Le beccacce sono diventate “cattive”…
Il leit motif della passata stagione, nei discorsi fra beccacciai, è stato uno e uno solo, con al seguito miriadi di commenti e strascico di spesso inutili (quanto stupide) polemiche: le beccacce “cattive”. Ecco nelle varie sfaccettature i punti fermi:
- Le beccacce “sono diventate” più nervose, spesso inaccostabili.
- Non tengono più la ferma, “come una volta”.
- Il cane arriva, e se ti va bene le vedi partire a 50 metri.
- Oppure, dai dietro a veri e propri “fantasmi. Tante “ferme in bianco”, ma o le senti appena partire lontane o non c’è mai niente…
Come se l’ultima stagione fosse una sorta di spartiacque fra un prima, e un dopo.
Prima, quando le beccacce erano “buone”. Dopo (cioè adesso), quando le beccacce sono diventate “cattive”.
Ma è vero oppure no? E se sì, perché? Di più: cosa sarebbe normale e anormale nel comportamento di un selvatico, che dell’anormalità ha fatto la norma?
Prima di addentraci nel tema, è necessario un piccolo preambolo per poi procedere per gradi, in un gioco di domande e risposte nel nome del buon senso…
Fra teoria e pratica
Or bene, va detto che in teoria esisterebbe un comportamento che farebbe definire “buone” le beccacce. Quale? Semplice: quello in cui reggono la ferma a tempo indeterminato per poi involarsi tranquille, rendendosi facilmente disponibili al fucile.
Cioè, in “beccaccese” si direbbe buona la beccaccia disposta a farsi far la pelle senza rompere troppo le scatole al cane e al cacciatore.
Ora, come ricordavo, chi ha decenni di licenze spese in questa pratica con assidua, indefessa attitudine specialistica sa che:
1) di beccacce cattive se ne sono sempre trovate.
2) Ogni beccaccia, dopo poco che si è acquartierata in un territorio (l’impaesata) diventa “cattiva”.
3) Intere stagioni con predominanza delle une e delle altre, si sono sempre avute.
Quello che non esisteva in passato invece, erano i social media su cui diffondere pareri, opinioni, bufale sino alle… cazzate immani!
Cerchiamo quindi di fare un po’ d’ordine.
A onore del vero debbo riconoscere che il fenomeno “beccacce più cattive della norma” l’ho riscontrato anch’io quest’anno. Con tantissimi episodi che, se non avessi l’esperienza che ho, mi avrebbero gettato nello sconcerto il più nero.
Gli è tuttavia che ho lungo, lunghissimo mestiere in quest’arte, e memoria buona oltre che ampie conoscenze di etologia animale, in generale e specialistica.
Quindi e già da subito, mi è rimasto davvero ostico digerire le miriadi di mirabolanti teorie e tesi formulate da sedicenti esperti da tastiera riguardo al cosa avrebbe fatto di colpo diventare cattive le beccacce.
Facciamo una sintesi delle più gettonate:
- Per forza sono cattive, la colpa è di chi va a cacciarle all’estero, e quando arrivano sono già “imparate” (così: l’estero e via andare…).
- I beeper e i satellitari: sono quelli gli strumenti diabolici che hanno reso le beccacce cattive (i satellitari? Strumenti che non fanno rumore? Ma ci torneremo).
- Se abbiamo ammazzato le “buone”, a riprodursi sono solo le “cattive” che quindi trasmetterebbero il “gene della cattiveria”.
- Troppa pressione venatoria (?) le ha rese scaltre, e dunque capaci di trasmettere il “gene della cattiveria” anche a quelle nuove.
Dite la verità, quante volte avete letto idiozie di tal fatta?
Vediamo quindi chiarir le cose punto per punto…
La caccia all’estero: l’area di nidificazione della beccaccia, è aumentata di almeno un terzo negli ultimi 30 anni, grazie alla massiccia forestazione di tutto il paleartico occidentale ed orientale. Ne deriva che parliamo di una specie che dalle Orcadi nidifica fino alle lande più remote nel Nord della Federazione Russa. Parliamo di circa 16 fusi orari e svariati paralleli.
