Prima di entrare nel merito della gestione ambientale vorrei personalmente fare una doverosa e spero condivisa premessa sul perché dell’importanza di questo tema spesso da me ripreso. La selvaggina naturale, ovviamente stanziale, è un obbiettivo irrinunciabile per il futuro della caccia e soprattutto della cinofilia. Oggi la beccaccia investe suo malgrado quasi la totale attenzione di coloro che vogliono confrontarsi con un selvatico cacciando con il cane da ferma. Ma è logico e soprattutto conveniente attendere esclusivamente qualche sempre più rara perturbazione che porti un selvatico di passaggio o svernante nei nostri territori per avere la possibilità di qualche incontro poche settimane all’anno? Non sarebbe cosa auspicabile e ben più normale impegnarsi per cercare di veder migliorare e aumentare i numeri della selvaggina stanziale che ha fatto per decenni la storia della caccia e della cinofilia nel nostro paese? Avere dei selvatici sul territorio è cosa naturale anche se da anni in molti sono abituati a non pensarlo o sperarlo più; ciò che non è naturale è non averli o accettare di rinunciare ad un impegno serio sul campo per poterli mantenere. Non solo. Come possiamo pretendere di avvicinare i giovani alla caccia e vedere un futuro se non riusciamo a garantire le emozioni provocate dall’incontro con un selvatico proponendo loro dei surrogati? Ne deriva una sorta di parodia della caccia. Infatti si ripetono costantemente scene di triste e fantozziana memoria che vedono annualmente tanti cacciatori concentrati nei medesimi luoghi in cui è nota la presenza di selvaggina immessa nei primi giorni della stagione. Possiamo immaginare un ragazzo insonne all’alba dell’apertura sapendo che dovrà attraversare campi arati e deserti o al massimo che dovrà correre per contendersi i pochi animali immessi prima che vengano cancellati in poche ore? Io credo di no. Cinghiali, lupi e ungulati ci dimostrano che condizioni ambientali favorevoli portano alla moltiplicazione dei selvatici e al loro naturale irradiamento. Dunque cerchiamo di capire quali possono essere le caratteristiche ambientali che possono restituirci una degna selvaggina stanziale oggetto di cinofilia e selezione cinotecnica. Porterò in oggetto le tesi e gli esperimenti condotti sul campo del Dott. Francesco Santilli, tecnico faunista di esperienza decennale, autore di manuali di gestione della piccola selvaggina. Cercheremo attraverso i suoi approfondimenti di individuare le cause del declino della selvaggina stanziale per poi passare alle soluzioni attuate in alcuni comprensori partendo con l’analisi della specie fagiano in questo appuntamento, per poi tornare a parlare separatamente delle altre specie note come la lepre, la starna e la pernice rossa.
Il problema degli ambienti agricoli
(A cura del dott. Francesco Santilli)
I cambiamenti delle tecniche di coltivazione che sono avvenuti negli ultimi decenni hanno causato una drastica riduzione della biodiversità animale negli ambienti agricoli.
Le principali trasformazioni riguardano l'aumento delle dimensioni degli appezzamenti, la diffusione della monocoltura, la forte riduzione dei margini erbosi e delle siepi campestri, il massiccio utilizzo di diserbanti ed insetticidi ed una generale riduzione della copertura erbacea. In sintesi una forte semplificazione del paesaggio agrario.
Nelle aree marginali invece si è registrato un massiccio abbandono delle coltivazioni accompagnato dalla riconquista di queste superfici da parte del bosco.
