Filiera delle carni di selvaggina. Cacciatori produttori primari di carne. Si può fare…

Si è svolto a Foligno il terzo Congresso Nazionale “Filiere delle carni di selvaggina selvatica” organizzato dalla Società italiana di ecopatologia della fauna (Sief), dall’Associazione italiana veterinari igienisti (Aivi) e dall’Associazione degli Istituti zooprofilattici sperimentali. L'evento ha visto la partecipazione di docenti e ricercatori universitari, medici del Servizio veterinario di aziende Usl e di istituti zooprofilattici provenienti da tutta Italia che hanno messo a confronto le loro esperienze.

Patologie emergenti, croniche e Peste suina africana (Psa)

I veterinari presenti hanno riportato ancora la presenza nel territorio della tubercolosi e della trichinellosi nel cinghiale. Anche l’epatite E che appare diffusa, come evidenziano i report dei monitoraggi ottenuti grazie ai prelievi eseguiti anche dai cacciatori. Quest’ultima è cronica nel cinghiale, dunque un vero problema, in particolare per determinati insaccati che non vengono sottoposti a cottura.

Presentazione standard di PowerPoint
Il logo del III Congresso Nazionale “Filiere delle carni di selvaggina selvatica”, a Foligno (Pg).

Vincenzo Caputo, commissario straordinario alla Peste suina africana, ha sottolineato l’importanza dei cacciatori (definiti “bioregolatori”) per debellare il virus. Come è noto l’ondata epidemica di Psa ha raggiunto l’Italia il 7 gennaio 2022, con la conferma di positività al virus in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel comune di Ovada (Al). Poi anche nelle province di Genova e Savona, quindi a Roma e in provincia di Rieti. Successivamente, anche in un allevamento suinicolo della tipologia semibrado, a Roma. Fino al rilevamento del virus in Piemonte, in Italia la malattia era presente unicamente in Sardegna dal 1978, ma si trattava di un virus completamente diverso da quello che invece attualmente si stima che provenga prevalentemente dalle attività dell’uomo, come l’abbandono nell’ambiente di resti di alimenti a base di carne suina non controllati e provenienti da Paesi infetti e il trasporto del virus mediante mezzi di locomozione e movimentazioni degli animali selvatici (cinghiali). In Piemonte e Liguria il “fronte” è in lenta ma progressiva espansione sui versanti est e ovest delle zone di infezione primarie. Ciò determina la continua rimodulazione delle zone di restrizione. Attualmente sono 755 i casi di Psa nel cinghiale tra tutte le quattro regioni coinvolte, in particolare nella provincia di Alessandria, e 5 i focolai che interessano gli allevamenti dei suini, uno in Lazio e quattro Sardegna. Federcaccia, proprio in questi giorni, segnala “una carcassa di cinghiale infetto rinvenuta a Cardeto, in provincia di Reggio Calabria, due nuovi casi registrati su due carcasse di cinghiali al parco dell'Insugherata e a Casal del Marmo a Roma” (www.federcaccia.org/psa-disponibilita-e-buona-volonta-non-sono-sufficienti/). 

Le carni di selvaggina rappresentano una risorsa unica. Si tratta di carni di massima salubrità, ottenute nel pieno rispetto dell’etica venatoria e del benessere animale con il più elevato rispetto ambientale. 

Dunque, la guardia deve essere tenuta bella alta e la gestione espressamente finalizzata alla riduzione delle densità del cinghiale, calibrata per gli specifici contesti e da perseguire attraverso la diffusione e l’incremento di tecniche a basso impatto (tiro selettivo e girata), in grado di evitare o minimizzare l’aumento della mobilità degli animali. E, naturalmente, spetta ai cacciatori la raccolta di campioni di sangue e diaframma dagli animali cacciati in zona non infetta, mentre dai capi abbattuti in zona infetta è fatto obbligo di conferire campioni di sangue, milza e muscolo diaframmatico di tutti i cinghiali cacciati, di ogni categoria ed età.

