Se mi dovessi fare una opinione al riguardo del miglior sistema per cacciare il cinghiale in Italia basandomi su ciò che si legge su molte pagine Facebook avrei qualche difficoltà: la rivalità tra i sostenitori della braccata, ovvero della caccia al cinghiale in forma collettiva con i cani da seguita, e quelli della caccia alla cerca o all’aspetto, una caccia individuale che si svolge principalmente all’alba o al tramonto e che prevede l’abbattimento di un singolo animale, sono aspre e soprattutto inconciliabili.
I sostenitori della braccata, ed in generale della caccia con i cani (includiamo nel novero anche gli appassionati della girata), accusano coloro che praticano la caccia individualmente di essere dei “cecchini”, di sparare ad animali che “sono al pascolo e mangiano beati” finché non arriva la fucilata fatale, di non essere dei “veri” cacciatori poiché non sono in grado di apprezzare le emozioni (peraltro per me uniche) che solo la caccia con i segugi sa regalare.
Per contro i fautori della caccia all’aspetto e alla cerca controbattono che durante una battuta non è possibile scegliere il capo da abbattere, poiché è un dato di fatto che durante una braccata si spara ad ogni cinghiale che arriva alle poste, per cui il tipo di prelievo non è prevedibile. Ad un profano sembrano cose di poco conto, ma in realtà la contrapposizione tra i fautori della caccia collettiva e quelli della caccia individuale sembrano al momento inconciliabili.
A questo problema per così dire “filosofico”, si aggiungono problemi molto più materiali, come i danni creati dai troppi cinghiali presenti sul nostro territorio all’agricoltura ed alla circolazione stradale, che altro non sono che la testimonianza tangibile dell’esuberanza numerica della specie “Sus scrofa” nel nostro Paese.
Insomma, il problema cinghiale investe non solo tematiche strettamente venatorie, ma anche, direi soprattutto, aspetti economici e sociali. Per questo motivo ritengo che sia necessario esaminare il problema non solo affrontandolo dal punto di vista del cacciatore, ma anche da quello del semplice cittadino.
Io ho la fortuna di poter praticare la caccia al cinghiale con ogni tecnica venatoria: faccio il postaiolo da più di trent’anni nella mia squadra a Pieve di Teco (IM) ed al tempo stesso, grazie al mio lavoro di giornalista venatorio ed alle opportunità che questa attività mi offre, faccio anche la selezione e la cerca al cinghiale.
Se dovessi rivelarvi quale sia la mia caccia preferita non avrei dubbi: per me la braccata era, è e sarà la tecnica di prelievo più completa, poiché è il risultato di un perfetto equilibrio tra conoscenza del territorio, padronanza della muta e efficacia delle poste, una sinfonia che personalmente, quando le cose vanno bene ed il carniere è ricco, mi soddisfa pienamente, dandomi sensazioni che mai la caccia all’aspetto o alla cerca potrà mai regalarmi.
Tuttavia, dopo aver dichiarato apertamente quale sia la mia forma di caccia preferita, cercherò di illustrarvi tutte le forme di prelievo del cinghiale nella maniera più imparziale a me possibile.
Le cacce collettive al cinghiale
Nel nostro Paese si caccia il cinghiale in forma collettiva avvalendosi dell’aiuto dei cani da circa 2500 anni. O meglio, abbiamo testimonianze tangibili dell’uso dei segugi nelle battute di caccia grazie a bassorilievi presenti su urne funerarie di epoca etrusca, databili appunto al 6/500 avanti Cristo. Già questo fatto può essere sufficiente a valorizzare questa forma di caccia: fa parte del DNA venatorio di ogni cacciatore italiano ed è una tradizione che merita di essere portata avanti anche ai giorni nostri.
Di certo i tempi sono cambiati: ormai, almeno in Italia, non vengono più impiegati i cavalli, le lance sono state sostituite dai fucili e dalle carabine, anche i cani che vengono impiegati non sono più gli stessi, il territorio è molto più antropizzato, tuttavia la sostanza a mio avviso è sempre quella.
La braccata è una lotta ad armi pari tra uomini e cinghiali, l’esito non è mai scontato, i risultati si ottengono solo grazie ad un perfetto equilibrio e coordinamento tra tutti i protagonisti coinvolti: la braccata puzza di sudore, di adrenalina, di cani bagnati, del sangue del Re del Bosco e di tanta fatica. La Braccata ti entra nella pelle e ti prende, oppure ti ripugna.