La conseguenza di queste profonde trasformazioni è stata una preoccupante diminuzione delle specie animali tipiche degli ambienti agricoli. In molti casi la perdita di biodiversità degli agro-ecosistemi non sembra essersi arrestata come testimoniato dall'andamento negativo dell'avifauna tipica di questi ambienti. Diserbanti ed insetticidi infatti interrompono la catena alimentare che consente a molte specie di avifauna (galliformi in primis) di soddisfare i propri fabbisogni proteici in particolare nelle prime settimane di vita. Per queste specie infatti proteine significa principalmente insetti. I diserbanti ad esempio eliminano le erbe infestanti di cui si nutrono molti insetti determinando quindi una carenza proprio nel periodo di maggior fabbisogno. Si tratta di un aspetto di cui dobbiamo tenere conto quando progettiamo un intervento di miglioramento ambientale soprattutto in una zona ad agricoltura intensiva. Premesso questo, un esame attento e rigoroso di tutte le ricerche in campo faunistico ed agro-ecologico, ha messo in evidenza che soprattutto per quanto riguarda avifauna e piccola selvaggina ciò che è determinate è la “struttura dell’habitat” ossia la varietà delle colture, la dimensione degli appezzamenti, la presenza di elementi fissi del paesaggio come siepi, bordure, gruppi di alberi ed arbusti ecc. che potremmo definire in due parole come spazi semi-naturali. Solo in questo modo è infatti possibile fornire agli animali risorse alimentari sufficienti in ogni periodo del ciclo vitale, luoghi di rifugio e nidificazione. In molti casi il passaggio ad un regime di agricoltura biologica certificata senza però alcuna modifica della struttura dell’habitat, specie per quanto riguarda le dimensioni degli appezzamenti, non è in grado di determinare alcun significativo aumento per le specie tipiche dell’habitat agricolo.
Da un punto di vista alimentare, oltre al problema degli insetti, per i galliformi e gli altri granivori, dobbiamo anche rimarcare che il moderno paesaggio agricolo determina in molti casi anche una carenza di semi soprattutto dalla fine dell’inverno a tutta la primavera. Un tempo infatti molti cereali (soprattutto orzo ed avena) venivano seminati in primavera, inoltre le stoppie mantenute per tutto l’inverno erano un’ottima fonte di semi di piante spontanee. Si tratta di un problema molto serio, perché in questo periodo le femmine (fagiano, starna ecc) devono accumulare delle riserve adipose indispensabili per affrontare l’incubazione delle uova, perché in quel momento riducono enormemente l’ingestione di alimenti. Un femmina di fagiano che arriva alla riproduzione senza le necessarie riserve, rischia di non riuscire a portare a termine l’incubazione e/o l’allevamento dei pulcini. In queste fasi del ciclo biologico, gli animali in condizioni di scarsa forma fisica, hanno molte più probabilità di venire predati.
Agricoltura sostenibile e piccola selvaggina
(A cura del Dott. Francesco Santilli)
Per avere una agricoltura sostenibile che preservi o ripristini buoni livelli di biodiversità e che sia favorevole alla piccola selvaggina occorre favorire una maggiore diversificazione delle colture e quindi un ritorno alle vecchie rotazioni colturali. Si tratta di una opzione già prevista dalle nostre politiche agricole attraverso la “condizionalità”, ma che andrebbe ulteriormente incentivata anche perché le rotazioni riducono la necessità di ricorrere ai fertilizzanti ed ai pesticidi. Da un punto di vista della biodiversità (e quindi della selvaggina) inoltre è importante che ci siano colture diverse non solo come specie, ma anche per struttura e funzionalità (tempi diversi di semina, maturazione e raccolta….). L’altro aspetto fondamentale sono gli spazi semi-naturali un tempo rappresentati da maggesi, siepi, filari e boschetti. Se ritornare ad una agricoltura di tipo promiscuo fatta da appezzamenti di piccola dimensione è improponibile, si possono però mettere in campo tanti accorgimenti molto utili a partire da un ritorno del set-aside. Una certa percentuale di campi incolti (ma gestiti con pochi e mirati interventi) per un periodo di uno o due anni si è dimostrato molto favorevole per diverse specie dell’ambiente agricolo. Questi appezzamenti possono essere realizzati a partire dalle stoppie di una coltura cerealicola che già di per sé sono un habitat importantissimo per molte specie. È stato calcolato che con un 10% di stoppie è possibile fermare il declino dell’allodola.