La caccia all’estero, negli areali di nidificazione, è pressoché impossibile e per ragioni che spiegherò poi. I locali, quasi non le cacciano. Restano alcune agenzie che organizzano la caccia in ristrettissime aree delle Repubbliche Baltiche (Lituania, Estonia e Lettonia), e altrettanto poche nella Lapponia Svedese, che ospitano per lo più cacciatori italiani, in parte francesi e pochissimi spagnoli. La stagione è brevissima, dato che in condizioni normali dopo meno di due mesi al massimo dai primi arrivi, la partita è chiusa per freddo e gelo. I gruppi, sono strettamente contingentai per ragioni economiche e logistiche. Di quanti cacciatori beccacciai parliamo infatti? Pochissime centinaia, punto!
Non basta: in Paesi Bassi, Germania, Austria, Slovenia e parecchie zone della Svizzera, la beccaccia è chiusa. Chiu-sa! Cioè, non c’è nessuna, nessuna pressione venatoria e di alcun tipo sulla specie. Dove nasce, incluse Danimarca, Norvegia, Finlandia e tutto il Nord della Federazione Russa, è animale di nessun interesse per i cacciatori locali, oltre che pressoché inaccostabile di suo (poi, spiegheremo meglio).
Ora, è possibile che poche centinaia di cacciatori in un areale ristrettissimo influenzino il compartimento di un’intera specie selvatica distribuita su 3 continenti (arrivano anche in Africa del Nord)?
Beeper e satellitari: i primi esistono da un ventennio o giù di lì, i secondi da una decina d’anni e forse meno. Ora, seriamente qualcuno può affermare che una specie sia stata in grado di:
1) riconoscere uno strumento tecnologico in quanto tale, inserendolo nella lista dei pericoli per la sua esistenza stessa.
2) Imparare a difendersi al suo riguardo.
3) Trasmettere geneticamente i comportamenti atti alla difesa, il tutto in pochi lustri?
Il gene della “cattiveria”: prima, le si cacciava ovunque, i cacciatori solo in Italia erano 2.000.000 e non poco più di 500.000 (pochi dei quali beccacciai puri) come ora. La stagione finiva il 31 marzo (ora, massimo a febbraio chiude ovunque), ed era tradizione insidiarle proprio e soprattutto per il ripasso primaverile. E la si cacciava anche nei Paesi in cui è chiusa di cui sopra. Il tutto senza silenzi venatori, parchi, SIC e ZPS, aspetto mattutino e serale legalizzato incluso (la croule). Siate onesti: vi risulta che quelle padellate all’aspetto abbiano smesso di passare e trasmesso poi il gene del NON passaggio mattutino e serale alle altre?
La “troppa pressione venatoria”: prego, rileggersi al riguardo l’ultima nota relativa al “gene della cattiveria” e porsi un’altra, basilare domanda: perché se prima che si cacciava in di più e dappertutto e senza pausa, non trasmettevano nessun “gene della cattiveria”, mentre ora che le si caccia in di meno, per meno tempo, e in meno territorio invece… sì?
Insomma, è logico tutto questo, o piuttosto trattasi solo di scempiaggini da “bar del cacciatore”? Provo a rispondere nei dettagli…
In sintesi…
Apriamo quindi il campo alle logiche conclusioni procedendo in piena modalità Sherlock Holmes, vale a dire facendo nostro il celebre motto che vuole “eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità.” E va detto che quel che troveremo non è nemmeno improbabile, anzi!
Cosa quindi è impossibile?
Dico subito che è assolutamente impossibile che poche centinaia di cacciatori operanti in pochissimi e circoscritti territori rispetto alle estensioni globali, abbiano potuto causare cambiamenti radicali e addirittura trasmissibili geneticamente sul comportamento di una specie selvatica.
È altresì impossibile che una specie in quanto tale si sia fatta capace di eludere le leggi della genetica che richiedono centinaia di migliaia di anni per determinare cambiamenti significati in quanto tali, tanto da renderla addirittura esperta di devices tecnologici che, ad oggi, una gran parte di cacciatori non sa nemmeno cosa siano e come funzionino.
Così come è impossibile mettere in campo il fattore “pressione venatoria”, dato che come ampliamente dimostrato in termini locali assoluti e temporali, è assai minore di un tempo. E quindi?
Quindi, prima di procedere un’ulteriore domanda a mio avviso strategica: le avete mai cacciate dove nascono? Voglio dire, vi è mai capitato di incontrarne nei boschi dove sono nate e cresciute (per esempio, in Lapponia)? A me sì, e questo è il loro comportamento sintetizzato in un aggettivo: inaccostabili (o quasi)! Cioè, caratterizzate tutte da un comportamento identico a quello che ce le farebbe definire “cattive”.
