Una sentenza importante
La sentenza n. 360 del 2024 della Corte d’Appello di Trieste ha una assoluta e fondamentale importanza per il nostro mondo. Secondo i giudici triestini, anche a seguito della riforma del processo penale della riforma Cartabia, il bracconaggio rimane un reato perseguibile d’’ufficio. Non sarà quindi più necessaria la querela di parte per mandare davanti al giudice un bracconiere.
L’eventuale interpretazione restrittiva e pedante della riforma Cartabia avrebbe, di fatto, tolto agli organismi preposti al controllo del patrimonio faunistico ed ambientale, il potere di contestare al bracconiere il reato di furto venatorio. In particolare, la riforma Cartabia ha introdotto, per tutta una serie di reati, tra cui appunto anche il furto venatorio, la necessità di una querela di parte per potersi procedere contro chi si macchi di questo reato. Quindi per procedere penalmente sarebbe stata necessaria una denuncia da parte del soggetto offeso.
Questo meccanismo, che può avere una certa validità per reati ad esempio contro la persona, rimane impossibile da applicarsi nei confronti di quei reati in cui la parte offesa risulti essere proprio lo Stato, come nel caso del furto venatorio.
La legge infatti riconosce la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato, ai sensi della legge 157 del1992, la legge quadro sulla Caccia. Chiunque quindi commetta una uccisione di un animale al di fuori dei casi consentiti, autorizzati proprio dall’Amministrazione (la caccia ne è un esempio) commette un furto ai danni dello Stato.
I giudici hanno infatti inteso il patrimonio faunistico non già come semplice patrimonio indisponibile dello Stato, ma hanno riferito un allargamento evidente della categoria, riconoscendo agli animali, di fatto, una utilità particolare, considerando i diretti benefici di tutta a biodiversità. Una utilità resa a tutta la collettività, rientrando il tutto nel concetto di servizi ecosistemici.
Una sentenza che interessa tutta la categoria dei cacciatori
La sentenza che è stata emessa dai giudici triestini è assolutamente importante, nonché addirittura preziosa. Il motivo è semplice. Si è evidenziato, in sede giurisprudenziale, e quindi anche di fronte all’opinione pubblica, come vi sia una sostanziale differenza tra bracconieri e cacciatori e come non vi debba, in alcun modo, esser una commistione tra le due categorie. Il cacciatore infatti esercita la propria attività rispettando le regole, e prelevando dalla natura solo lo stretto indispensabile, rispettando carnieri, modalità e periodi di prelievo.
Il bracconiere, al contrario, è un ladro, un delinquente, uno che ammazza tutto ciò che vuole, in barba alla regole e a chi, soprattutto, queste regole le rispetta tutte le volte che va a caccia.
Reato perseguibile d’ufficio: facciamo chiarezza
Vediamo adesso di chiarire cosa si intende con reato perseguibile d’ufficio. I reati perseguibili d’ufficio sono quelli più gravi per i quali l’Autorità, una volta giunta a conoscenza della notizia di reato, può procedere nei confronti di chi si pensi abbia commesso il suddetto reato, senza che vi sia un terzo soggetto che abbia presentato una querela. Con la sentenza 360 del 2024, quindi, anche il furto venatorio viene concepito come uno dei reati più gravi, nei confronti del quale l’Autorità potrà procedere senza che vi sia una querela da parte di un soggetto eventualmente offeso.