Non mi è mai piaciuto utilizzare appellativi a caccia: la beccaccia l'ho sempre chiamata beccaccia e mai regina o arciera, e durante la mia lunga permanenza in Styria (Austria), patria del cervo, ho imparato ad indicare l'ungulato con la parola tedesca Hirsch. Cervo, appunto. Non nego, però, che il più delle volte e lontano dalle mie abitudini mi è scivolato il sostantivo geist che potremmo tradurre come fantasma o spirito.
Ebbene sì, perché quando cerchi invano un animale di quasi due quintali per giorni interi e poi ti capita di trovartelo faccia a faccia, silenziosissimo e pressoché invisibile, viene spontaneo pensare ad uno spettro della Natura.
Oltretutto, non solo il patrono dei cacciatori Sant'Uberto ebbe la visione di una croce luminosa proprio tra i palchi di un cervo, ma lo stesso animale è presente anche nella mitologia di più popoli.
Il cervo rosso
Nel dettaglio, il cervo rosso (Cervus elaphus) con una lunghezza che può raggiungere i 250 cm, un'altezza al garrese di 100-150 cm e un peso di 90-200 kg, è l'ungulato più grande presente in Italia.
La femmina è notevolmente più piccola del maschio, ma le forme restano possenti e gli arti slanciati ne fanno un ottimo corridore, nonché saltatore.
Il mantello subisce delle variazioni nel corso dell'anno che coinvolgono sia la tonalità che la qualità del pelo: corto e bruno-rossastro in primavera-estate; fitto, lungo e grigio bruno in autunno-inverno.
I piccoli, fino al 6° mese circa, assumono un manto di colore rossiccio pomellato di bianco sul dorso.
I palchi, appendici formate da tessuto osseo, sono presenti solo nei maschi e vengono rinnovati ogni anno.
In marzo-aprile si ha la caduta del trofeo che si riforma nel corso dell'estate per ripresentarsi, poi, completo e privo di velluto, in agosto.
In esemplari ben sviluppati i palchi possono raggiungere i 100-130 cm di lunghezza, 12-14 punte e un peso compreso tra i 5 e i 10 kg. Non mancano tuttavia le eccezioni alla regola. Anche questa specie, come gli altri ungulati, ha risentito della pressione antropica a partire dal XVII secolo fino al secondo dopoguerra. Tuttavia, dalla metà del secolo scorso le immigrazioni di individui di popolazioni svizzere, slovene e austriache portarono questo animale alla ricolonizzazione delle Alpi cento-orientali.
Altre popolazioni, invece, comprese alcune della penisola centro-meridionale, sono frutto esclusivamente di reintroduzioni degli anni '50 e '60.
Per quanto riguarda la sua etologia, va detto che a parte qualche breve spostamento quotidiano, per disturbo o per necessità alimentari, il cervo è un animale sedentario con abitudini prevalentemente crepuscolari - notturne.
Egli ben si adatta a diverse tipologie ambientali, ma di certo l'habitat elettivo è quello costituito da vaste foreste, meglio se miste, intervallate da ampie radure e con scarso sottobosco in maniera tale da consentire rapidi spostamenti senza che vengano intralciati i movimenti.
L'home range si mantiene molto vasto e le incursioni notturne alla ricerca di cibo in aree antropizzate risultano essere sempre più frequenti.
A proposito di alimentazione, l'ungulato poligastrico è rigorosamente erbivoro e in grado di variare con estrema efficacia le capacità digestive in relazione alle disponibilità alimentari stagionali.
Non è particolarmente esigente dal punto di vista alimentare, ma orienta comunque la propria scelta verso una dieta basata soprattutto su elementi erbacei (60%) e apici vegetativi, rami, foglie e cortecce (40%), cercando il giusto compromesso tra le specie vegetali più nutrienti e l'effettiva disponibilità.
La neve, ove presente, limita parecchio la scelta alimentare che generalmente si riduce a corteccia e fronde di conifere.
Noti, inoltre, sono gli spostamenti stagionali dai quartieri estivi a quelli invernali che permettono di seguire le fasi fenologiche delle specie vegetali di interesse pabulare.
La strategia riproduttiva è molto affascinante.
In settembre/ottobre i maschi entrano a far parte del branco e, irrequieti, iniziano a bramire.
Un verso sicuramente molto suggestivo ed udibile anche a grandi distanze.