La braccata non può svolgersi se la squadra non è coesa, e tenere insieme una squadra di venti, cinquanta o settanta persone, credetemi, non è affatto cosa facile. Occorre anzitutto trovare un punto di ritrovo che sia accogliente ed in grado di ospitare tutti i componenti della squadra (la cosiddetta “casa di caccia”), un parcheggio per le auto di tutti i cacciatori, un posto dove macellare gli animali abbattuti. Poi occorre trovare i “canai” giusti, farli andare d’accordo con i postaioli, sbrigare tutte le pratiche burocratico-amministrative, avere una buona zona a disposizione, andare d’accordo con le squadre confinanti, avere un ottimo rapporto con coloro che vivono sul territorio.
La squadra che fa braccata - ma anche quelle che fanno la girata - è un piccolo mondo che ha le sue regole, le sue dinamiche, i suoi difficili equilibri. Ogni squadra, al di là del numero dei suoi componenti, è il frutto di tanto lavoro, di uno sforzo collettivo, di una passione sconfinata per la caccia, del piacere di far parte di un gruppo. È per questo che io amo la caccia collettiva: non solo rispetta le nostre tradizioni, ma mi arricchisce personalmente, mi regala l’amicizia dei miei compagni di squadra, le risate delle nostre cene al termine della giornata, la passione di fare tutti un buon lavoro, al di là del risultato finale.
E quando tutto va per il meglio, dopo che i segugi hanno fatto il loro lavoro riempiendo il bosco delle loro voci spingendo il cinghiale alla posta ecco che la caccia collettiva, soprattutto la mia amata braccata, si rivela per ciò che è: una perfetta sinfonia, il frutto di un buon lavoro generale. Due parole sullo svolgimento della caccia collettiva: l’obiettivo è ovviamente quello di trovare il cinghiale e di costringerlo ad abbandonare il suo giaciglio (la cosiddetta “lestra”) e di spingerlo verso i cacciatori appostati nel bosco. Per fare ciò è indispensabile utilizzare dei cani (una o più mute di segugi nel caso della braccata, uno o due cani a zampa corta nella girata) e poter disporre di un adeguato numero di cacciatori alle poste, così da intercettare i cinghiali in fuga.
Detta così sembra una cosa abbastanza semplice, ma in realtà le cose sono molto più complicate. Le variabili sono innumerevoli: bisogna considerare la direzione del vento, scegliere con cura la dislocazione delle poste, saper sciogliere i cani nel posto giusto, dopo aver individuato le tracce fresche del passaggio del cinghiale.
Insomma, un lavoro da specialisti, frutto del lavoro in comune.
Le cacce individuali: alla cerca o all'aspetto
Poco sopra ho descritto la caccia collettiva come una sinfonia. Niente di più vero, almeno per me, ma anche le musiche suonate con un unico strumento hanno il loro fascino. E la caccia individuale ha di certo tanti aspetti che me la fanno amare. Gli elementi in gioco sono completamente diversi rispetto a quelli della caccia collettiva.
Nella caccia individuale, che sia all’aspetto o alla cerca, la tecnica e l’esperienza rivestono un ruolo principale: il risultato non è nelle mani del gruppo o dei cani, ma solo in quelle del cacciatore e ogni errore, ogni mancata conoscenza, si ripercuote inesorabilmente sul risultato finale. La caccia collettiva offre quasi sempre una possibilità di rimediare ad un errore di un singolo, quella individuale non consente sbagli.
Sia la caccia alla cerca che quella all’aspetto richiedono anzitutto una perfetta conoscenza del territorio e anche delle abitudini degli animali che lo abitano. Il buon cacciatore a singolo, oltre a queste fondamentali conoscenze, deve anche avere una perfetta conoscenza tecnica dell’arma che utilizza, poiché molte volte il tiro si svolge a distanze elevate (personalmente non sparo mai ad animali oltre i 300 metri), dell’ottica e della traiettoria della munizione utilizzata.
Insomma, la caccia a singolo richiede una accurata specializzazione, cosa che non la rende alla portata di tutti. Nonostante ciò, in determinate situazioni, la caccia all’aspetto o alla cerca si rivela indispensabile per eliminare quei cinghiali che vivono in luoghi inopportuni, come le aree agricole o le zone periurbane. Inopportuno dunque criticare coloro che cacciano il cinghiale a singolo con l’accusa di portare avanti un prelievo sconsiderato: per il bene della caccia al cinghiale occorre che sia ben chiaro a tutti che il cinghiale si deve trovare nel fitto della macchia, non certo al bordo di una strada trafficata o in mezzo alle coltivazioni di mais.
Insomma, c’è spazio per tutti.