In questa fase, pur rimarcando come fa Federcaccia la necessità di snellire le pratiche burocratiche, i cacciatori sono davvero il “braccio armato” contro la Psa, avendo quasi ovunque incrementato l’attività di controllo, nonostante poi la cessione della carne non porti vantaggi diretti se non per i due capi (sani) che vengono lasciati al singolo operatore per autoconsumo, mentre il guadagno della vendita va agli ATC o ai Ca per la gestione dell’attività.

Le esperienze delle regioni

Da sinistra, il commissario straordinario alla Psa del ministero della Salute, Vincenzo Caputo, il responsabile scientifico del congresso David Ranucci e Salvatore Macrì, dirigente servizio prevenzione sanità veterinaria della regione Umbria.

La questione economica si rivela di fondamentale importanza anche per dare finalmente corso a una filiera organizzata della carne di selvaggina in tutta Italia. Intanto vale la pena ricordare che sono 11 le regioni italiane che hanno sottoscritto le “Linee guida in materia di igiene delle carni di selvaggina selvatica” approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 25 marzo 2021: Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. A due anni di distanza è stato già possibile mettere a confronto le differenti esperienze regionali di applicazione delle linee guida nazionali. Quasi tutti gli intervenuti hanno rimarcato l’importanza di un “glossario” per unificare il linguaggio.

Giorgio Briganti, dell’Asl Sud-Est Toscana, ha tracciato tutto il percorso del controllo ufficiale delle carni di selvaggina cacciata, soffermandosi sul ruolo del cacciatore formato che a tutti gli effetti diviene un operatore del settore alimentare (osa), cioè produttore primario della carne di selvaggina. Nel 2021 sono stati abbattuti circa 7 mila ungulati, dei quali commercializzati appena l’8,18%, dato in crescita, ma non ancora sufficiente, né rappresentativo della realtà.

Mario Chiari, dell’unità operativa veterinaria della regione Lombardia, ha illustrato lo schema operativo dell’introduzione dei capi abbattuti in filiera che compete a cacciatori non formati e a “persone formate” con differenti destinazioni delle carni, e che prevede 31 Centri di lavorazione carne di selvaggina in tutta la regione. La fornitura diretta di “piccoli quantitativi” in Lombardia, agli esercizi di commercio al dettaglio, incluse le attività di ristorazione, deve avvenire attraverso un Centro di lavorazione e la cessione della carne è possibile solo quando le operazioni di caccia siano state condotte da o con l’assistenza di una “persona formata” che sottoscriva la modulistica prevista.

Dal luglio 2022 al gennaio 2023 in Lombardia sono stati abbattuti 1.607 cinghiali in controllo, 5.714 in selezione e 5.013 in caccia collettiva, dunque la filiera è un’opportunità reale. La nota di assoluta importanza è che regione Lombardia ci crede e ha predisposto 3 bandi e stanziato oltre 1,1 milioni di euro per la realizzazione e la riqualificazione dei centri di lavorazione della selvaggina e dei centri di sosta della fauna selvatica abbattuta (sono stati finanziati 11 progetti).

Macellazione di alcuni cinghiali. L'attenzione nei confronti della Peste suina africana non deve essere abbassata.

Piero Macellari, dirigente dell’Asl 1 Umbria, ha descritto la situazione nella sua regione che conta quattro centri di lavorazione selvaggina e tre centri di raccolta, circa 22 mila abbattimenti di cinghiale eseguiti prevalentemente da una trentina di squadre sul territorio e appena 88 capi avviati alla commercializzazione. Sostiene che i cacciatori sono divisi e che una parte più resistente alle novità non vuole cambiare, che ci sono punti di vista opposti per autoconsumo all’interno della categoria e che è difficile applicare il limite per autoconsumo nel caso degli abbattimenti selettivi. Si dovrebbe rendere più attraente dal punto di vista economico la filiera e ridurre le procedure burocratiche, ma predisporre comunque percorsi di aggiornamento per i cacciatori. La regione ha previsto contributi per facilitare la realizzazione di Centri di raccolta e Centri di lavorazione.