Parliamo di beccacce “vergini”, che mai e poi mai hanno visto un cacciatore, un cane e i vari strumenti che caratterizzano la loro arte, dal campano, al beeper al satellitare e che eppure, definiresti tutte “cattive”!
E si comportano così perché sono… beccacce! Cioè, rusticissimi esseri adattati da decine di migliaia di anni d’evoluzione a sopravvivere nella natura più selvaggia, fra i mille pericoli che nasconde nella sua magnificenza. Cioè, creature che nel caso (essendoci nate e cresciute) del loro territorio conoscono tutto: da dove mangiare a dove bere, e infatti sono in pienissima salute e belle sveglie; sino a come e dove difendersi dai vari predatori che grazie ai loro sensi prodigiosi, individuano per tempo (se no, creperebbero) sapendo adottare tutte le strategie del caso atte ad eludere ogni tentativo che questi possono mettere in campo per far loro la pelle! E parliamo di gatti selvatici e volpi, lupi e ghiottoni, linci e altri mustelidi.
Qual è stata dunque la macro anomalia che può aver causato nelle beccacce alle nostre latitudini comportamenti subito da native o impaesate?
La dico schietta e senza tema di smentita: il clima!
Il fattore chiave: il clima!
Cosa ha caratterizzato infatti quest’anno dal punto di vista meteorologico-climatico, fattore basilare da sempre per determinare presenza, sosta e comportamento delle beccacce? Due elementi su tutti:
1) siccità prolungata (almeno in alcune zone)
2) sposata a predominanza di caldo e venti quasi sempre meridionali. Elementi che hanno portato il passo ad essere (come sempre) anomalo e a macchia di leopardo, con una buttata significativa i primi di novembre, cui sono seguiti più che altro spostamenti di beccacce più o meno localizzate.
Eccolo, quindi, il fattore su cui più di altri val la pena concentrarsi per capire bene la situazione, tutto riassumibile nel concetto di caldo anomalo. Palese fenomenologia capace di far sì che…:
- Le beccacce non sono arrivate stremate da lunghissimi voli a tappe forzate per sfuggire al gelo, tutt’altro! Possiamo anzi affermare che si è trattato di afflussi derivati da tranquilla migrazione a tappe, con calma, che le hanno fatte giungere nei nostri luoghi di sosta fresche e riposate. Cioè, iperattive.
- Il tutto poi, sposato al clima relativamente mite trovato anche in situ, che ha fatto sì che le beccacce, non dovendo utilizzare parte delle calorie ingerite per far fronte a un normale dispendio metabolico derivato dalla termoregolazione (che le renderebbe più “tonte”), fossero sempre belle cariche d’energia e vispe come vipere. Come fossero “locali”.
- Di più, assenza di vere e proprie burrasche e siccità, hanno determinato, per loro, anche la possibilità di avvedersi per tempo dell’arrivo nostro e dei nostri cani grazie ad assenza di vento (copre i rumori), il tutto che avveniva su tappeti di foglie secche e scricchiolanti nei quali era impossibile camminare senza far rumore, permettendo quindi loro di attuare tutte le strategie di occultamento di cui sono capaci, repentinamente e con accresciuta efficacia.
A dire che quest’anno, ci siamo trovati a fare i conti con beccacce “cattive” e “nervose”, solo per contingenti fattori climatici, quelli sì per certo anomali! E aggiungo addirittura, che coi cani lunghi che ci ritroviamo oggi, utilizzabili solo con beeper e satellitari, contrariamente a quel che possano pensare improvvisati, criticoni e sprovveduti, siamo spesso finiti per dare a beccacce tutte più “nervose” e “isteriche” un vantaggio non da poco, permettendo loro di svignarsela per tempo prima del nostro servizio ai cani, a quel punto spesso inutile!
E parlo dei cani bravi, specialisti. Cani che sanno leggere e scrivere. E ce ne sono pochi. A differenza dei leoni… da tastiera! Troppo, troppo spesso mossi da ignoranza, superficialità, invidia e altre bassissime pulsioni.
Salutandovi un invito: diteci la vostra…
PS. In ogni caso, l’unica via per diluire la pressione sulla specie, che come dimostrato non è mai stata così bassa come adesso a livello mondiale nonostante le apparenze, è quella di lavorare per il territorio e la stanziale nobile, ma questa è un’altra storia…