Qualche anno fa, durante un corso organizzato dall’Ordine dei Giornalisti all’Università la Cattolica di Milano, conobbi uno dei relatori il dott. Guido Alberto Rossi, fotografo di rilievo internazionale dalla grande esperienza professionale, che oltre ad aver documentato la guerra del Vietnam, la Formula 1, e tanto altro, è stato colui che, a bordo del suo velivolo, ha fatto conoscere le città italiane e mondiali attraverso la fotografia aerea pubblicata su gran parte dell’editoria dell’epoca. Il suo talento però non si limita solo alla fotografia; infatti, parlando del più e del meno, scopro che è anche un ottimo tiratore e appassionato di caccia grossa.
Ed è così che tra una sessione di tiro sulla distanza e una prova d’armi o di munizioni, finiamo a percorrere insieme, dalle Alpi agli Appennini, sentieri di caccia ai grandi e pregiati ungulati italiani.
Durante uno dei nostri momenti di condivisione, tra una chiacchiera e l’altra, Guido mi racconta di alcuni appassionanti momenti della caccia nel continente africano.
Quello che vi riporto oggi non è solo un racconto tecnico di caccia, ma un insieme di emozioni, sensazioni ed esperienze di vita che rendono la storia ancora più intrigante.
Ritorno in Africa alla ricerca dei Big Five
Nelle scorse settimane Guido si è recato in Zambia dove, accompagnato da alcuni amici, ha ripercorso quei territori a caccia di uno dei “Big Five” che poi sarebbero le cinque grandi prede classiche della caccia africana: elefante, leone, leopardo, bufalo e rinoceronte.
Quando si parla di caccia in Africa, si ricorre ad armi e munizioni che sono l’emblema della storia e della tradizione, e che godono di un posto iconico nel panorama mondiale. Oggi, nello specifico, parleremo del calibro 375 H&H, calibro che Guido conobbe nel 1986, grazie al consiglio del PH dello Zimbabwe Harry Beney con cui ha cacciato ben undici volte: altri quattro safari li ha poi effettuati in Tanzania.
Durante quest’ultimo viaggio africano, così come in passato, Guido ha portato con sé una delle sue carabine bolt action Sauer in 375 Holland & Holland, che acquistò dopo il suo primo safari a cui aveva partecipato con alcune carabine date in prestito dalla Beretta.
Guido è un ottimo tiratore, tra gli abbattimenti da record in una caccia di selezione alle antilopi ne fece cinque nel giro di pochi minuti, tanto che gli venne attribuito un bizzarro soprannome dalle guide locali.
Qual è stata la tua prima preda africana?
“Beh, ricordo che è stato uno gnu, mentre la più grossa un elefante”
Quali altri animali hai cacciato?
“Impala, kudu, sable, bushbuck, facocero, bushpig, eland, coccodrillo, waterbuck, leone, bufalo”
Quali sono state le caratteristiche principale delle palle utilizzate nelle tue munizioni in relazioni alle prede?
“Su bufali ed elefante ho sempre usato le palle solide mentre per le antilopi, leone e coccodrillo le soft nose”
Che ottica adoperi sulla tua carabina Sauer 90?
“Ho un cannocchiale Zeiss Diavari-Z zoom 1,5- 6X 42 tarato a 100 mt. Sui bufali, che è la preda fatta in maggioranza, la distanza media di tiro è stata tra i 40 e 70 metri quale tiro più lungo. Il mio Sauer in 375 H&H ha caricatore da 3 e 4 colpi, in tanti decenni d’utilizzo non ha dato mai alcun problema, la goccia d’avorio nel grip è del primo elefante che feci”.
So che hai fatto oltre 50 bufali durante i tuoi anni di caccia in africa. Ce n’è qualcuno che ti è rimasto impresso?
Sì, e se permetti vi voglio raccontare la sua storia.
Long John Silver
Con Harry Beney, credo che fossimo al settimo safari e ormai da tempo era caduta quella barriera tra cliente e Professional Hunter. Eravamo per lo più due amici che si godevano l’Africa e la cosa che più ci piaceva della caccia africana: i bufali! Ne avevamo già cacciati molti insieme e spesso quando li vedevamo, anche per identificare quello a cui sparare, gli davamo un soprannome. E così quel giorno quando abbiamo incontrato il grosso maschio con la faccia imbiancata dal fango secco, lo chiamammo John Long Silver. Long per via delle corna (poco oltre il metro e cinquanta, risulterà il secondo miglior buffalo di quell’annata cacciato Zimbabwe) e Silver per la faccia bianca quasi argentea. Era dall’alba che correvamo dietro alle sue orme, poi verso le undici, lui e i suoi due compagni hanno pensato bene di unirsi ad una mandria e qui sono incominciati i problemi: un sacco di animali grandi e piccoli con tanti occhi, nasi ed orecchie, per non menzionare i petulanti uccelletti che danno l’allarme e che al minimo rumore sospetto fanno scappare tutti al galoppo.