Vincenzo Veneziano, docente di parassitologia e malattie parassitarie degli animali all’università Federico II di Napoli, ha descritto la situazione della Regione Campania al posto di Paolo Sarnelli, dirigente del servizio veterinario della regione. Ha descritto l’opera di “evangelizzazione” svolta in oltre 100 incontri con i cacciatori, per educarli e responsabilizzarli. Ma anche quella che impiega veterinari “porta a porta” per lavorare con i capicaccia.

Giorgio Filipponi, della direzione servizi veterinari della regione Marche, ha sottolineato i concetti di Onehealth e di tutela della biodiversità, ma anche la necessità di aumentare del 50% gli abbattimenti annui. Sui 15.742 abbattimenti dichiarati, appena 653 vengono commercializzati, mentre per la parte consistente si tratta di autoconsumo: è un dato che fa riflettere e dovrebbe imporre soluzioni per l’emersione del “nero”. La regione ha stabilito di incentivare l’attività di prelievo, soprattutto nelle aree dove il rischio Tbc è alto (Ancona-Macerata), riducendo tutti i costi a carico dei cacciatori.

Luca Orlando, della direzione servizi veterinari della regione Piemonte, ha sottolineato il forte problema Psa in Piemonte, a causa del quale è stato dato mandato di abbattere il 90% dei cinghiali nelle zone di restrizione e l’80 nelle zone indenni, purtroppo disatteso. Ha rimarcato come si sia creata una forma di competizione tra le squadre di cacciatori di cinghiale e i proprietari di fondi e anche gli operatori del controllo, ai quali viene contestata la possibilità di cacciare di notte. Nel 2022 sono stati abbattuti 29.999 cinghiali, solo 1.421 sono transitati da un centro di lavorazione delle carni. È stato previsto di incentivare la cessione diretta di piccoli quantitativi agli esercizi locali, mappare i centri di raccolta e censire i cacciatori formati, colmare il mismatch tra domanda e offerta di carni di selvaggina a livello territoriale.

Giovanni Dell’Orfano della direzione servizi veterinari della regione Emilia-Romagna e Sonia Braghiroli della direzione agricoltura, stanno lavorando su una bozza guida oltre l’intesa Stato-regioni, in cui si eliminano le tariffe per le analisi per la ricerca della Trichinella e snellito le pratiche per la fornitura diretta di piccoli quantitativi, purché i capi siano esaminati da persone formate. Nel 2022 in Emilia-Romagna sono stati abbattuti circa 23 mila cinghiali tra caccia e controllo e i cacciatori iscritti agli ATC sono circa 29 mila e rappresentano un potenziale molto importante.

Il convegno non è stato solo “scientifico”: il ricercatore Dario Sigari ha trattato dell'arte degli animali selvatici nella preistoria che racconta la millenaria relazione tra esseri umani e ambiente e dunque anche la caccia.

Filiera: quanto conta il “vil denaro”?

Francesco Marchetti, presidente Urca Macerata, durante l’inaugurazione del Centro raccolta e lavorazione carni di selvaggina di Serrapetrona (Mc).