Sono possibili anche degli accorgimenti per migliorare la presenza di insetti utili per l’alimentazione dell’avifauna. Il più importante è quello denominato “conservazione dei margini campestri” (Conservation headlands) (Fig. 4). Si tratta di una misura agro-ambientale messa a punto in Inghilterra negli anni ’80, con lo scopo di favorire la presenza di erbe a foglia larga e insetti lungo i bordi degli appezzamenti dei cereali. Si tratta di evitare l’uso di diserbanti ed insetticidi per una fascia di 6 metri dal margine dell’appezzamento. Questa misura è molto utile per i piccoli dei galliformi perché mantiene una elevata densità di insetti per i pulcini proprio nella fascia di campo maggiormente frequentata dalle nidiate. Gli esperimenti effettuati hanno chiaramente dimostrato che questo accorgimento consente una sopravvivenza doppia dei pulcini di starna rispetto alle aree dove si fanno trattamenti chimici su tutto l’appezzamento.
Le opportunità della nuova PAC
L’UE ha messo in campo con la nuova PAC (2023-2027) delle misure per la tutela della biodiversità delle aree agricole. Fra queste la principale è quella degli Eco-schemi cioè dei pacchetti di misure agro-ambientali che prevedono dei finanziamenti per chi li mette in pratica sui propri terreni. Per quanto riguarda il nostro paese, il MIPAAF non ha previsto interventi specifici per la tutela della fauna selvatica. L’unica misura di un certo interesse è quella delle colture per gli impollinatori (Ecoschema 5). Si tratta di un sostegno (fino a 500€/ha) per quegli agricoltori che destinano una parte dei propri terreni per coltivare miscugli di piante erbacee che attirano questo tipo di insetti. Questi appezzamenti possono essere molto attrattivi anche per le specie avicole soprattutto per la nidificazione ed allevamento dei piccoli. Tuttavia tale misura è conveniente per le aree collinari e marginali, ma difficilmente verrà applicata nelle aree ad agricoltura più intensiva cioè dove sarebbe più necessaria.
L’aspetto più interessante ed utile della PAC è invece quello che va sotto il nome di condizionalità rafforzata. Significa che l’agricoltore che vuole avere accesso a qualunque tipo di finanziamento UE deve rispettare obbligatoriamente nove BCAA (“Buone condizioni agronomiche e ambientali”) CGO (Criteri di Gestione Obbligatori).
Fra le BCCA di maggiore interesse ci sono:
BCAA 3 Divieto di bruciare le stoppie;
BCCA 4 Introduzione di fasce tampone: Si tratta di rispettare il divieto di distribuire fertilizzanti e agrofarmaci sui terreni adiacenti ai corsi d’acqua. Tale fascia è definita “fascia di rispetto/tampone” e ha un’ampiezza pari a 3 metri. La larghezza della fascia di rispetto aumenta se sul Piano d’azione dei nitrati o nell’etichetta di prodotto del fertilizzante usato, sia stabilita una larghezza superiore.
Prevede inoltre la costituzione (ovvero la non eliminazione) di una fascia stabilmente inerbita spontanea o seminata di larghezza pari a 3 metri, adiacente ai corpi idrici superficiali di torrenti, fiumi o canali, è definita “fascia inerbita. Date le risorse disponibili (economiche e professionali) un ATC non può intraprendere iniziative di miglioramento ambientale su larga scala che oltretutto sono di competenza di altri enti. Il mondo venatorio, in questo senso, si può fare solo portatore di interesse di una agricoltura più compatibile con le esigenze della fauna selvatica.