Così è stato per ben altre due volte e ormai la speranza di riuscire ad avvicinare il branco erano pari a zero e così Harry pensa ad una strategia diversa: “Lasciamoli stare, poi verso le quattro del pomeriggio dovranno andare a bere e se riusciamo a tagliarli la strada, abbiamo una buona possibilità di tendergli un’imboscata”. Detto fatto: c’erano tre piste che portavano al fiume e bisognava ovviamente essere su quella giusta. Mandiamo Bembeto, magico tracciatore, in scouting e dopo un po' torna con la risposta giusta: abbiamo abbastanza tempo per trovare un posto con un minimo di vegetazione che ci nasconda e che al tempo stesso mi dia un buon angolo di tiro. Sarà un tiro frontale al petto, sempre che Long John Silver sia in testa alla mandria, come dovrebbe essere, ma sappiamo tutti che a caccia il dovrebbe spesso diventa doveva. Invece va proprio come da programma: lui è in testa con a fianco altri grossi maschi e avanza verso di noi seguito da forse altri 80 animali.
Ho il .375 con il cannocchiale posizionato sul fattore di zoom 4X comodamente appoggiato allo stick. Aspetto che il bufalo arrivi al di sotto dei settanta metri e sparo. Colpito! Confusione generale e tutta la mandria arretra di circa 150 metri. Harry mi dice “Corri, andiamo più vicino!” Incredibile, siamo quattro fragili umani davanti ad un muro di muscoli e corna che potrebbero senza sforzo, trasformarci in hamburger ed invece ci guardano curiosi. Guadagniamo quei metri che servono, posiziono lo stick e tiro il secondo colpo, anche questo giusto in mezzo al petto. Replay di prima, tutti scappano poco più indietro e ci guardano. Harry mi chiede tra il serio e lo scherzo se ho sparato a quello giusto, gli rispondo scherzando: “Non so, erano tanti forse due li ho colpiti.” Vedo con la coda dell’occhio che non ci crede, mentre camminiamo verso la mandria che ci guarda, a questo punto un po' nervosa, e decide di fare dietro front e scappare al galoppo, mentre Long John Silver ed i suoi due compagni decidono di rompere a destra nella rada boscaglia. Tiro il terzo colpo, che è in movimento, ma ormai molto lento e lo rallento ulteriormente, tolgo il cannocchiale dalla carabina e accorcio la distanza a una trentina di metri dove sparo il quarto e il quinto colpo con cui stramazza, i suoi compagni scappano e lui nonostante tutto, scalcia e cerca di rimettersi in piedi. Mi avvicino a una decina di metri e sparo il sesto ed ultimo colpo al collo. Il tutto praticamente dall’alba al tramonto.
Il calibro .375 Holland & Holland
La cartuccia protagonista del nostro racconto rappresenta uno degli ultimi lampi di colonialismo oplologico. Fu infatti presentata nel 1912 dall’azienda londinese Holland & Holland come calibro per caccia in Africa e nelle colonie, specificamente progettato per l’uso in carabine a otturatore girevole-scorrevole. Nato come contraltare al calibro tedesco 9,3X62 presentato dalla Mauser pochi anni prima, il .375 H&H riscosse un lusinghiero successo che dura ancora oggi.
A oltre cento anni dalla sua presentazione, rappresenta il culmine delle cartucce per caccia ad animali dalla pelle spessa e pericolosi e sicuramente è uno dei calibri “africani” più versatili.
Introdotta sul mercato con la denominazione completa di .375 Belted Rimless Nitro-Express, fu la seconda munizione ad essere proposta con una struttura del bossolo priva di collarino, ma dotata di un risalto anulare a cintura (belt) che aveva il compito di garantire il corretto head space. Altra peculiarità della cartuccia originale era il caricamento con cordite sotto forma di filamenti. Questo tipo di propellente infume, più efficiente della polvere nera, conferiva alla cartuccia un notevole energia ma era anche molto sensibile al calore ambientale, che in casi estremi (ma non improbabili in Africa) provocava un aumento di pressione potenzialmente pericoloso. Per questo motivo i tecnici della Holland & Holland decisero di dare al .375 una pressione di esercizio relativamente bassa e una crimpatura della palla leggera, in modo da garantire una cameratura e un’estrazione assolutamente affidabili, anche in caso di notevoli variazioni delle temperature. Questo contribuì certamente alla reputazione di cartuccia eccezionalmente affidabile che circonda ancora la cartuccia 375 Holland & Holland.
Guardiamo un po’ di cifre: la .375 Belted Rimless Nitro-Express monta una palla dal diametro di .375 millesimi di pollici pari a 9,5 millimetri su un bossolo a bottiglia dalla lunghezza di 2,85 pollici che corrispondono a 72,39 mm. La lunghezza della cartuccia completa è di 3,60 pollici (91,44 mm). L’innesco è di tipo Large Rifle.
Ancora oggi il .375 Holland & Holland è prodotto commercialmente da numerose aziende come RWS, Sako, Federal, Norma e Hornady e altre, con un range di pesi di palla che vanno da 235 a 350 grammi e un’energia alla bocca prossima ai 6.000 joule.
Anche l’elenco delle carabine a ripetizione manuale e basculanti prodotte industrialmente e camerate in .375 Holland & Holland è lungo. Oltre alla già citata Sako con i modelli 90 e 100, Mauser con il modello 03, CZ con la 550, Sauer con il modello 90 e il 02, Ruger con l’M77 African, tutte bolt action. Per quanto riguarda gli Express possiamo menzionare il Sabatti Safari Big Five, il Krieghoff Classic, oltre al leggendario Royal di Holland & Holland.