvero indispensabili? La caccia al fagiano non può farne a meno? Certo, le condizioni delle campagne italiane sono ogni anno che passa sempre più negative nei confronti del fagiano, ma per questo esistono rimedi facili ed economici da realizzare: i cosiddetti miglioramenti ambientali a fini faunistici. Sono una serie di accorgimenti che, se attuati, possono ricreare condizioni di vita e riproduzione per il fagiano simili, se non addirittura uguali, a quelle esistenti prima della seconda guerra mondiale. Ci sono ricerche scientifiche ed esperienze pratiche condotte in ambito venatorio che sostanziano la veridicità di quest’affermazione. Il problema, in realtà, è prima di tutto culturale. 

Un tempo, negli anni ‘50 e primi ‘60, per i cacciatori bastava andare in campagna per trovare lepri, starne, pernici rosse, selvaggina stanziale in abbondanza: l’agricoltura non industrializzata di quel tempo favoriva queste specie. Per i cacciatori di allora era un po’ come avviene oggi per i cacciatori di ungulati. L’ambiente favorisce cinghiale, capriolo, cervo, daino e muflone e per i cacciatori che si dedicano a questo tipo di caccia i compiti gestionali sono limitati, o comunque senz’altro inferiori, in termini di impegno, a quelli che spetterebbero ai cacciatori che si dedicano al fagiano. Per avere consistenti popolazioni selvatiche di fagiano occorrerebbe oggi che i cacciatori si rimboccassero le maniche e dessero mano alla realizzazione di una strategia su larga scala di mirati miglioramenti ambientali.

Serve una rivoluzione culturale

Certo però che i cacciatori ad un impegno in campo ambientale dovrebbero affiancare anche una sorta di rivoluzione culturale: cacciare secondo criteri di conservazione e non di distruzione. Ma come fare in concreto?

Cane
Sulla base di osservazioni e censimenti è possibile programmare un prelievo equilibrato e conservativo della specie in relazione alle popolazioni presenti e all'andamento della riproduzione

Per provare a rispondere a questa domanda conviene riportare una storia davvero istruttiva: la storia americana dei fagiani della Protection Island. In questa isola di 160 ettari, nella primavera del 1937, furono introdotti due maschi e sei fagiane. Questi primi fagiani prosperarono in modo così sorprendente che in pochi anni l’isola divenne così affollata di fagiani che la popolazione cessò di crescere. A questo punto il numero dei fagiani nati ed il numero dei fagiani morti si equivalsero. Tuttavia la popolazione raggiunse il suo massimo tasso di crescita quando si trovò a circa la metà della sua consistenza finale. Fu a questo livello, infatti, che il numero delle nascite superò in misura massima il numero delle morti. 

Questa vicenda dimostra, innanzitutto, che una popolazione di fagiani può accrescersi per quanto lo consentono le condizioni di alimentazione, rifugio, nidificazione, presenza di predatori eccetera. Quando la popolazione raggiunse il livello massimo consentitole dall’ambiente cessò semplicemente di aumentare. Ma dimostra anche, tanto per intenderci, che se avessimo dovuto sottoporre a prelievo venatorio questa popolazione di fagiani, i maggiori carnieri sostenibili si sarebbero potuti ottenere nel momento in cui la consistenza della popolazione era circa la metà di quella finale.

Allora, un prelievo venatorio conservativo consiste nel trovare un equilibrio tra un prelievo eccessivo che può ridurre la disponibilità di fagiani negli anni successivi ed un prelievo troppo esiguo che equivale a rinunciare ad esercitare un legittimo profitto. Sarebbe, ritornando all’esempio del bosco, come rinunciare, a tempo debito, al suo taglio.

L’andamento della riproduzione

Cacciatore
Calcolando il numero totale dei giovani presenti prima dell'inizio della caccia è possibile definire annualmente il carniere sostenibile

Tuttavia, se ragionassimo solo in termini di prelievo venatorio massimo attuabile, potremmo commettere gravi errori. Qualsiasi popolazione di fagiano è sottoposta a delle variazioni annuali: una primavera o un’estate piovosa, o entrambe, possono infatti incidere molto negativamente sulla nascita e la sopravvivenza dei piccoli. Il parametro che deve perciò guidare in concreto il prelievo venatorio è l’andamento della riproduzione. Un modo relativamente semplice di calcolare di anno in anno il carniere sostenibile è quello di osservare e registrare con cura il numero totale di giovani che sono presenti prima dell’inizio della caccia. Questo dato è della massima importanza perché ci offre un quadro attendibile circa l’andamento più o meno positivo della riproduzione. 

Se nella primavera, all’inizio della riproduzione, abbiamo avuto l’accortezza di contare il numero delle fagiane presenti, possiamo dividere il numero dei giovani presenti al termine dell’estate per il numero delle femmine presenti prima della riproduzione e ottenere così il numero medio di giovani per fagiana adulta. Di conseguenza, se al termine della riproduzione avremo un numero medio di circa 3-4 giovani per fagiana adulta, possiamo orientarci verso un prelievo di circa il 30% del totale della popolazione presente prima dell’inizio della caccia. Se, viceversa, avremo in media 2-3 giovani per fagiana, dobbiamo mantenere il prelievo intorno al 20%. Nel malaugurato caso di avere solo 1-2 giovani per fagiana dovremo limitare il nostro prelievo al massimo ad un 10% della popolazione.

Criteri semplici, ma efficaci

La seria adozione di questi semplici criteri e parametri renderebbe del tutto superfluo qualsiasi tipo di ripopolamento e quindi renderebbe anche più economica, efficace ed efficiente la gestione venatoria non solo degli Ambiti Territoriali di Caccia, ma anche di istituti privati come le Aziende Faunistico-Venatorie. Le risorse economiche risparmiate non effettuando i ripopolamenti, infatti, potrebbero essere devolute, in vero con molto più profitto (venatorio), in miglioramenti ambientali a favore del fagiano, accrescendone così in misura rilevante la produttività naturale e quindi successivamente i carnieri.