Le colture a perdere per i galliformi
Le colture a perdere sono il più comune intervento messo in campo, ma molto spesso hanno un effetto modesto se non nullo sulla selvaggina in quanto non riescono a incrementare le risorse alimentari e/o di nidificazione. Il più delle volte sono realizzate con semi di cereali comuni come grano, orzo, sorgo, saggina ecc). Il campo si saggina è la coltura più comune perché veniva largamente utilizzata nelle riserve di caccia. Infatti, almeno se ben coltivata, è utile per creare un habitat per trattenere i fagiani all’interno di questi istituti e favorire la caccia a questa specie, ma non ha quasi alcun effetto sulla sopravvivenza e sul successo riproduttivo. I cereali invernali invece possono al massimo fornire un po’ di semi, ma ciò avviene quando le risorse alimentari di norma non sono un problema (estate). Inoltre i cereali invernali sono seminati spesso in modo troppo denso per essere utilizzati come rifugio sicuro dai predatori.
Di gran lunga preferibile è l’utilizzo di miscugli ad hoc in grado di fornire semi in modo scalare e fornire un buon habitat per la nidificazione e l’allevamento dei piccoli grazie alla buona presenza di insetti. Un modo semplice per superare questi inconvenienti è quello di non lavorare annualmente i campetti a perdere, ma lasciarli in campo anche per l’anno successivo.
L’alimentazione supplementare dei galliformi
Generalmente il foraggiamento artificiale della fauna selvatica è visto come una pratica che tende ad alterare il rapporto fra una specie ed il suo ambiente. Se ciò è vero per gli ungulati, tale considerazione non può essere utilizzata per i galliformi degli ambienti agricoli. Infatti in questo caso, l’alimentazione supplementare serve a supplire a delle carenze create dalle modifiche dell’ambiente e delle tecniche agricole. L’aumento dell’incolto, la mono-oligo-coltura e soprattutto la riduzione delle semine primaverili, crea un periodo di vuoto alimentare per i granivori che può compromettere la riproduzione. Infatti sappiamo ad esempio che una femmina di fagiano consuma durante l’incubazione quasi tutte le sue riserve adipose. Se all’inizio della stagione riproduttiva non ha accumulato una sufficiente quantità di grasso avrà difficoltà a portare in fondo la cova e/o l’allevamento dei piccoli. Soprattutto, in caso di fallimento della prima covata, avrà grosse difficoltà a farne una di sostituzione.
Per essere efficace, il foraggiamento supplementare deve essere intensivo. Idealmente ogni harem di fagiano o coppia di pernici dovrebbe avere la sua mangiatoia rifornita costantemente da metà inverno fino a primavera inoltrata. In questo modo le femmine che hanno fallito la prima covata (per maltempo o predazione) avranno maggiori possibilità di farne una di sostituzione.
Le mangiatoie inoltre dovrebbero essere inarrivabili a specie depredatrici come cinghiale o istrice.
L’alimentazione supplementare ha inoltre il vantaggio di ridurre la possibilità di essere predati. Infatti il minor tempo dedicato a soddisfare i propri fabbisogni nutrizionali riduce il rischio di essere individuati dai predatori. Le mangiatoie pensili sono molto semplici e poco costose ma poiché hanno una capacità non molto elevata devono essere rifornite spesso. Strutture più complesse e coperte possono essere corredate di una tramoggia o di un contenitore in grado di contenere quantità maggiori di granaglie.
Si tratta di una pratica efficace e poco costosa che può essere svolta facilmente a livello di volontariato. Ad es. un gruppo di cacciatori si può organizzare per realizzare e rifornire una rete di mangiatoie di una ZRC. Come appare chiaro dagli studi e dagli esempi riportati, avere un territorio migliore è possibile seppur impegnativo, richiede interazione fra mondo venatorio e agricolo, coinvolgimento, conoscenza e passione; requisiti necessari ai cacciatori che vogliono vedere compiersi in un orizzonte di senso il domani della cinofilia e della caccia.