L'intensità di questa voce dipende dalla mole dell'animale e dalle sue condizioni fisiche: chi riuscirà ad intimorire con questi “scontri vocali” gli altri cervi sarà quello che avrà il maggior successo riproduttivo. Dopo 9 mesi le femmine si isolano nel bosco e partoriscono in genere un solo piccolo che durante le prime due settimane di vita rimane nascosto attendendo che la madre si rechi ad allattarlo. Allattamento che, complessivamente, durerà 3-4 mesi.
La caccia al cervo
Il più delle volte ho cacciato il cervo da altana o comunque all'aspetto; raramente, purtroppo, mi è capitato di cercarlo attivamente durante il periodo del bramito.
Dico purtroppo perché, e senza nulla togliere alle altre forme di caccia, la cerca è l'unica arte che ti mette realmente a tu per tu con questo selvatico.
È solo in quei pochi momenti che ti senti la pedina di un gioco alla pari, capace delle malizie più aguzze e dell'uso esasperato del sistema sensoriale. La marca dell'ottica così come l'impianto balistico in camera di scoppio vengono meno, ma al contempo, però, riaffiora l'eredità animale che ci portiamo dietro da millenni. Quando non lo vedi né lo senti, infatti, diventa necessario fiutare l'aria, stando comunque attenti a dove si mettono i piedi. Ci hanno sempre insegnato che la caccia di selezione agli ungulati serve per mantenere i parametri di sex e age – ratio ai valori naturali, sostituendoci ai grandi carnivori. E allora, per una volta, è giusto sentirsi per davvero dei predatori.
L'avvicinamento è simile a quello che si mette in pratica quando si caccia il cedrone.
Malgrado essi siano distratti e sebbene ciascuno di loro si stia impegnando nel trasmettere i propri gameti, rimangono comunque molto prudenti e pronti ad attuare qualsiasi strategia di fuga.
È necessario, quindi, pianificare minuziosamente l'itinerario evitando rumori o tratti scoperti.
In ogni caso, e per quanto si sia sicuri di far bene, l'imprevisto può sempre capitare.
Loro no, di solito non sbagliano.
Ma d'altra parte quella è pur sempre casa sua. Il tiro, proprio per l'ambiente di frequentazione e la tipologia di caccia adottata, non supera quasi mai i 200 metri. A dire il vero ne ho mirati anche a molto più lontano, ma non ho mai tirato. Sarà forse perché mi è sempre piaciuto sentirne l'odore?!
Tuttavia, data la mole mediamente importante si suggerisce una munizione con diametro di palla superiore o uguale ai 7 mm, derogando sulla famiglia dei .270, e un'energia che oscilla tra i 2500 e i 3000 joule a 100 metri.
Cito, a titolo d'esempio, gli europeissimi: 7x57, 7x64, 7x65R, 8x57, 8x68 e la famiglia dei 9.3; gli anglosassoni .308 Win, .30-06, .270 Win., 7 Rem. Mag., .300 Win Mag., etc.
Per le stesse ragioni, non è necessario che l'ottica abbia un alto valore di ingrandimenti.
Piuttosto meglio un variabile.
Decisamente adeguata e consigliata quella con buone caratteristiche di luminosità.
Potrebbero risultare eccellenti e versatili i Leica 1.5-10x42 e 1.8-12x50 illuminati, gli Zeiss 2-12x50 e 2.5-15x56, e altri.
L'arma per la caccia al cervo
Il parametro da prestare attenzione nella scelta della carabina stavolta non è certo il peso: lasciamolo a chi cacciando in alta montagna deve sorbirsi lunghe camminate.
Orienterei la scelta piuttosto verso un'arma elegante e compatta che sappia accompagnarmi tra il fitto rendendo il giusto onore a questa nobile arte.
Indicati possono essere anche i fucili express, a canne appaiate o sovrapposte.
Personalmente non ho mai avuto problema alcuno con una moderna straight pull caricata con le munizioni commerciali RWS in .30-06, palla senza piombo Evolution Green da 136 grani, che hanno sempre permesso abbattimenti puliti e danni alla spoglia irrisori, tant'è che le carni venivano immesse nella filiera alimentare locale con estrema soddisfazione da parte dello Schlächter, il macellaio di paese.
Una palla leggera direbbe qualcuno. È vero. Ma va tenuto in considerazione che la recente introduzione delle ogive prive di piombo ha imposto che vengano riscritti i sacri testi e fatto sì che alcune munizioni, ritenute obsolete, tornassero dal passato con una nuova voce in capitolo.