Anna Gaviglio, del dipartimento di Medicina veterinaria e scienze animali dell’università di Milano ha offerto una visuale economica sulle potenzialità della filiera per quanto riguarda la commercializzazione del cacciato. L’obiettivo è quello di portare sulle tavole, non solo dei cacciatori, carni di massima salubrità, ottenute nel pieno rispetto dell’etica venatoria e del benessere animale con il più elevato rispetto ambientale. C’è richiesta per questo tipo di carne, che è un prodotto tradizionale italiano, ma oggi viene per lo più importata. Gli impedimenti sono costituiti da una legge nazionale frammentata a livello locale, dal fatto che la caccia non è considerata una filiera agroalimentare nemmeno dai cacciatori che sono gli unici garanti della qualità del processo: in economia senza informazioni sul prodotto, si applica il principio di precauzione, per cui la carne non raggiunge il mercato. Dalle indagini statistiche risulta che il 57% degli intervistati ha un atteggiamento positivo nei confronti della carne di selvaggina e il 51% un’opinione positiva nei confronti della caccia. È necessario incrementare la conoscenza del consumatore sulla carne di selvaggina e sull’attività venatoria e il suo ruolo di gestione etica della fauna. Per questo potrebbe forse aiutare un’etichettatura appunto “etica”, che metta in luce gli aspetti positivi del prodotto: non pregiudica i consumatori più preoccupati per le questioni relative al benessere e ai diritti degli animali, è attraente e riflette peculiarità positive della caccia rispetto all’attività di allevamento.

Una campagna di marketing e comunicazione servirebbe per aumentare la conoscenza della caccia e la preferenza della carne cacciata. Naturalmente occorre un costante addestramento dei cacciatori per garantire la sicurezza alimentare e un atteggiamento etico verso ambiente e animali.

Piatto di polenta al cinghiale e profumi di bosco.
Far conoscere il valore della carne di selvaggina cacciata è necessario per comprendere l'importanza di una filiera  controllata e garantita che può essere risorsa per la popolazione e il territorio

Massimo Iuliano, presidente di Urca Marche, ha raccontato l’esperienza della creazione del Centro raccolta e lavorazione carni di selvaggina di Serrapetrona, in provincia di Macerata (www.selvagginadellemarche.com/), pensato, realizzato e gestito dai cacciatori di selezione, soci di un’associazione di protezione ambientale senza scopo di lucro. Nel 2022 ha prodotto 4 mila chilogrammi di carne a 9 euro al kg, stima che ne produrrà 6 mila entro il 2023 e la massima capacità produttiva sarà di 15 mila kg, per un fatturato di 135 mila euro. Il prezzo di vendita risente della concorrenza del prodotto d’importazione e della “commercializzazione spontanea”, nell’incertezza dell’approvvigionamento della materia prima e di un quadro normativo poco chiaro. Nell’ambito del protocollo d’intesa con l’università di Urbino, si è avviato lo studio preliminare per ottenere il marchio Qm della regione Marche.

Roberto Macrì, vicepresidente dell’Aivi, ha affermato che la veterinaria ha trascurato la selvaggina e che proprio la pandemia è stata la prova dell’errore; dunque, una maggiore attenzione anche alla selvaggina potrebbe essere una linea evolutiva, non solo per la sicurezza alimentare, ma anche per una sanità sempre più con approccio metodologico Onehealth, cioè olistico.

Roberto Viganò, vicepresidente della Sief, si è concentrato sull’esigenza di incentivare i cacciatori a cedere le carni per la commercializzazione. Al riguardo occorre evitare di porre limiti all’autoconsumo e invece creare filiere corte, con case di caccia, opportunamente attrezzate oppure sfruttando macellai e norcini, che devono diventare centri di raccolta o sosta, come avviene nel Nord Europa. Il surplus della carne controllata, rispetto all’autoconsumo vero, deve poter accedere alla commercializzazione. Aumentare la disponibilità della carne sul territorio garantisce una ricaduta positiva.

Al congresso ha preso parte anche Giovanni Granitto, della direzione generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la nutrizione, del ministero della Salute. Che ha preso nota di quanto è emerso e partecipato ai dibattiti.

È certo che le filiere delle carni certificate e garantite rappresentano la naturale evoluzione di una gestione oculata e strutturata delle popolazioni di animali selvatici sia in generale, sia a maggior ragione quando l’abbattimento di questi animali si inserisce in piani di controllo numerico per limitarne l’impatto sulle attività antropiche e zootecniche.